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Cronaca (zona 3 e 4, Milano e altro ancora) raccontata da un giornalista e scrittore Democratica Mente MOLTO di Sinistra

 

 

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LA QUESTIONE DEMOCRATICA IN ITALIA di Franco Monaco

Post n°335 pubblicato il 18 Agosto 2011 da marcozio1
 

 Non è il caso di indulgere nella stucchevole disputa giornalistica circa la formula da adottare per fissare la portata della questione democratica oggi in Italia. Se minacciata sia la democrazia e i suoi fondamenti ovvero la sua qualità e il suo respiro. Se la democrazia come tale o una concezione di essa, quella pluralistica e partecipativa. Ci preme la sostanza, non la formula per definirla. E la sostanza è quella di una vistosa torsione in senso populista ma anche oligarchico della nostra democrazia. Cui l'attualità non edificante della cronaca politica e giudiziaria ci suggerisce di aggiungere il verminaio (le “termiti”) che corrode dall'interno le nostre istituzioni. Sgombriamo subito il campo da un approccio provinciale. Le democrazie contemporanee sono un po' tutte attraversate da crisi e tensioni. Movimenti e tendenze populiste, così come derive oligarchiche si manifestano ovunque. Fenomeni di segno diverso ma accumunati da un depotenziamento della politica intesa come azione collettiva mirata a regolare e orientare la dinamica sociale e affidata al protagonismo responsabile dei cittadini singoli e associati. Una crisi che tuttavia, in Italia, assume caratteri e dimensioni singolarmente problematici. A una pur parziale rassegna di quei punti critici e di sofferenza della democrazia italiana intendiamo dedicare questo numero del nostro periodico. Eccone alcuni. Intanto le lesioni ai capisaldi di una ben intesa democrazia costituzionale.

Costituzionalisti di scuole diverse (da Baldassare a Ferraioli a Elia) non esitano a parlare di “decostituzionalizzazione” del sistema politico, cioè di devitalizzazione della legge fondamentale, di contestazione più o meno esplicita della Costituzione quale fine e confine della battaglia politica. Con le pressioni e le tensioni che ne conseguono per i poteri terzi, per gli organi di garanzia cui spetta il compito di presidiare quelle regole e quei confini. Si fa presto – ed è giusto – deprecare l'esasperazione del conflitto politico, ma, se non si vuole cedere all'irenismo e alla banalizzazione, si deve pure considerare la circostanza che il dissenso sembra investire appunto i fondamenti costituzionali della nostra democrazia. C'è poi il tema dell'equilibrio tra rappresentanza e governabilità sul quale si regge ogni democrazia sana. Giustamente, nel recente passato, si è osservato che le democrazie possono deperire, che la loro legittimazione presso i cittadini può essere messa in discussione, allorquando esse si mostrano impotenti e inconcludenti.

La decisione è parte integrante e comunque approdo naturale del processo democratico. E sarebbe sbagliato ignorare questo profilo, tuttora irrisolto, del problema. Ma l'esperienza nostrana ci avverte anche su due altri fronti: la domanda di governabilità che sale da società mobili e dinamiche non autorizza le scorciatoie autoritarie e populiste, la mortificazione della domanda di rappresentanza, la separazione dei poteri e gli istituti di garanzia; di più, quella scorciatoia in concreto imboccata non ha prodotto affatto decisioni, riforme, buon governo.

Sul primo fronte, basterebbe evocare la mobilitazione di soggetti collettivi, di vecchi e nuovi movimenti della cittadinanza attiva: le donne, i giovani, i ricercatori e gli universitari, i precari. Sul secondo versante merita notare come la propensione populistica ad accarezzare il pelo di tutti e di ciascuno, la pretesa di non scontentare nessuno, la rinuncia a discernere e a scegliere (propria di chi riveste responsabilità di governo) tra interessi in conflitto, l'ossessione dei sondaggi, l'appiattimento dell'azione politica sul tempo breve, hanno prodotto un solo risultato: il nulla di vere riforme e dunque un paese fermo, ai margini dell'Europa. A dispetto della retorica decisionista, della millanteria del “governo del fare” e delle oggettive forzature su procedure e regole della democrazia parlamentare.
La nostra scommessa è quella di un rafforzamento contestuale degli istituti della democrazia della rappresentanza, a cominciare dal parlamento mai come oggi mortificato, e di quelli di una democrazia efficiente e governante. E' un problema di regole, ma anche e soprattutto di attori-soggetti della rappresentanza. In primis, di regola elettorale: la legge vigente per il parlamento nazionale riesce nell'impresa non facile di assommare il massimo delle contraddizioni e delle patologie e la sua rimozione è imperativo categorico e urgente. Ma, si diceva, è anche problema di soggetti della rappresentanza: cittadini, formazioni sociali, partiti politici.

