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2MARONI di Stefano Catone ed Elly Schlein

Post n°893 pubblicato il 15 Febbraio 2013 da marcozio1

Maroni ha cambiato look. Si è tagliato i capelli, ha una montatura trendy, e ha detto che nella Lega hanno fatto pulizia. Peccato che non possa cancellare con un colpo di scopa anche il passato, e con esso la serie interminabile di promesse mancate e parole rimangiate dai leghisti. Insomma, pare proprio che ci siano due Maroni: quello che dice, e quello che poi non fa. Quello che sarà (o vorrebbe essere) e quello che è stato. Quello che ha governato con Bossi e Berlusconi e Tremonti e che si candida nuovamente a farlo.

Quello che voleva andare da solo e invece porta con sé lo stesso Formigoni che aveva scaricato (entrambi avevano dichiarato di non volersi più frequentare, ora parlano, come dice Formigoni, di «continuità imbattibile»). Quello che doveva fare la rivoluzione e rivendica la buona amministrazione di una giunta che, nella dichiarazione successiva, si vanta di aver fatto cadere.

Il barbaro sognante che ogni tanto dovrebbe chiedersi: «sogno o son desto?». Perché pare che si sia addormentato, in tutti questi anni, dimenticandosi di essere al governo al fianco di chi non ha portato alcun giovamento al Nord e all’Italia: non ha abbassato le tasse (anzi), non ha migliorato i servizi, non ha semplificato la vita dei cittadini, non ha reso l’Italia più forte a livello europeo, anche perché l’Europa che oggi si invoca la si è sempre contrastata.

Ma prima di dare un’occhiata alle promesse leghiste cadute nel vuoto, nonostante siano stati al governo con Berlusconi nel 1994, dal 2001 al 2006 e poi dal 2008 alla fine del 2011 (con una saldissima maggioranza), è bene esaminare le nuove folgoranti proposte di Maroni, che quando non sono vaghe sono più semplicemente assurde. Il programma della Lega punta soprattutto su due mantra che Maroni ripete allo sfinimento, «Macroregione del Nord» e «trattenere il 75% delle tasse in Regione».

MACROREGIONE: MA DI COSA STIAMO PARLANDO?

Si vergognano della «Padania» e la chiamano «Macroregione»Il primo nodo da sciogliere riguarda la definizione stessa di «macroregione», ed è un nodo difficile da sciogliere, dato che  il programma della Lega a riguardo fa un po’ di confusione.

Nell’ultimo libro pubblicato  da Maroni leggiamo  che «a livello territoriale i costi della politica si riducono diminuendo il numero dei consiglieri regionali, naturale conseguenza del percorso di creazione dell’Euroregione Nord», il che farebbe intuire la  volontà di fondere le amministrazioni regionali di Piemonte, Lombardia e Veneto, per la felicità dei Veneti.  Tuttavia la Costituzione non prevede questa forma di organizzazione territoriale, ma solamente lo Stato, le Regioni, le Città Metropolitane, le Province ed i Comuni. Quindi, se Maroni con “macroregione” intendesse la fusione delle grandi regioni del Nord in una sola,  sarebbe necessaria una modifica di numerosi articoli della Costituzione (tra gli altri, degli artt. 114 e 131), una riforma per cui sarà difficile che avrà l’ampia maggioranza necessaria, considerato che, ora come ora, la coalizione di cui fa parte non è nemmeno riuscita a mettersi  d’accordo sul candidato premier (il Pdl dice Berlusconi o in subordine Alfano, la Lega propone Tremonti). E, d’altra parte, perché escludere dalla macroregione del Nord alcune regioni che, a tutti gli effetti, si trovano nella parte settentrionale del Paese come Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia? E se l’intento è quello – tra le altre cose – di ridurre i costi della politica, com’è possibile che il progetto della «Macroregione  del Nord» non spenda una parola sulla riorganizzazione delle province (sempre difese dalla Lega)?

Ma il programma della Lega spiega: «L'obiettivo è che le Regioni del bacino padano, unite da una sorta di federalismo d'azione, possano garantire una migliore e più efficace gestione delle tematiche per portare un vantaggio per il territorio e per la popolazione residente. A rendere credibile e attuabile il progetto di una macroregione del Nord, autonoma dal punto di vista politico e amministrativo, vi sono due elementi: l'omogeneità, cioè l'unità organica delle comunità territoriali della valle del Po; l'esigenza di una revisione dell'istituto regionale, a partire da interventi possibili già da ora, a quadro costituzionale invariato, che consenta di mantenere nel territorio almeno il 75% del gettito tributario complessivo». Continua qui

 
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