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Stupri, violenze fisiche alla persona

Post n°36 pubblicato il 04 Febbraio 2009 da anchemolo

Copio e incollo le opinioni di due giornalisti de Il Giornale del 3 feb.

La prima è di Filippo Facci, la seconda di Michele Brambilla, due ottime penne.
Leggetele e poi fate le Vostre considerazioni.

Legge o non Legge, sarebbe ora di finirla e si finisce solo infliggendo condanne esemplari a chi commette queste porcherie, questi delitti all'anima di una persona.
E una preghiera ai media: attenzione a come presentate gli accaduti, attenti a non reclamizzare troppo i fatti: parliamo di gente malata nel cervello!

L'ho già detto precedentemente: la responsabilità è anche Vostra!

 

Stupri/1 Io, garantista anche con i violenti 

di Filippo Facci

 

 

Siamo al punto che deplorare il tentato linciaggio dei romeni di Guidonia viene visto come una complicità morale nei loro confronti. Lo stesso se osi dire che i domiciliari concessi al 22enne di Roma, stupratore reo confesso, erano probabilmente inevitabili e, oso dire, addirittura giustificabili. Figurarsi se in questo clima hai l’ardire di notare che le foto degli ammanettati, pubblicate sui giornali, per una volta non hanno scandalizzato nessuno.
È improbabile che gli stupri siano aumentati rispetto a un mese fa, eppure i giornali ne ridondano; così pure è improbabile che gli incidenti sul lavoro siano diminuiti, eppure i giornali tacciono. Questo, da una parte, è normale e pure positivo o inevitabile: un caso eclatante funge da volano ed ecco che un tema riesplode ciclicamente, ridiviene «emergenza», come se d’un tratto vi fossero solo stupri o morti sul lavoro; se tra un mese scoppiasse il caso di uno stupratore condannato ingiustamente, magari un tizio famoso, facilmente non si parlerebbe d’altro: e tanti altri casi di malagiustizia, come tanti ce ne sono, otterrebbero gran dignità di pubblicazione e dibattito. Il che, voglio ripetere, è perfettamente normale e anche positivo: purché la ciclazione dei temi non denoti omissioni e soprattutto corrisponda proporzionalmente a problemi reali, come quelli della sicurezza e della repressione indubbiamente sono.


Quello che invece non è normale, e non è positivo, è che per cavalcare ogni ondata emergenziale si finisca coll’azzerare le conquiste della precedente. In questo, nel limitarsi ad assecondare gli umori popolari del momento, la nostra classe politica sta facendo sforzi da primato mondiale. Non c’è stato un cane disposto a ricordare che gli arresti domiciliari sono sì domiciliari, ma restano arresti, restano una privazione della libertà personale volta a tutelare le indagini, non sono una condanna, non sono la pena inflitta, non sono un preview del castigo che verrà (se verrà) perché corrispondono meramente a stare in galera in casa propria, ciò che in qualche caso può risultare anche peggiore della carcerazione propriamente detta: dipende dal regime dei controlli, dalle dimensioni del domicilio, soprattutto dalle restrizioni imposte in appartamenti che di fatto possono essere celle, con la sola differenza che manca l’ora d’aria e ovviamente non si può telefonare o ricevere visite.


Ma questo discorso può sembrare fuorviante. Il punto vero è che stiamo parlando di custodia cautelare, ma anche qui: ci fosse un cane di politico, a parte i soliti radicali, disposto a ricordare la cantilena più ricordata e dimenticata d’Italia, questa: la custodia cautelare in carcere è solo uno strumento a uso dei magistrati per impedire, in attesa di un processo, che l’indagato possa fuggire o inquinare le prove o ricommettere il reato. Questi pericoli nel caso dei romeni di Guidonia erano palesi (inspiegabili, dunque, le scarcerazioni) ma nel caso del ragazzo 22enne il discorso è tutto un altro. Si è costituito, ha confessato e ora aspetta il processo: non l’hanno «liberato», attende il dibattimento agli arresti domiciliari. Si potrebbe anche aggiungere che una giustizia che tratti un incensurato e reo-confesso alla stregua di cinque romeni che non hanno confessato alcunché, beh, è un apparato che stimola a non confessare per niente, visto che tanto poi ti trattano nello stesso modo. Ma questo è un ragionamento da profani: non è per questo che il 22enne ha ottenuto i domiciliari. Li ha ottenuti, in realtà, per via di una legge che spiacente, è davvero poco soggetta a interpretazioni: non c’è ispezione ministeriale che tenga.

