Creato da: vestita_di_lividi il 27/10/2006
Ai postumi l'ardua sentenza

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Universitari fuori sede

Post n°2 pubblicato il 28 Ottobre 2006 da vestita_di_lividi

E quello che avrei voluto fare martedì non era andare a dormire a casa dell'amica noiosa, a trattenere lo stupore di fronte ai suoi capelli di plastica, gialli e finti ascoltandola con compassione buddista raccontare di funerali&matrimoni. Oh, no, volevo rimanere in città e fare l'amore tutta la notte con un ragazzo più giovane, che avrebbe avuto la stessa voce sexy e impostata di Alessio Bertallot. E poi svegliarmi la mattina dopo nuda sul divano arancione, rimettermi gli stivali bianchi, la gonna corta a pieghe che non ho mai avuto e ricominciare tutto da capo.

 
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Mi trovo nuova

Post n°1 pubblicato il 27 Ottobre 2006 da vestita_di_lividi

Le braccia doloranti, tumefatte, gonfiori sparsi che modellano montagne russe di pelle  macchiata di lividi freddi, crosticine rosse che disegnano piste come filari di fiori ormai secchi e sfatti sugli avambracci; chiazze bluastre testimoniano sicure la presenza di odiati e temuti fuorivena.

Quanti aghi ho infilato nelle braccia. Aghi nuovi d’insuline appena scartate, aghi grossi delle “siringhe da cinque”, lucidi tubi di ferro con la punta tagliata di sbieco; aghi spuntati, che bucano male, con fatica premono e non entrano, fanno male quando penetrano nella pelle e devi muoverti avanti e indietro, siringhe con le tacchette e i numeri ormai illeggibili consumati dall’uso, nell’attesa che l’ago rompa la vena e riempia l’insulina di sangue. Oppure gli aghi sottili come capelli delle insuline col tappo rosso, delicate, che lasciano minuscoli forellini rossi, ideali per i capillari, le venuzze sottili che ti vengono incontro, alle quali ti rivolgi quando le altre sono attappate e impraticabili, o invisibili come certe fredde mattine.

Siringhe dispettose che si attappano proprio mentre te la stai mandando dentro, le maledici, cercando con una mano di tenerla ferma in vena, la stronza, e con l’altra premi forte lo stantuffo trattenendo il respiro e contraendo i muscoli, nella speranza che violentemente si stappi all’improvviso, facendoti sobbalzare di malsana felicità, che già ce l’hai tutta dentro, tutta in corpo e assapori nel naso e in gola il sapore dell’eroina. A volte non si stappano e devi cambiare l’ago per far uscire i grumi di sangue rosso che otturano la spada. Che ti senti morire dentro a buttare via la roba e quando ti fai le pere e non sei Agnelli, la prima cosa che impari è che l’eroina non si spreca, mai. Ho visto gente scaldare vecchi filtri innaffiandoli di succo di limone cercando di spremerne fuori qualche goccia e beccarsi la febbre ossea, terribile.
In fondo la vita del tossico è fatta di gesti, riti parareligiosi, scene ripetitive, noiosa concreta routine priva di poesia o emotività, non si disquisisce tra drogati, si parla di cose pratiche e tangibili, nessuna filosofia. Bugiardi come nella vita “normale”, quella del lavoro, o come nella società per bene, ci si incula alla prima occasione.

 
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