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Redenzione&Fantasia

Post n°1651 pubblicato il 17 Maggio 2012 da ad_metalla
 

(scritto il 24 gennaio 2012 per la RosaRossa News)

Ancora poche settimane e ci siamo. Mi riferisco alla ricorrenza ventennale di quel mattino d’inverno, quando ebbe inizio Tangentopoli. Comincio a preoccuparmi. Mi chiedo: come celebreranno l’evento i media? Ma soprattutto: chi sarà chiamato ad officiare l’anniversario? E quanta retorica dovrò sorbirmi, a quanto funambolismo e a quanta sterile riproposizione di vecchie parole d’ordine dovrò assistere? Vent’anni fa Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, intascava una bustarella di sette milioni di lire dal proprietario di una piccola azienda di pulizie. Si disse: “E’ un mariuolo isolato”. Si aggiunse: “E’ una scheggia impazzita”. Di Pietro, più concretamente, gli mise le manette ai polsi e tutto non fu più come prima. Sì, ma il dopo?

Mi sono fermato a riflettere. E mi sono chiesto se questi vent’anni sono passati inutilmente. Se oggi il livello di illegalità e corruzione nel Paese sia più basso di quello degli anni novanta. E mi sto anche sforzando di ricordare che cosa facessi in quel lontano 1992, che cosa, nel frattempo (e nel mio piccolo), sono riuscito a migliorare per questo mio Paese. Sono soddisfatto? Manco per niente. A rischio di passare – nuovamente – per un nostalgico, potrei ad esempio sostenere, con argomenti quanto meno comprensibili, che in quegli anni mi sentivo più libero, meno solo, sicuramente più ascoltato. E devo aggiungere che quella stagione politica mi diede anche l’opportunità di accettare una sfida, di dimostrare sul campo che dietro alle semplici parole di condanna di un sistema che franava miseramente, vi era l’entusiasmo di un giovane che si metteva in discussione, si rimboccava le maniche e ripartiva da zero. E senza pretendere il paracadute da altri, utilizzando semmai l’esempio come strumento di convincimento.

Ecco, osservando quello che oggi accade, dovendo fare un confronto, mi pare di poter dire che le opportunità per i giovani non siano cresciute di molto, e soprattutto che spesso si prescinda dai meriti e dall’impegno, da quella che una volta veniva chiamata “gavetta”. Le opportunità che hanno oggi i più giovani, quelle di costruirsi come nuova classe dirigente, di assumersi le responsabilità del momento, non mi sembrano alla portata di tutti. Né mi pare che in molti siano disponibili ad affrontare la sfida, scommettendo su se stessi, più che sul favore degli altri. E molto più facile rivendicare, chiedere che qualcuno si faccia da parte. Poi devo rilevare che le poche eccezioni di cui negli ultimi anni ho potuto prender nota, sono nate per lo più da un sofisticato calcolo elettorale, o di comunicazione. Da un nuovo armamentario fatto di slogan, fotogenia, buone frequentazioni, pii desideri ed intenzioni. Poche rondini, ancor meno coraggio, dilettantismo e nessuna primavera all’orizzonte. E siamo daccapo. 


Quindi, era meglio quando si stava peggio? Aridatece er puzzone? Niente affatto, dico altro. Dico, ad esempio, che in questo Paese, ancor più che negli anni 90, c’è una domanda di democrazia, partecipazione, rigore e trasparenza a cui in pochissimi vogliono dare una sincera e concreta risposta. E dico che oggi il sistema opaco di poteri si è fatto più forte, accorto e trasversale. Un sistema che continua ad alimentare consuetudini, conflitti di interessi, clientelismo, tifoserie, ma soprattutto, come ricordava di recente Maurizio Landini, che non riesce a costruire forme di democrazia che si basino su un fondamentale principio. E cioè, che chi governa, chi fa politica deve rispondere di quello che fa, in qualsiasi momento, a tutti quelli che l’hanno eletto. E invece no. Sono passati vent’anni e, da una parte, la nostra classe politica dirigente continua a nascondersi dietro ad un dito, a far finta di non sapere, a cercare negli altri (e spesso nella burocrazia) le ragioni della propria inadeguatezza (dimenticando che la legge assegna loro non solo funzioni di indirizzo, ma soprattutto quelle di controllo); dall’altra, invece, un giovanilismo di circostanza, spesso impreparato, che si batte semplicemente per sostituirsi al  al sistema, come nuovo sistema. Anzi, peggio: entrambi hanno scoperto il potere della comunicazione e dei media. E preferiscono quindi un bel salotto, una comparsata televisiva, le frequentazioni colte ma isolate, un’intervista concordata, lo sproloquio digitale. Per arrivare al paradosso: il politico navigato che non esercita il potere, non decide, ma delega al tecnico, al dirigente, al burocrate, pensando così di salvarsi l’anima e il casellario giudiziale; il giovane politico alle prime armi ed esperienze di governo, che non avendo strumenti, conoscenze, preparazione, pensa di supplire con l’arroganza e l’incoscienza che ha sempre rinfacciato ai sempiterni tromboni della politica.

Il tragico vuoto di rappresentanza si allarga, ognuno tira l’acqua al proprio mulino: corsi e ricorsi, direbbe qualcuno. Beh, ero e resto convinto che non ci salveremo con l’uomo forte, ne’ con quello della provvidenza, ma neppure con la fantasia al potere (che già sarebbe qualcosa).  Figuriamoci poi con le lettere aperte, con gli slogan, con le spillette sul bavero della giacca, internet o con abili operazioni di marketing politico, frutto dell’ingegno dello spin doctor di turno.

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