 

La norma dice che il carcere preventivo non andrebbe irrogato se l’indagato sarà probabilmente condannato a una pena che beneficerà della condizionale: e non lo dice una legge d’anteguerra, ma una legge del 1995 che la classe politica votò a larghissima maggioranza anche per difendersi dalle inchieste sulla corruzione. Molte procure del tempo, infatti, tendevano a utilizzare la carcerazione preventiva a margine di ipotesi di reato, anche lievi, per le quali nessuna condanna in ogni caso avrebbe comportato il carcere. Legge giusta, ma che ora vale per tutti. La vera notizia, infatti, è che c’è da supporre che la pena per lo stupratore 22enne difficilmente supererà la soglia dopo la quale la condizionale non viene più concessa, ossia i tre anni. Resta il fatto che i magistrati non fanno che applicare una legge voluta dalla stessa classe politica che ora se ne lamenta, e che ora, tuttavia, reclama delle pene esemplari non previste all’origine. Per non parlare di quelli che ora reclamano carcerazioni che fungano da «esempio»: come se fosse possibile, e come se non fosse dei peggiori regimi.

 

Tutte queste cose i nostri rappresentanti politici le sanno benissimo, ma ogni volta preferiscono lisciarvi il pelo dalla parte giusta. E se anche vi andasse bene così, se la vostra indignazione fosse al limite, se non v’importasse nulla di quanto detto e tantomeno del tentato linciaggio di persone neppure processate, delle regole e della presunzione d’innocenza, di certe foto esposte sui giornali, nessun problema: vorrà dire che in quel momento non gliene importerà nulla neppure a loro. Sinché, beninteso, la cosa non li riguarderà. Allora ricorderanno. Vi spiegheranno e rispiegheranno: lo stato di diritto e tutto il resto. E forse sarà normale anche questo, non lo so, ma fa schifo uguale.

 

Stupri/2 Io, garantista soprattutto con le vittime

di Michele Brambilla

 

 

  Strumenti utili

Sono tra coloro che ritengono assurdo che il colpevole di uno stupro esca di galera dopo soli due-giorni-due, com’è successo al ventiduenne arrestato a Roma a capodanno. Ho detto «colpevole» e lo sottolineo, perché stiamo parlando di un reo confesso, e in questo caso la confessione non è un’attenuante ma solo la conferma che non c’è alcun rischio di errore giudiziario. Il ragazzo di Roma non ha confessato perché, preso da rimorso, è andato a costituirsi quando nessuno sospettava di lui; ha confessato perché lo avevano già beccato, le prove lo schiacciavano, una confessione era al tempo stesso inevitabile e conveniente. Al processo sarà quindi sicuramente condannato: e i giorni trascorsi adesso a casa, agli arresti domiciliari, gli saranno scontati dalla pena come se fossero passati in cella. Sono tra coloro che sono convinti che tra lo stare a casa e lo stare in galera sia preferibile - per i delinquenti, s’intende - la prima soluzione.


