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Recensione collage Antichrist di Lars von Trier

Post n°196 pubblicato il 30 Novembre 2009 da aexentia
 

Il film di Lars Von Trier, l’attesissimo e assai discusso “Antichrist“, si apre con un prologo di un’intensità rara, accompagnato dalle note e dai versi di un’aria di Handel:

Lascia ch’io pianga
mia cruda sorte
e che sospiri la libertà
il duolo infranga queste ritorte
dei miei martiri sol per pietà.

Le immagini rallentate, in bianco e nero, corrono lente sullo schermo e impietriscono.

Due corpi si stringono in un amplesso animalesco, le loro braccia sfiorano la pelle sudata tra le lenzuola. Un uomo e una donna. La stanza è buia, come la notte fuori. Intenti a far sesso, due genitori non si accorgono che il piccolo figlio si è arrampicato fino alla finestra della camera, incantato dalla neve.

E mentre il bambino precipita nel vuoto, forse visto dallo sguardo distratto dall’orgasmo della madre, le raffigurazioni dei tre mendicanti
dolore, pena, disperazione

come nemesi dei magi preannunciano l’inizio di un percorso di morte.

Lo stesso regista ha affermato di averlo scritto esclusivamente per se stesso, durante un periodo di depressione. Ci ha trasposto le sue paure e una visione della natura umana molto poco ortodossa, in una pellicola non molto lunga (100 minuti) ma estremamente intensa. Lo ha fatto di getto, senza pensarci troppo; lo ha fatto con estrema naturalezza e sincerità, mettendo in scena i suoi incubi senza censure né coperture. Senza temere le incomprensioni, anzi: con l’orgoglio di chi sostiene di essere il “miglior regista di sempre” e di scrivere niente meno che per ispirazione divina.

Un’interpretazione razionale dell’intero film sarebbe per lo più arbitraria e, inoltre, priverebbe la storia della sua forte componente irrazionale.

Dopotutto lo dice anche la volpe, in una delle scene più singolari dell’intero film:
IL CAOS REGNA.

VIAGGIO
Il film è, chiaramente, un viaggio. Le tappe di questo viaggio sono scandite simbolicamente fin dall’inizio, e durante tutta la storia, attraverso l’immagine dei “tre mendicanti” (the three beggars). I loro nomi (dolore, ansia, disperazione; pain, grief, despair in inglese) appaiono sulle statuette che il bambino getta a terra prima di cadere dalla finestra, i loro nomi ritornano sulle carte che lei aveva ritagliato per la sua tesi, accompagnati dalle figure di tre animali (volpe, corvo, daino).

Un viaggio attraverso il dolore, l’ansia e la disperazione, dunque. Una sorta di specchio della depressione di cui ha sofferto il regista e che ha ispirato il suo lavoro per sua stessa ammissione. Un viaggio che ha per protagonisti entrambi i coniugi, che nel corso del film sembrano come inghiottiti da una malattia che li divora a poco a poco. E’ la malattia dell’impotenza di fronte all’ineluttabilità della sorte dell’uomo, di fronte alla morte (nello specifico, la morte del figlio). Morte che dovrà essere espiata con un’altra morte, per giungere alla fine del viaggio.

PSICANALISI
Nel film emerge una chiara critica ai metodi psicanalitici: alla razionalità della scienza è contrapposto il caos della natura umana, terribile e indecifrabile. Lui, terapeuta, non riesce a guarire lei, la sua paziente. Può soltanto scavare nei suoi pensieri e rivelarne a poco a poco la natura sempre più irrazionale, per poi scoprirsi impotente di fronte alle sue scoperte.
Non solo: lui stesso diventa vittima dell’irrazionale, proprio quando lei sembra essere guarita dalle sue paure. Lei lo irride, in quella stessa scena, scoprendolo vittima di sogni “stranissimi”.

