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- 35 borghi montani imperdibili della Lombardia (2019)

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- L'arte della botanica nei secoli (2018)

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- I grandi delitti italiani risolti o irrisolti (2013, nuova edizione aggiornata)

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- Bande criminali (2009, esaurito)

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- Milano criminale (2015, II edizione)

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- Milano giallo e nera (2013)

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- Gli attentati e le stragi che hanno sconvolto l'Italia (2013)

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- 101 personaggi che hanno fatto grande Milano (2010)

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- Milano criminale (2005,  esaurito)

 

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I LIBRI DI DANIELA

- Josephine Baker Tra palcoscenico e spionaggio (2017)

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- L'eterno ritorno, un pensiero tra "visione ed enigma" (2005)

 

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Maroni: sos Europa, così non ci salveremo Stop al Leviatano economico e sociale

Post n°1369 pubblicato il 08 Novembre 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Il Segretario ospite a Milano di un convegno dell’Istituto per gli studi di politica internazionale
di Andrea Accorsi
MILANO - L’Europa va nella direzione sbagliata: avanti di questo passo diventeremo sudditi di qualcuno che non è democraticamente eletto, ma scelto da altri. Il Segretario federale della Lega Nord, Roberto Maroni, lancia l’allarme sulla «deriva internazionalista» delle istituzioni comunitarie al convegno organizzato a Milano dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) su L’Italia e la politica internazionale. Maroni cita il Leviatano di Hobbes, fa tesoro della propria esperienza di ministro e straccia l’etichetta della Lega come movimento antieuropeista. «Noi - precisa -diamo un giudizio negativo dell’Europa così com’è, del malfunzionamento delle istituzioni europee, della incapacità della Ue di creare gli Stati Uniti d’Europa».
Dopo i precedenti incontri dell’Ispi che hanno visto la partecipazione di D’Alema, Frattini, Casini e di Enrico Letta, tocca a Maroni mettere in guardia i cittadini dai limiti evidenziati dall’Europa attuale. A cominciare dal modo di raffrontarsi con la “primavera araba”. «L’Italia per ragioni geografiche e politiche è il primo interlocutore dei Paesi del Maghreb, ma finora non è riuscita a svolgere pienamente il suo ruolo per due motivi: una incapacità propria e perché l’Europa non le ha consentito di svolgerlo. Come ministro dell’Interno ho vissuto la fuga attraverso l’Italia di migliaia di persone dal Nordafrica. E ho visto che la reazione dell’Europa è stata di lasciare l’Italia sola a gestire una crisi che non riguardava l’Italia ma l’intera Europa».
Attenzione, però, «a chi, come Le Pen, vuole tornare indietro, allo stato nazione, ponendo fine all’esperimento dell’Unione europea. Al contrario - rimarca Maroni - bisogna andare avanti, e velocemente, in quella direzione. L’Europa è incapace di prelevare agli stati membri livelli di sovranità in materia di sicurezza e di gestione dei confini, come pure in materia fiscale e di giustizia. Questo è uno degli aspetti critici dell’istituzione europea». Un’Europa che Maroni vede come sospesa a metà.
«L’Europa è a metà strada tra gli Stati Uniti d’Europa e quello che era prima di Schengen, di Lisbona e del processo di integrazione. Finché c’è calma sul piano economico e sociale queste lacune non si evidenziano; ma quando c’è crisi è evidente l’incapacità dell’Europa a gestirla. Se l’Europa in un anno e mezzo non è stata in grado di risolvere il problema della Grecia, che ha 11 milioni di abitanti, non 110, vuol dire che manca qualcosa: il potere fondamentale del governo europeo di intervenire sulla base del mandato democratico. Così i Paesi sono abbandonati a se stessi».
Il governo europeo, ricorda il Segretario leghista, «è l’unico al mondo che non viene eletto da nessuno. E il Parlamento europeo è l’unico al mondo che non fa leggi. Bisogna andare oltre: o gli stati membri cedono sovranità in tanti settori e fanno fare a Barroso quello che fa Obama negli Stati Uniti d’America, cioè intervenire subito quando serve, oppure l’Unione europea dal punto di vista istituzionale sarà destinata a fallire e a sviluppare in sè reazioni così forti che impediranno di completare il processo di integrazione. Questo non si realizza perché sarebbe la fine degli stati nazionali così come li conosciamo per andare verso l’Europa delle regioni o, se la guardiamo dal punto di vista delle lingue, delle tradizioni, delle etnie, l’Europa dei popoli. Non è una stravaganza della Lega: dalla Catalogna alla Scozia, ci sono movimenti molto forti che vanno in questa direzione. Ci vogliono due livelli di governo, uno istituzionale europeo e uno regionale con sotto i comuni».
Ribadisce Maroni: «Non siamo antieuropeisti, la nostra visione è un’Europa delle regioni perché crediamo ci debba essere un’area europea più forte, meglio governata, più inclusiva e in grado di difendersi dagli attacchi che arrivano dal resto del mondo, ad esempio contro il nostro sistema produttivo. Quando ci fu l’invasione dei prodotti cinesi chiesi all’Europa di intervenire per difendere il nostro tessuto economico e sociale. L’Europa rispose no e fece qualcosa solo dopo diciotto mesi. Gli Usa in due mesi fecero un accordo con la Cina a tutela del sistema produttivo americano».
Attenzione, infine, a dare ancora più poteri a questa Europa. «L’accentramento di poteri, come nel caso della Bce, a danno dei Parlamenti dei singoli stati avviene in modo sbagliato, perché quei poteri appartengono alla sovranità del popolo. È il caso del fiscal compact, cioè l’imposizione agli stati di certe regole di bilancio. Se togliamo questi poteri ai Parlamenti nazionali, mi chiedo cosa ci stiano a fare. È un Leviatano, una specie di sistema neofeudale con un governatore che impone le regole e gli altri che eseguono. L’Spd tedesca ha affermato di volere, oltre al fiscal compact, un social compact, cioè regole uguali per tutti dal punto di vista dell’organizzazione sociale, dei rapporti nel mondo del lavoro, degli ammortizzatori sociali. Non potrà che essere il sistema tedesco o dei Paesi nordici, molto diversi dal nostro. Questo tentativo di uniformare tutto contrasta con le esigenze dei singoli Paesi».
In conclusione, «l’Italia avrà un ruolo nel mondo solo se sarà la tessera di un mosaico europeo, perché da sola non ce la può fare. Se l’Europa se ne farà scudo bene, altrimenti l’Italia è destinata a farsi mantenere da qualcun altro. Se lasciamo distruggere il nostro tessuto produttivo di piccole imprese a dimensione familiare non saremo in grado di garantire un futuro al Paese, né di mantenere quel benessere a cui siamo stati abituati in tutti questi anni».
dalla Padania del 31.10.12
 

 
 
 
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