Segnalo sul tema il seguente documento delle ACLI Milanesi:
DOCUMENTO DELLA PRESIDENZA PROVINCIALE DELLE ACLI MILANESI PER LA FESTA DEL LAVORO
Sicurezza sul lavoro e sicurezza del lavoro
Un anno fa, nella ricorrenza del Primo Maggio, Le Acli di Milano manifestavano preoccupazione e indignazione davanti alla gravità del problema delle morti e degli infortuni sul lavoro nel nostro paese. I dodici mesi passati ci ripropongono purtroppo una drammatica, tragica sequenza di
quotidiani luttuosi incidenti negli ambienti di lavoro, in misura assolutamente abnorme rispetto agli altri paesi industrializzati. E ciò nonostante i nuovi provvedimenti legislativi, nonostante la intensificazione dei controlli. Una volta di più, in occasione della Festa del lavoro, vogliamo affermare il lavoro come strumento di vita e di realizzazione della persona, una concezione che deve connotare tutte le modalità e tutti gli interventi con cui il lavoro viene sostenuto, sviluppato, organizzato.
Dopo anni di attesa e di azioni di sollecito da parte del sindacato e di associazioni quali la nostra, l’emanazione del Testo unico sulla tutela della salute e sulla sicurezza negli ambienti di lavoro
rappresenta un importante contributo alla chiarezza interpretativa e applicativa delle diverse norme sulla sicurezza; tuttavia l’efficacia delle norme si otterrà solo con il crescere della sensibilità e dell’attenzione, con la scrupolosa formazione dei soggetti interessati e la sistematica vigilanza.
Solo i casi di morti sul lavoro più recenti e sconvolgenti hanno richiamato l’attenzione di gran parte dei mezzi di informazione e dell’opinione pubblica; tanti altri casi vengono trascurati o rimandati a poche righe di cronaca, tralasciando quasi sempre cause e responsabilità, come per eventi naturali e
inevitabili. L’ “allarme sociale” su questo fenomeno deve invece restare alto e costante, così come è costante, alto e meritorio il richiamo del presidente Napolitano.
Le Acli ritengono che la prima garanzia di sicurezza sul lavoro sia la sicurezza del lavoro. E’ ormai ampiamente provato che la precarietà occupazionale e la minaccia di diminuzione o cessazione di attività produttive sono causa di noncuranza delle norme di sicurezza, che diventano fattori sui quali risparmiare o disinvestire.
La stabilità dell’occupazione è quindi la condizione essenziale sia per sottrarre i lavoratori al ricatto della disoccupazione e alla rinuncia a diritti e tutele, sia affinché gli stessi lavoratori assumano
responsabilità e competenza nell’organizzazione del proprio lavoro. Mentre va crescendo nell’opinione pubblica la consapevolezza delle dimensioni del problema precariato, esso non va tuttavia percepito come inevitabile nella nostra società. La precarietà non deve essere un tributo alle esigenze economiche e produttive e non va accettata con rassegnazione né vanno tollerati i disagi e
la fragilità esistenziale che essa induce.
L’interruzione anticipata della legislatura non ha consentito di verificare se i provvedimenti presi con le ultime leggi finanziarie e con il protocollo del luglio 2007 sul welfare rappresentino effettivamente
i primi passi di un cammino verso una maggior protezione per i rapporti di lavoro flessibili/atipici e di superamento della precarietà del lavoro. Si tratta di provvedimenti limitati soprattutto dalla scarsità delle risorse disponibili ma anche dalle difficoltà di costruire attorno ad essi i consensi necessari, ma che hanno individuato due orientamenti che necessitano di essere assunti anche dal nuovo
Parlamento e dal futuro governo del paese: il contenimento del costo del lavoro stabile e l’estensione di protezioni sociali alle categorie di lavoratori finora escluse.
Coerentemente occorre quindi intervenire ancora sulle norme che regolano il mercato del lavoro.
I limitati aggiustamenti apportati alla Legge 30/2003 (cd. Legge Biagi) vanno diffondendo l’impressione che essa rappresenti la copertura ottimale delle esigenze del mercato del lavoro e che
altri interventi migliorativi non siano necessari.
Non siamo stati e non siamo tra coloro che chiedono la pura abrogazione della Legge Biagi; siamo invece convinti della necessità di ulteriori modifiche per una sostanziale riduzione delle tipologie contrattuali che essa prevede e che le stesse (in particolare i contratti di formazione/apprendistato e
il contratto a progetto) siano utilizzate per le finalità previste, attraverso forme di certificazione e di controllo idonee a denunciare e perseguire sia il camuffamento del rapporto di lavoro dipendente, sia
le ingiustificate limitazioni alla durata del contratto, senza trascurare la destinazione di risorse alla formazione e al sostegno al reddito per i periodi di disoccupazione involontaria. In particolare ci si aspetta che il negoziato tra le parti sociali sappia trovare forme contrattuali di accesso al lavoro, per i giovani in particolare, in grado di superare l’attuale dualismo, tra chi è più garantito (dai rapporti di lavoro a tempo indeterminato e da una efficace contrattazione), e coloro che lo sono di meno, perché soggetti a contratti atipici.
Nuova attenzione va riservata inoltre al problema retributivo, data la grande importanza che riveste per la qualità della vita dei lavoratori e per la dignità stessa del lavoro.
Per anni le classi dirigenti (compresa quella politica) non hanno voluto vedere e saputo affrontare il problema della insufficienza di gran parte delle retribuzioni da lavoro dipendente nel nostro paese. Il sindacato e le associazioni vicine ai lavoratori hanno ripetutamente denunciato questa condizione come punitiva non solo per le famiglie, ma anche per il mercato dei consumi, in misura tale da compromettere la crescita economica. A questo proposito occorre esaminare con attenzione la
richiesta e i propositi di detassazione generalizzata di componenti della retribuzione, curando che non vengano disperse risorse per fasce sociali che non necessitano di particolare sostegno e che non
si sottraggano invece fondi allo stato sociale. Nuove, più efficaci e più eque politiche economiche, fiscali, del lavoro, sociali e sindacali sono possibili assumendo il punto di vista delle famiglia, cioè
assumendo come parametri di riferimento la composizione familiare e il reddito pro-capite, l’età e l’istruzione dei componenti, la casa e i trasporti, il reale costo della vita determinato da un nuovo paniere. Naturalmente alla base deve esserci una ripresa economica stabile indotta dall’ aumento di produttività e competitività e dall’ innovazione produttiva.
Anche su questi obiettivi il sindacato può esercitare un ruolo essenziale e innovativo, non solo con le tipiche rivendicazioni salariali, ma promuovendo l’adeguamento di strategie e strutture contrattuali
alle nuove esigenze imposte da relazioni e problemi che superano i confini nazionali e da differenti vocazioni territoriali. Di qui probabilmente passa il rinnovamento e l’ampliamento di rappresentatività del sindacato confederale. L’intento di mantenere o ricreare le conquiste del
passato non è sufficiente né a difendere le condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie, né a portare il sistema produttivo ed economico ai livelli che la competizione internazionale impone. Su
alcuni temi (flexsecurity, ambiente di lavoro, sviluppo e sostenibilità ambientale) si sta dimostrando di estrema importanza la collaborazione e l’intesa tra i sindacati europei nei rapporti con le istituzioni
dell’Unione europea per le possibili ricadute sugli ordinamenti nazionali: questa è la strada da percorrere con crescente convincimento per attuare nel mondo globalizzato i principi di giustizia
sociale e di solidarietà.
Milano, 1 maggio 2008 |