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Post n°16 pubblicato il 30 Dicembre 2008 da anchemolo
Mi scuso davvero tantissimo, con chi mi onora della lettura di ciò che scrivo, per aver “insistito” sul signor Di Pietro ma non ho potuto farne a meno: non ho mai apprezzato chi predica bene e razzolaVA e razzola male. Ancora due righe del giornalista Guzzanti che è un pochino prolisso ma, nell’insieme, l’articolo che scrive si legge bene. Prima però voglio sottolineare la chiusura di un altro articolo, sempre del “iL Giornale” di domenica 28 dic 2008, pagina 4 “Tutte le macchie di un partito alla Sordi”. Il buon Peppino Caldarola termina così: “Il partito dipietrista diventa uguale agli altri. Molti palazzi di giustizia sono felici ma alcune procure lo stanno aspettando al varco.” MA ALCUNE PROCURE LO STANNO ASPETTANDO AL VARCO. Io ho sempre in mente la sua faccia, la sua espressione, quando venne inquisito e, siccome gli occhi sono lo specchio dell’anima, in memoria ho archiviato una certa impressione. Quando una persona, al servizio dello Stato e quindi dei cittadini che lo compongono, una persona che occupa un posto di rilievo e di responsabilità, si permette di dire, relativamente ad un indiziato che deve giudicare: “io quello lì lo sfascio”, io penso a poca serietà, bullismo, ad uno smargiasso che non capisce che lo Stato è un’Istituzione seria, non un teatrino. E siccome io sono per lo Stato, per l’insieme di cittadini che lo compongono e voglio e mi adopero perché lo Stato funzioni, quando incontro gente come questa, mi metto sul chi va là. Ho paura di questo tipo di ignoranti e cerco di difendermi. Temo molto più l’ignorante che il delinquente. Anche perché l’uno genera l’altro.
Ed ora l’articolone di Guzzanti del 29 dicembre, naturalmente 2008: UN BORGHESUCCIO PICCOLO PICCOLO Santo cielo, Tonino! Ogni volta che la ascolto mi viene in mente l’immagine - ero dietro di lei, con tutta l’allegra ciurmaglia dei giornalisti di Mani Pulite - mentre si toglieva la toga e con un colpo di teatro abbandonava la magistratura. Che farà, ci chiedemmo tutti, l’uomo che aveva conquistato un posto nel Presepe napoletano? Starà a destra o a sinistra? Ma è vero che Berlusconi gli ha offerto il ministero degli Interni e che lui era nello studio di Previti quando fu raggiunto da una telefonata per cui disse di no, quando fino a poco prima sembrava incline? Lei è un politico che usa internet con sapienza. E lei ha visto che cosa è successo nella sua casa virtuale e negli altri siti: i dipietristi sono insorti contro di lei, coloro che hanno creduto in lei sono corsi - virtualmente - con i forconi sotto le sue finestre. La gente rivuole i soldi indietro per l’ideale avariato. Il quadro faceva tenerezza: il padre castigamatti sfasciava la Repubblica, ma si muoveva con il suo bambino di scorta. E, a proposito di mitragliette, mi torna in mente quel che mi disse la mamma della povera Emanuela Setti Carraro, moglie del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con cui condivise l’orrenda morte: «Il generale veniva a trovarci e sa chi c’era sempre con lui, seduto in disciplinato silenzio con la mitraglietta in grembo? Proprio lui, il Tonino nazionale, chi l’avrebbe mai detto, eh?». Tante mitragliette, tante manette, tante disdette, ma alla fine che cosa si scopre? Che il preteso anti-Italiano era in realtà il più albertosordiano arci-Italiano. Lei sa, caro Tonino che siamo tutti o anti o arci italiani. Io per esempio sono anti, ma per puro patriottismo. Lei è arci e ormai tutti sospettiamo che lo sia per farsi i fatti suoi. D’altra parte, qui tutti si fanno i fatti propri e per questo sono arcitaliani. Ha letto ieri l’intervista al nostro Giornale del suo e mio collega parlamentare Nello Formisano, della sua Italia dei Valori? Poveretto: non ha fatto nulla di male, salvo che quando ha ricevuto telefonate mafiose di raccomandazione per barare in un concorso pubblico (manomettere la scelta del migliore al servizio dello Stato), mica ha chiamato i carabinieri, mica ha convocato una conferenza stampa. Macché. Ha detto: ci sentiamo domani. Poi non ricorda bene quel che successe con tante cose da fare, tante richieste cui rispondere (in Campania si fa così, tutto il mondo è paese) e oggi la sua misera difesa consiste nel sospirare di sollievo perché il raccomandato non ce l’ha fatta malgrado le spintarelle richieste all’Italia dei Valori e quindi adesso può dire che non ha fatto niente di male. Oggi lei appare come il campione