Creato da guarneri.cirami il 18/07/2009
 

Racconti&altro

Le storie di Alberto Guarneri Cirami: i suoi romanzi, i suoi racconti e il suo teatro.

 

 

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I Racconti di Guarneri Cirami: Da "Lettere a Dulcinea"....Tango per un Amore Triste

Post n°1009 pubblicato il 09 Ottobre 2012 da guarneri.cirami
 

La sua bellezza era inesprimibile e, come altre volte, Aschenbach sentí con dolore che la parola può, sí, celebrare la bellezza, ma non è capace di esprimerla… (T.Mann)

 

“Oh, se Inge fosse venuta! Avrebbe dovuto accorgersi che lui era sparito…”1 Si Eugenio, alla fine, era proprio sparito, partito dall’oggi al domani (con due righe appena per il suo “rivale”, Valter Morandi, il regista, dove gli comunicava la decisione irrevocabile di abbandonare la compagnia e lo scomodo personaggio di Don Chisciotte) sopra un treno “Catania/Milano”, con l’intenzione di fermarsi qualche giorno a Firenze, e la speranza che, l’immortale bellezza delle pietre, potesse fargli finalmente dimenticare Dulcinea, con la sua effimera bellezza di carne di pesca profumata…Ma probabilmente quel viaggio non lo avrebbe aiutato granché. Egli, infatti, avrebbe dovuto, piuttosto, staccarsi dalla sua stessa anima, per dimenticare l’irragionevole sentimento che lo teneva ancora legato a lei. Così continuava a scriverle, durante le pause della sua lettura, a corteggiarla, malato d’un amore – così scriveva - “di un amore che non si può concepire che da me solo…”1 Ella avrebbe dovuto “intuire il suo dolore, seguirlo di nascosto, anche soltanto per pietà, posandogli la mano sulla spalla e dirgli: vieni dentro con noi, sii contento, io ti amo…”2 Ma la verità era che, Dulcinea, non gli aveva dato mai speranza alcuna. Era stato Eugenio, piuttosto, a dichiararsi (termine in verità antiquato!), nell’accompagnarla a casa quella sera, dopo il pub, in maniera abbastanza goffa, con quel maldestro tentativo di baciarla sulle labbra. Sorpreso di se stesso, aveva causato in Cristina/Dulcinea, una incredibile crisi di riso e pianto! Cosa che aveva finito per rendere Dulcinea – a causa di quell’amabile contrasto tra virtù e leggerezza – terribilmente oscura alla ragione offuscata di Eugenio, così da apparirgli – se questo fosse possibile -, ancora più attraente e desiderabile… “E Tonio tendeva l'orecchio dietro di sé, attendeva con impazienza assurda che ella venisse. Ma non venne. Simili cose non accadono sulla terra…”3 Era stato l’animo sognatore di Eugenio a fabbricare quell’illusione. Castelli in aria costruiti, dal suo spirito romantico sull’ ingannevole trama di uno sguardo, di un sorriso della giovane. Sulle note tristi e appassionate di quel tango, che ella volle ballare per gioco quella sera davanti allo sguardo divertito di Valter Morandi, unico reale padrone del suo cuore. C’era grande euforia tra i componenti della compagnia, per l’ottimo debutto del “Don Chisciotte”, e l’intero cast incensava l’ego smisurato di Valter Morandi, alzando decine di calici, traboccanti di vino. Dal canto suo, Eugenio (l’unico fuori dal coro), coi nervi a pezzi e un dolore tenace al petto, costretto a fingere allegria, si rodeva dentro. Egli era, infatti, consumato da una ignobile (ahimé, ne era ben conscio!) gelosia, ed incapace (a causa di ciò) di mantenere le promesse di “affetto incondizionato”, di “amore spirituale e sublime”, che pure aveva fatto a Dulcinea, coi versi rubati ad anime più grandi della sua. Era piuttosto Saffo, l’antica incantatrice della sua introversa giovinezza, dei suoi anni di liceo, a dare voce al dolore, che le convenienze e le buone