NATURA
La Natura ha un ruolo di primissimo piano. Alcune scene, sono intervallate da immagini di rami e cespugli, di natura selvaggia e cupa, come una sorta di anticipazione del teatro dove si svolgerà l’epilogo della vicenda.
Lei, interrogata sulle sue paure, nomina il posto che, in assoluto, la terrorizza maggiormente: il bosco che circonda la loro casa in campagna. Il suo nome (Eden Garden) è un riferimento chiarissimo alla Bibbia e allo stato di natura dell’uomo e della donna. E’ il luogo dove i due iniziano a scoprire la verità sul male che li perseguita, è il primo passo del loro percorso di conoscenza (schematizzato da lui su un foglietto: BOSCO -> NATURA -> SATANA -> ME). Il bosco rappresenta la natura “esterna” all’uomo, ma non è che la visione riduttiva di ciò di cui lei ha davvero paura: la Natura che non è soltanto fuori, ma anche, e soprattutto, dentro di noi. La Natura delle cose che, lentamente, periscono, il pianto universale delle creature che sono intrappolate in un ciclo di morte e dolore. Gli stessi animali che appaiono come visioni nel corso del film sono i simboli di una Natura malata, perversa, dove è il caos a regnare e dove i genitori uccidono e mangiano i figli. Lui stesso se ne rende conto e, nonostante la sua ostentata razionalità (”E’ tutto molto commovente, se fosse un libro per bambini: le ghiande non piangono“, ecc.), è proprio lo spettatore principale di queste inquietanti apparizioni.

SATANA
“La Natura è la chiesa di Satana“, dice lei in uno dei momenti più intensi dell’intero film. Lo stesso titolo, Antichrist, suggerisce una chiave di lettura di questo tipo, su cui tuttavia i media hanno insistito fin troppo, finendo per appiattire l’intero film su questa interpretazione. L’intero mondo, sembra suggerire questa interpretazione, è comandato dalle leggi di Satana, quindi dal male. La natura è malvagia, e così lo stesso uomo.
Col termine Antichrist, comunque, ci si riferirebbe non alla Natura in sé, ma in particolare alla figura femminile del film. E’ chiaro che, verso la fine del film, emerge il “lato oscuro” della donna, la sua seconda natura di strega, che è anche probabilmente anticipata da alcuni elementi più o meno evidenti (i fotogrammi subliminali della sua “seconda faccia” che appaiono nel bosco, durante il viaggio in treno) e confermata dal finale in cui lei viene bruciata e il tronco vicino alla casa di campagna appare chiaramente come il palo della pira su cui, in antichità, venivano bruciate le streghe. Sarebbero loro i corpi morti che compaiono dappertutto verso la fine, in una scena che ricorda l’arte di Bosch, e sarebbero sempre loro le centinaia di ragazze che camminano verso la casa, nell’epilogo. La doppia natura della donna è evidentissima anche nelle scene finali, dove lei mostra una doppia personalità e pronuncia alcune frasi con una voce diversa, demoniaca.

DONNA
Il discorso sulla Natura malvagia e satanica del mondo sfocia in un tema più specifico: la malvagità della donna, vista come una sorta di essere demoniaco. I due discorsi si collegano e si completano a vicenda: la stessa Natura, dopotutto, è donna. La tana della volpe, nel film, è un’immagine altamente evocativa del grembo femminile.
Lars Von Trier ha dovuto difendersi a più riprese dalle accuse di misoginia, dichiarando semplicemente di avere sempre considerato la sessualità femminile come una cosa spaventosa. La scena della masturbazione di lei e la successiva scena di sesso, in particolare, sono più che mai eloquenti in questa ottica: l’uomo è la vittima della donna, è lo strumento dei suoi piaceri perversi. Lui è come Adamo che mangia la mela che Eva gli porge. Lei è Eva, e la sua Natura è il serpente, il male. Lei stessa, nelle ricerche per la sua tesi, dichiara di aver scoperto “qualcosa”: il volto del male. Ci si è specchiata dentro, e ci ha trovato la sua vera identità, la sua seconda faccia. Nella sua follia omicida di vendetta: ad un certo punto sembra voler punire il marito per la colpa che pesa sulle sue spalle (l’abbandono del figlio da parte sua diventa il suo abbandono da parte del marito).