Sono anche tra coloro che trovano scandalosa pure la scarcerazione dei due romeni arrestati per aver favorito lo stupro di Guidonia. Anche loro sono stati messi agli arresti domiciliari, presso alcuni conoscenti in Veneto. Lo stesso posto, guarda un po’, dove la banda aveva progettato la fuga. Bizzarro, no?
So di attirarmi la reprimenda, e l’immancabile epiteto di «forcaiolo», dai radicali e dai garantisti in servizio effettivo e permanente. Essi obiettano che la legge è sovrana, e che non bisogna farsi condizionare dal dolore delle vittime, dall’emotività del momento e dal can-can dei giornali. Tutto vero, ci mancherebbe: non si fa giustizia sull’onda dell’ira della folla, e i tribunali del popolo non devono sostituire quelli in toga.
C’è però un equivoco di fondo, forse anche un imbroglio, sul quale giocano spesso i magistrati. Si dice infatti che certe decisioni - nella fattispecie certe scarcerazioni - non dipendono che dall’applicazione della legge. Ma non è vero. In Italia, come lo stesso Codice prevede, i giudici hanno un ampio potere discrezionale, sia nell’applicazione della carcerazione preventiva, sia al momento di quantificare la pena definitiva.
Faccio un esempio concreto. Per la carcerazione preventiva basta uno solo dei tre seguenti requisiti: 1) pericolo di fuga; 2) pericolo di inquinamento delle prove; 3) pericolo di reiterazione del reato. È a questo punto che si dimostra che la legge e la matematica sono due cose differenti. Chi decide che uno stupratore, magari reo confesso, sicuramente non violenterà qualcun altro? Il giudice, secondo il suo libero convincimento.

 

 E può sbagliare, come in molti casi è successo. Chi decide che uno stupratore sicuramente non scapperà, magari perché è agli arresti domiciliari? Sempre il giudice, e sempre secondo il suo libero convincimento. E può sbagliare, com’è successo guarda caso in questi giorni, quando un marocchino reo di violenza carnale e messo agli arresti domiciliari ha pensato bene di sparire, con tanti saluti alla sua vittima, che dal proprio dolore non potrà mai fuggire per tutta la vita.
E la legge, oltre che non essere matematica, non è neppure immutabile. Ci sono reati che, a seconda del momento, costituiscono un allarme sociale, e richiedono un’attenzione particolare, direi un’intransigenza particolare. Non si tratta, ripeto, di piegarsi agli umori del popolo o alle mode giornalistiche. Dopo l’11 settembre, abbiamo accettato tutti di buon grado di sottoporci a controlli da Gestapo in aeroporto, perché era successo qualcosa che prima non c’era. Così via via i codici penali di tutto il mondo sono stati aggiornati, e inaspriti, su determinati reati a seconda del momento. Le leggi speciali sul terrorismo, tanto per fare un altro esempio. Quella sui pentiti, per farne un altro ancora. Si è ceduto alla sensibilità popolare? Meno male.

 

Perfino la Chiesa, a seconda del momento storico, pone l’accento su un particolare «peccato» punendolo con la scomunica: all’inizio del secolo si era scomunicati se si distruggeva il raccolto dei campi perché c’era gente che moriva di fame; adesso lo si è per l’aborto perché molta gente va ad abortire con la stessa faciloneria con cui va dal dentista. Non è che la distruzione del raccolto o l’aborto siano più gravi delle stragi o dell’omicidio, per i quali la scomunica non c’è; è che si è voluto richiamare l’attenzione su una gravità non da tutti percepita.
Anche per il reato di stupro le sensibilità è cambiata. E, anche qui, meno male che ci sono stati i giornali a sbattere in prima pagina quelle violenze di cui una volta non si dava notizia. Se la legge non avesse tenuto conto anche di una mutata sensibilità popolare, oggi lo stupro non sarebbe ancora considerato un «reato contro la persona» (perché sembra incredibile ma è proprio così, fino a pochi anni fa lo stupro non era un «reato contro la persona»).
Ben venga, dunque, una pressione popolare e giornalistica che per prima cosa induca i giudici a usare gli strumenti di cui già dispongono, e a tenere in galera chi distrugge l’esistenza di una donna; e che, poi, solleciti il legislatore ad essere ancora più severo. Il garantismo è una bella cosa, ma a volte rischia di diventare un’ideologia, e come tale disconnessa dalla realtà. Non dobbiamo dimenticare che non è l’uomo a essere fatto per la legge, ma la legge per l’uomo.

 

 

 

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Commenti al Post:
angeligian
angeligian il 08/02/09 alle 22:51 via WEB
Io, questo articolo di Brambilla, lo copierei pari pari e me lo metterei sul blog per ricordare a tutti (e a me per prima) in che mani siamo, in che paese viviamo, che mondo stiamo preparando ai nostri figli. Non se ne puo' più!!!
 
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