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Post n°826 pubblicato il 23 Novembre 2012 da marcozio1
Il timore è che con la spinta a l’uso dei generici possa venire meno la continuità terapeutica e che il passaggio incontrollato da equivalente a un altro equivalente possa mettere in pericolo il trapianto, comportando rigetto cronico e perdita d’organo. L’allarme arriva dai pazienti trapiantati italiani e dai medici della rete trapiantologica: il passaggio non controllato dai farmaci originali ai farmaci generici per la terapia immunosoppressiva post-trapianto mette a rischio la salute di pazienti “fragili” come i pazienti trapiantati, che possono andare incontro a rigetto e alla perdita d’organo. E in futuro, l’eventuale scelta di alcune Regioni di rimborsare solo il costo del farmaco generico potrebbe determinare pericolose rincorse al farmaco con il prezzo più basso, come anche inaccettabili differenze territoriali nella tutela della salute, obbligando di fatto i medici di quelle regioni a esporre i propri pazienti a tutti i rischi connessi al cambio di terapia. “Alcuni immunosoppressori, come tacrolimus, rientrano nella categoria dei farmaci a basso indice terapeutico: anche lievi modificazioni della concentrazione plasmatica di questi farmaci possono comportare gravi conseguenze in termini di tossicità o perdita di efficacia”, (ed io, Marco Zio cosa devo fare? ndr), cha affermato Pasquale Berloco, presidente della Società Italiana Trapianti d’Organo, nel corso del Forum istituzionale “Trapianti e terapie: i diritti insostituibili dei pazienti” promosso oggi a Roma dalla Sito. “In questo particolare ambito terapeutico – ha aggiunto Berloco -, la sostituzione di un farmaco originale con un generico, o quella di un generico con un altro generico, deve essere prescritta da un medico esperto del trapianto e valutata nel suo rapporto rischio/beneficio poiché ogni sostituzione deve essere seguita da controlli dei livelli plasmatici del farmaco e sostituzioni ripetute e consecutive devono assolutamente essere evitate”.
In Italia sono circa 3.000 ogni anno le persone sottoposte a trapianto d’organo, con risultati paragonabili a quelli dei principali Paesi europei, grazie all’elevata efficienza dei Centri trapianto. “Le percentuali di successo sono ormai elevatissime, con una sopravvivenza d’organo a un anno che è del 91.9% per il rene, dell’83,5% per il cuore e dell’81,6% per il fegato”, ha illustrato Alessandro Nanni Costa, Direttore Centro Nazionale Trapianti. “Sono ottimi anche i dati relativi al reinserimento dei pazienti trapiantati nella vita sociale: i pazienti italiani sottoposti a trapianto che lavorano o sono nelle condizioni di farlo, sono il 90,3% per il trapianto di cuore, 78,2% per il trapianto di fegato (come me, ndr) e 89,8% per il trapianto di rene”. Per i pazienti trapiantati i farmaci immunosoppressori hanno un ruolo salvavita. Da oltre un anno nei prontuari terapeutici sono stati introdotti i farmaci immunosoppressori equivalenti, la cui efficacia e sicurezza sono in generale garantite da normative che ne disciplinano l’immissione in commercio. Ma in alcune situazioni particolari l’uso dei generici comporterebbe dei rischi. “La sostituzione di alcuni farmaci immunosoppressori con un equivalente presenta rischi oggettivi e specifici nella terapia post-trapianto” ha affermato, a nome dei pazienti, Anna Maria Bernasconi, presidente Associazione Nazionale Emodializzati - Dialisi e Trapianto (ANED). “Per questi farmaci, le differenze tra dosi efficaci e quelle associate a tossicità sono minime e il passaggio non controllato da un farmaco originatore all’equivalente può fare la differenza per la sopravvivenza dell’organo: rischiare di perdere un trapianto ha ricadute umane, sociali e di spesa sanitaria ben più gravi di un relativamente modesto risparmio nella terapia farmacologica”. Di fronte ai dubbi dei medici e alle preoccupazioni dei pazienti, l’Aifa ha emanato alcuni documenti esplicativi volti a ridurre il rischio di errori terapeutici nel corso del trattamento con formulazioni orali di tacrolimus: “In particolare – hanno spiegato oggi gli esperti - , viene sconsigliata l’intercambiabilità dopo l’inizio della terapia e si raccomanda che qualsiasi passaggio a un farmaco equivalente avvenga sotto indicazione e stretto controllo del medico”. Anche la Sito ha messo a punto un position paper, indicando i principi di sicurezza sull’uso degli equivalenti, che coincidono con le raccomandazioni Aifa. “I buoni risultati che negli anni i trapiantologi italiani hanno ottenuto derivano anche dal rigore e dall’attenzione poste alla somministrazione della terapia immunosoppressiva, cioè agli sforzi fatti per ottenere la maggiore efficacia terapeutica con il minimo degli effetti collaterali”, ha affermato Silvio Sandrini, Responsabile Centro Trapianti Rene, Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia. “Il vero problema nasce dalla possibilità che, inavvertitamente, un paziente passi da un farmaco originatore ad un equivalente, e viceversa, o da un equivalente ad un altro equivalente. Questa variazione, sebbene sconsigliata da tutta la comunità scientifica, compresa l’Aifa e l’Ema, è un rischio che diventerà possibile in futuro, quando più farmaci equivalenti risulteranno disponibili”. La conseguenza più temuta dai trapiantologi è che, quando più farmaci equivalenti risulteranno disponibili, il prezzo del farmaco possa diventare l’unico criterio per la scelta del farmaco stesso e che i pazienti siano esposti al passaggio indiscriminato da un farmaco a un altro ogni volta che si rende disponibile un farmaco con il prezzo più basso. “L’interscambio di formulazioni diverse esporrà il paziente al rischio di tossicità cronica o di rigetto cronico, eventi clinici i cui effetti possono non essere immediati ma evidenti solo nel lungo termine”, ha aggiunto Massimo Baraldo, Professore Associato di Farmacologia, Università degli Studi di Udine. “Il problema più importante è che il paziente potrebbe andare incontro a frequenti cambiamenti del farmaco generico, a quel punto il clinico rischia di non avere un punto di riferimento, quel che accade nel paziente non dipende dalla terapia ma dai continui cambiamenti”. “Il tutto – hanno sottolineato gli esperti - alla luce di risparmi assai limitati, specie se paragonati alla spesa complessiva sostenuta dal Ssn per ogni singolo trapianto e ai rischi di perdita d’organo associati al cambio di terapia: il trapianto è un intervento complesso che comporta numerosi costi legati all’individuazione del ricevente, la gestione del pre-trapianto, il follow up del post trapianto e al monitoraggio annuale che dura per tutta la vita del paziente”. Un grande investimento sostenuto dalla sanità pubblica in vista dei benefici anche economici che comporta: il trapianto di rene funzionante permette, rispetto alla dialisi, un risparmio annuo di circa 25.000 euro per paziente. “Il trapianto d’organo è un evento importante e nell’insieme costoso, tuttavia la spesa per i farmaci incide per non più del 20-30% del totale, una cifra rilevante certo ma che non impatta quanto quella dell’ospedalizzazione” ha concluso il farmacoeconomista Giorgio L. Colombo, docente della Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di Pavia. “Non possiamo, nell’attuale contesto economico, prescindere dall’utilizzare i farmaci equivalenti; questo però deve avvenire attraverso la piena consapevolezza da parte di tutti gli attori del sistema sanitario delle potenzialità del farmaco equivalente e tramite validati strumenti di monitoraggio e controllo da parte dell’autorità pubblica”. Fonte www.quotidianosanita.it |
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