Creato da newcolors il 11/05/2006

Specchi dell'anima

Chi sei? Scommetto che non lo sai...

 

 

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Post N° 212

Post n°212 pubblicato il 27 Novembre 2007 da newcolors

25/11/07

Non ricordavo alcun sogno.

Per tutto il giorno nessuna immagine.

* * *

Mi sdraio sul divano.

Sono vicina a te.

Prendi i miei piedi tra le tue mani.

Togli i calzini. Li accarezzi.

Incominci a massaggiarne la pianta. Le caviglie. Le dita...

Tutti i muscoli del mio corpo si rilassano all’istante: un senso di benessere e di piacere mi pervade.

Passano solo pochi secondi: all’improvviso riaffiora davanti ai miei occhi il sogno della prima mattina:

sono a Milano e devo raggiungere un posto. C’è un’altra ragazza. Siamo quasi arrivate ma mi accorgo di aver dimenticato la borsa in macchina. Le dico che torno indietro, e che la raggiungerò presto. A passo svelto ripercorro tutto il tragitto: c’è tanta gente; fatico a farmi spazio per camminare, sembra di essere ad un concerto. Proseguo fino alla macchina: apro lo sportello recupero la borsa, chiudo. Mi riavvio. Il passo è veloce nonostante i tacchi alti. Sono quasi arrivata ma le gambe cominciano a farmi male. I polpacci bruciano e i piedi tremano...  Rallento. Piano piano cedo. Nell’altra vita, i tuoi baci interrompono il mio sonno della mattina ed ora lo ricordo.

Non smetti di accarezzarmi i piedi.

Ti racconto il sogno che solo i tuoi massaggi hanno fatto emergere nella mia memoria.

Penso che era tanto che non sognavo senza avere incubi...

Tu continui a massaggiarmi i piedi.

Baci ogni centimetro di pelle percorribile. Mi sfiori con le tue labbra calde. Ancora. Ed ancora.

Le tue mani rompono il gelo dei miei piedi, spegnendone il biancore marmoreo.

Scivoli sulle caviglie, i polpacci; sali per le ginocchia, le cosce.

Poi scendi di nuovo giù.

Mi sento baciata da un vento caldo, rapita da un turbinio di voluttà, intrappolata in un vortice di calore. E così inerme.

Arrendevole.

Obbediente.

Facciamo l’amore. Le tue mani adesso, accarezzano il mio viso. I tuoi baci mi mangiano e la tua lingua sprofonda nella mia bocca. Come tutto il tuo corpo. Che scivola dentro il mio. La mia arrendevolezza fisica e sensoriale, un’altra volta apre le porte del mio inconscio. All’improvviso, mentre facciamo l’amore, altre immagini riaffiorano davanti ai miei occhi.

Una festa elegante; dopo pochi secondi: una donna di colore, bellissima ed alta; un’altra manciata di secondi: una stanza.

Poi nient’altro.

* * *

In serata mi concentro su quelle immagini riaffiorate nel pomeriggio. Comincio a ricordare.

Siamo ad una festa.

Di alto ceto sociale. Non ci sono trentenni. Trascorriamo il tempo bevendo champagne e beffandoci degli sguardi che gli altri uomini lanciano su di me. Una donna di colore, molto bella, si avvicina e mi parla... è simpatica. Penso che le piaci tu. Sorrido tra me e me. Tu ti distrai. Ti intrattieni con un conoscente. Io e lei, rimaste sole ridiamo delle debolezze maschili, dei loro sguardi rubati alle loro mogli ed offerti a me e lei, a lei e me...Indecentemente. Parliamo del potere che le belle donne possono esercitare su alcuni uomini... Io sono un po’ incerta: non ho mai considerato la “bella presenza”  un potere. Lei invece è molto sicura. Passeggiamo, chiacchieriamo. La sua simpatia e la sua femminilità mi seducono. Ne sono affascinata. Ma c’è qualcosa in lei che non mi convince. Da qualche discorso percepisco che non è una donna come le altre; c’è qualcosa di diverso. Sa perfettamente dove vuole condurmi.. La guardo ed imparo. La sua postura, i suoi gesti, gli sguardi... Guardo ed imparo un’arte nuova. Molto più potente della mia banale femminilità.... La guardo attentamente. Cerco di capire di più. Poi intuisco. E’ una puttana. Una puttana di alto bordo. La guardo e le chiedo schietta quanto guadagna. Mi dice che in un mese ci si può comprare una bella casa in centro storico. Sta giocando a sedurmi; ma non è così: mi ha già scelta. Vuole che lavori per lei. Mi rendo conto che, parlando, ci siamo allontanate dal salone principale. Siamo in un atrio un po’ isolato. Qui l’atmosfera è completamente diversa. L’ambiente è dello stesso stile del salone, rigoroso ed elegante. Ma ci sono solo uomini, solo pochi uomini. Ci guardano. Mi irrigidisco. Capisco che non è un caso che io sia lì. La donna nera bellissima mi ha condotto in quel posto. Realizzo che è meglio andar via. Non dare adito a fraintendimenti o situazioni ambigue. Mi volto per salutarla ma lei non c’è più. Sono sola. Le circostanze stanno decidendo per me, stanno definendo la mia sorte. Penso che quella potrebbe essere la mia iniziazione. Mantengo la calma e l’eleganza nel portamento. Mi volto indifferente seppure dentro sia scossa, cambio direzione, mi allontano. Ho paura. Poi vedo le luci del salone. Mi rincuoro, tiro un sospiro di sollievo. “Se qualcuno avesse frainteso?” - mi chiedo. “Se qualcuno avesse preteso la mia disponibilità, trovandomi in quel contesto?”... Sono perplessa. Turbata. Ritorno tra la gente. Ti cerco ma non ti vedo. Mi manca l’aria, affogo, mi sveglio.

Ti racconto il sogno.

 
 
 
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L'AMAZZONE

“Non mi seccate.

Sono un uomo libero. Ho bisogno della libertà, ho bisogno di star solo;

ho bisogno di rimuginare fra me e me le mie vergogne e le mie tristezze, di godermi il sole e i sassi della strada senza compagnia e senza discorsi, con la sola musica del mio cuore.

Cosa volete da me?

Quel che io voglio dire lo stampo; quel che voglio dare lo dò.

La vostra curiosità mi fa stomaco; i vostri complimenti mi umiliano; il vostro tè mi avvelena.

Non debbo nulla a nessuno e ho da fare i miei conti solo con Dio, se esiste”.     

Henry Miller, Tropico del cancro.

 

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