Le scene col figlio e le fotografie, poi, accentuano la negatività e la misteriosità della figura femminile suggerendo che la sua colpa non è stata una semplice disattenzione, al momento della morte del figlio, ma qualcosa di più profondo, radicato in lei come un retaggio ancestrale. I piedi del bambino, deformati a causa delle scarpe che, inconsciamente, la madre gli aveva fatto indossare, rievocano il mito di Edipo (l’etimologia del suo nome significa “dai piedi gonfi“, perché venne legato ad una rupe e abbandonato dai suoi genitori appena nato) e la sua triste storia. Edipo è così il figlio, ma Edipo è anche il padre. In una scena tra le più cruente, lei gli trapassa infatti la caviglia con un arnese di ferro. Ritorna il piede, che secondo la simbologia psicoanalitica richiama l’organo sessuale maschile (a cui è dedicata un’altra scena, altrettanto forte).

Questa ossessiva tendenza che spinge la donna, invasata, a colpire l’uomo nasce, da un lato, dal desiderio di liberarsi del senso di colpa addossandolo al marito e punendolo per questo; dall’altro, dall’impossibilità di esprimere se stessa, da una rivendicazione della sua emotività costantemente repressa da lui. E in questa ottica lei, essere irrazionale ma non necessariamente negativo, diventa la vittima impotente della tirannia della ragione dell’uomo e di una visione della donna che ha le sue radici nel cristianesimo e nel medioevo. La persecuzione delle donne, su cui verte la tesi di lei, si manifesta anche oggi, sembra suggerirci Lars, in un modo molto più subdolo. Ed è così che la figura femminile assume una complessità eccezionale, rivestendo contemporaneamente le sembianze della vittima e del carnefice.

I parallelismi storici con la persecuzione delle streghe (su cui lei stava scrivendo una tesi) sono usati prima di tutto per le potenzialità evocative, ma diventano anche l’archetipo del senso di colpa inflitto alla donna proprio per essere tale, una deleteria eredità della religione cattolica che ha indebolito psicologicamente le donne dopo aver ucciso coloro che si sono ribellate alle velleità di dominio maschile.

Eliminata ogni speranza di redenzione, non resta che infliggersi un castigo che addirittura si ritiene meritato.

Le scene in primo piano di mutilazione genitale che hanno suscitato tanto isterico disgusto non sono altro che la logica conclusione di un percorso psicologico, come un urlo per dichiarare la propria impotenza ed estirpare ciò che di più primitivo, colpevolizzato e fuori di ogni possibilità di controllo esista nell’essere umano.

Insomma, una donna che da un lato esprime tutta la sua invidia per la superiorità dell’uomo cercando di privarlo, appunto, del suo “essere uomo”; dall’altro poi si autoconvince della sua malvagità e, sottomettendosi al potere dell’uomo nell’incapacità di esprimere il proprio dolore, chiede di essere punita (”Picchiami”, gli chiede lei insistentemente). Una donna dalle due facce, una donna divisa che finisce per trascinare anche l’uomo in un gioco perverso di dolore, violenza ed espiazione.

L’epilogo è il finale catartico di un percorso che ha come tappe principali la conoscenza di se stessi, la privazione dei propri organi sessuali e l’uccisione, rituale come nelle tragedie greche, di uno dei due: l’uomo o la donna. Solo con l’estirpazione del male è possibile il ritorno alla vita.

Queste recensioni sono tratte e mescolate da:
http://lennynero.wordpress.com/2009/05/24/antichrist/
http://www.matteomac.com/blog/2009/antichrist-di-lars-von-trier/

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