del tengo famiglia. Sì, va bene, ha detto, non c’è figlio che tenga, la magistratura vada avanti. Bello sforzo. Ma poi alla fine il figlio tiene, altro che se tiene. Ed è quello il momento in cui dallo stomaco della memoria torna tutto su e uno si ricorda la scatola delle scarpe come contenitore di soldi, le vecchie vicende che hanno sempre pesato sulla sua immagine e il fatto che lei, facendo parte di un governo della Repubblica, sia stato l’unico ministro della storia ad aver organizzato una masaniellata di piazza contro un governo di cui era responsabile e componente. Populismo? La parola è svalutata. Siamo alla commedia all’italiana degli anni Cinquanta: più che Alberto Sordi direi che siamo a Peppino De Filippo. E lei, nel ricordo, sbiadisce dall’immagine di un Torquemada per caso a quella di un comico di «Un giorno in Pretura», col bravissimo Talarico. È qui che lei si conferma come l’arcitaliano più inossidabile: eccessivo, intimidatorio, paternalista, possibilista, sempre incazzato nero, retorico, circondato da collaboratori costretti a ripetere la solfa della mela marcia, insomma una pena. In due parole, lei è immerso nel sistema fino al collo, altro che anti-sistema. Lei ha fatto di suo figlio un proconsole locale e poi, quando quel poveretto innamorato di paparino suo fa qualche scemenza, lei grida che non lo difenderà per difendere la sua immagine, ma poi però lo difende perché i figli sono piezz'e core e via con i luoghi comuni. Ma il re, se si può usare la logora metafora, è nudo e lei è denudato non dagli scandali, che sono scandaletti, ma dallo stile, anzi dalla mancanza di stile.
Lo stile è l’uomo, fu detto da un grande scienziato, Georges-Louis Leclerc de Buffon il quale, con stile, assisté impassibile alla decapitazione di suo figlio nei giorni del dipietrismo di Robespierre. A lei nessuno chiede di decapitare suo figlio, ma di smetterla con i toni da moralista: il suo stile è sciatto, vociante, nervoso, amante dell’arringa all’italiana - «Avvocato, stringa!» - ma poi, quando vai davvero a stringere, trovi quei tratti che il fascismo aveva cooptato, e non inventato, dall’italianità fracassona, e dannosa che lei oggi rappresenta e che la rende parente dei falliti Cola di Rienzo, Girolamo Savonarola, Masaniello, nessuno dei quali fu Calvino o Lutero, le tempeste umane che raddrizzarono la schiena ad un’Europa moralmente fangosa. Con l’immersione profonda nel sistema, invece, e la figliocrazia proconsolare, aggiunta al così fan tutti dei raccomandati, l’apparenza della grande riforma morale si tramuta in barzelletta triste, quel genere di barzellette che per far ridere dovrebbero durare venti secondi e che i cattivi narratori sbrodolano per ore. Così oggi i «checiazzecca» danno soltanto fastidio con le sgrammaticature che si imbizzarriscono provocando il pubblico al rigetto. Tonino, i suoi la stanno rifiutando e la colpa non è di suo figlio o di Formisano, ma tutta sua. Questo è il preoccupante problema che abbiamo di fronte. Darsi all’antiberlusconismo da vicolo e da coltello riporta al teatrino delle marionette, a Pinocchio, all’Italia manzoniana degli untori che non esistevano mentre in compenso esisteva davvero la peste e non la colonna infame. In breve, lei si sta confermando non un aiuto o una speranza per l’Italia dei veri valori, ma un serio impaccio per la democrazia liberale. E qualsiasi cosa dica o urli diventando paonazzo con le vene del collo che le si scolpiscono nell’ira, lei non appare come un rivoluzionario moralizzatore, ma un conservatore da strapazzo del vecchio regime, un pezzo muffito del sistema, uno del partito dei figli, dei raccomandati, delle scene da basso napoletano e della piazza di paese, tutto materiale da commedia in bianco e nero all’italiana, da déjà vu, da non ne possiamo più, da silenzio per favore lassù, in piccionaia, è ora di smetterla una buona volta. E per quanto concerne questo governo, mi aspettavo dimostrazione di sensibilità reale verso la questione crisi mondiale e quindi un conseguente “spontaneo” dimezzamento degli emolumenti ( mezzo stipendio, tanto per capirci ), in maniera che i cittadini, quelli che lo han votato e quelli che invece il voto lo hanno dato altrove, potessero esclamare, in coro: “PERO’ !!” Con due punti esclamativi. I sacrifici devono essere fatti da tutti, non vi pare? Allora, meno chiacchiere e più fatti, Signor Berlusconi. Noi siamo qui a spronarLa, a pungolarLa. Ciao a tutti.
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