La questione dei partiti, per noi, era e resta questione cruciale. Lo testimonia la circostanza che il PD è la sola formazione politica che, nella sua stessa denominazione, esibisce la parola partito. Una sfida esplicita verso chi immagina di prescindere dallo strumento principe, ancorché non il solo, delle democrazie di massa contemporanee, ma, sia chiaro, una sfida anche a se stesso. Perché se è chiaro e programmatico il proposito di costruire un partito degno di questo nome e conforme all'impegnativo dettato dell'art. 49 della Costituzione, non meno ferma è l'intenzione di non ricalcare la forma partito novecentesca, i suoi vizi, il suo anacronismo. No al nuovismo tributario del mito fallace della democrazia immediata, ma no anche alla rimozione di una crisi dei partiti storici che ci ha investito e tuttora ci investe. Specie nella forma dell'arroccamento del ceto politico. Partiti, dunque, ma anche cittadini.

A loro, come singoli e come comunità in senso plurale, e non al mito giacobino di un popolo cui si attribuisce una volontà generale che in realtà fa da copertura all'arbitrio di un capo, spetta la sovranità. Essa sì usurpata su più fronti cui intendiamo fare cenno. Di quello della elezione della rappresentanza parlamentare sostituita da una cooptazione nominativa dall'alto già si è detto. Merita aggiungere il tentato scippo dei referendum da parte del governo, un istituto certo da riformare e tuttavia da preservare e difendere contro chi strumentalmente si intesta la volontà di un popolo dal quale in realtà non vuole essere disturbato. Ancora: una sovranità da custodire restituendo i partiti ai cittadini che, non a caso, figurano quale incipit dell'art. 49, a significare che (i partiti politici) sono o dovrebbero essere associazioni di cittadini con finalità politica, cioè strumento di partecipazione in mano ad essi, come mezzo idoneo a perseguire un obiettivo forte quale quello di “concorrere a determinare la politica nazionale”.

Lo si enuncia a chiare lettere nella lezione tenuta da Massimo Luciani al seminario primaverile del PD sui partiti. In essa si mette in luce altresì il nesso tra art. 49 e art. 3 della Costituzione, cioè l'idea che la sussistenza di veri partiti non solo concorre, in termini finalistici, al perseguimento dell'obiettivo politico dell'uguaglianza, ma già di per sé, in certo modo, la anticipa e la realizza, mettendo i cittadini comuni nelle condizioni di partecipare alle decisioni che riguardano la comunità su basi meno diseguali di quelle ereditate dalla lotteria della natura e del censo. In una parola, i partiti quale strumento che esalta il nesso tra due valori cardine della democrazia: l'uguaglianza e la partecipazione (osserviamo in parentesi che, in questa sottolineatura, trova conforto la nostra decisione di fare seguire al numero scorso sull'uguaglianza quello presente sulla democrazia partecipativa).
Sull'orizzonte sta la scommessa che sia possibile disegnare e realizzare un partito politico, insieme, popolare e moderno. Senza ignorare la circostanza che l'Italia è lunga e plurale, anche nel modo di “fare partito” (di qui le tre sonde sul partito e più in genere sul rapporto politico al nord, al centro e al sud). Infine, nella piccola rassegna qui approntata, il protagonismo dei cittadini inteso quale condizione e lievito della democrazia non poteva sottacere un cenno alla questione dell'informazione (tasto dolente in Italia più che altrove, a motivo di un mercato chiuso e del macigno rappresentato dal conflitto di interessi) e a quello connesso della formazione del senso e del costume civico, che chiama in causa le agenzie educative e culturali.

Non è necessario indulgere al pedagogismo per sottoscrivere la celebre formula di Tocqueville secondo la quale la democrazia è il regime politico dei cittadini informati e consapevoli. Facile a dirsi, difficile a farsi dentro una temperie politico-culturale nella quale massime sono la propaganda e la mistificazione. (di Franco Monaco per tamtamdemocratico)

 
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