maniere gli impedivano di esprimere. “Simile in tutto agli dèi/ mi appare l'uomo che ti siede dinanzi /e ti ascolta così da vicino, mentre /parli con lieve sussurro e ridi amabile: questa visione mi sconvolge il cuore in petto…”. Saffo! Saffo: solo lei era capace di comprendere il suo cuore malato! Quanto tutto era terribilmente vero! Ma nessun altro l’avrebbe compreso, tanto meno lei! Lei che sembrava usare la sua bellezza, a volte sfuggente e crudele, a mo di coltello…Un coltello, con cui si divertiva a straziare l’anima di Eugenio, già ferita dalla manifesta complicità che legava i due amanti. Egli avrebbe voluto fuggire da quella bellezza, che lo seduceva con la sua innocenza, per poi trafiggergli il cuore “come un dolore”1 …Ma restò lì come paralizzato dalla sua infelicità, ad immaginare l’arcana meraviglia del suo corpo lunare, appena velato da un abitino corto e scollato che, nero come la notte, la nascondeva al suo folle desiderio.. Eugenio sapeva benissimo come il tango (un passo avanti ed uno indietro…), che lei gli chiedeva, con l’insistenza dei suoi occhi grandi e ridenti, rappresentasse per lui la sconvolgente metafora d’una vita incompiuta, vissuta, da sempre, tra timidezza ed ardimento, tra sogno e realtà. Un pericoloso esercizio condotto, in un equilibrio precario tra verità e finzione, a causa di quei nervi pizzicati dalla triste canzone delle chitarre; una forma sottile di tortura fisica e spirituale, a cui sottoponeva la sua carne e la sua anima; mentre la musica struggente del suo cuore avrebbe accompagnato la loro “camminata”. Tuttavia, egli non seppe dirle di no e le cinse la schiena con la mano destra, mentre con la sinistra le teneva la mano, ed i loro visi erano così vicini da sfiorarsi. Nel tango era Dulcinea a seguire lui! Era Eugenio, infatti, a guidare la giovane donna, come una ruota attorno a sé, per poi, con un passo da perfetto tanghéro – avanti ed indietro -, invadere, solo per un attimo, con la dolce violenza della musica, il suo misterioso universo di femmina capace di consegnare un altro enigma a quel cuore sognatore, mentre traspirava un tenero profumo di rose e viole, e col dorso del suo piedino, strisciava appena la gamba del suo cavaliere. Quando la musica finì, Eugenio rimase così, trasognato, ancora allacciato a lei, ansimante e ridente. Tuttavia Dulcinea dovette osservare il suo cavaliere, seppure di sottecchi, e forse intuire il suo turbamento. Tanto che alla fine gli chiese “Sei felice..?” Felice…forse si, solo per qualche attimo. nell’illusione di quell’effimero abbraccio, nell’onda calda ammaliante di quella musica, che l’aveva trascinato nel mondo segreto di lei, comunicandogli, con un brivido, la pienezza di quella giovane carne, che il suo cuore aveva divinizzato. Così le rispose, terribilmente serioso, in un sussurro: “ Si…ma non mi può bastare un tango, Cristina…io che vorrei…che vorrei possedere il tuo cuore…per sempre!”. “Taci, Eugenio, tu sai che è impossibile…che non può esserci niente tra noi…” Replicò lei severa, per poi rifugiarsi tra le braccia di Valter Morandi. Eugenio, da parte sua, salutò tutti con un fuggevole cenno di mano e andò via sconvolto, già presentendo la mancanza, che le parole ultime di Dulcinea avrebbero lasciato nella sua anima. Egli, nella fretta di abbandonare quel posto, non poté accorgersi che Cristina/Dulcinea s’era, per qualche attimo, intristita. Se ne stava, infatti, seduta sulle gambe del suo ragazzo distratta, con gli occhi lucidi e la voce arrochita, quasi piangente, mentre commossa lo osservava andar via …

 
 
 
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