Creato da guarneri.cirami il 18/07/2009
 

Racconti&altro

Le storie di Alberto Guarneri Cirami: i suoi romanzi, i suoi racconti e il suo teatro.

 

 

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I Racconti di Guarneri Cirami: L'Esule - Vita e Pensiero di Don Luigi Sturzo

Post n°947 pubblicato il 23 Ottobre 2011 da guarneri.cirami
 

 Caltagirone, 31 ottobre 1920

      “ È la fine, è la fine di un sogno, amici miei. Ricordatevi questa data: 31 ottobre 1920! Hanno vinto loro, i “carbonari”: pensate ventinove seggi su quaranta. Paese ingrato! Lo voglio vedere, lo voglio vedere Carbone a fare il sindaco. Non credo che possa fare meglio del nostro Don Luigi…”. Nicolò Vitale era arrivato trafelato alla casa di via Santa Sofia, tanto che Nellina, la sorella gemella di Don Luigi Sturzo, l’aveva fatto accomodare subito nello studio del fratello, dove erano già riuniti Mario Carfì, Diego Caristia,  il canonico Giuseppe Montemagno, il canonico Filippo Interlandi, fedelissimi del sacerdote, e Mario Sturzo, fratello di Luigi. Gli stessi che, nel lontano 1897, avevano dato vita al giornale La Croce di Costantino, oggetto dell’ira dei massoni. “Sarò certo di parte,” affermò Mario Carfì, “ ma non ho visto, caro Nicolò, nell’agone politico locale ( Mario Milazzo, purtroppo, è morto troppo presto!)  qualcuno in grado di competere, sul piano delle idee, col nostro Don Sturzo! Se penso alla reazione sconsiderata dei massoni nell’estate di quello stesso anno, quando dettero fuoco, in piazza Municipio, ad una copia del nostro giornale.”  “Fatto gravissimo, ora che ci ripenso,” esclamò Mario Sturzo, il fratello di Luigi. “ Parafrasando Paul Valery, dico che i giornali, così come i libri, hanno gli stessi nemici degli uomini:  il fuoco, l’umido, le bestie, il tempo e il loro stesso contenuto”. Parlando di bestie e di contenuto, - disse uno dei fratelli Caristia, - credo vogliate riferirvi a Carbone e al suo libellaccio, col quale troppe volte ha voluto diffamare chi gli era superiore per intelligenza, preparazione, sensibilità sociale e politica…” “In tutti questi anni,” intervenne il canonico Montemagno, “ credo che il vero “socialista” sia stato il nostro Don Sturzo! Pensate alla Cassa Rurale San Giacomo e alla Mutua Cooperativa. È stato più lui a dare fastidio ai liberali conservatori, che Francesco Carbone. Vi ricordate di una sua proposta politica a favore delle classi meno ambienti? Io no! In tutti questi anni si è speso in una sterile polemica contro la prosindacatura di Don Luigi, finendo col fare dei caprai il braccio violento del suo movimento…” “E come no,”  sbottò Nicolò Vitale, mentre si liberava di cappello e cappotto, consegnandoli a Nellina, “ mi rammento, come fosse ora, di quel ventuno novembre del millenovecentoquattordici, quando il consiglio, in mezzo al frastuono e alle intimidazioni dell’opposizione, si riunì per eleggere il sindaco. Fatta sgombrare l’aula, il clamore si trasferì in piazza, dove circa cinquecento persone (e tra di loro i soliti caprai) aizzati dai radicali, manifestarono contro don Sturzo. Anche allora funzionò la nostra strategia e riuscimmo nel nostro intento di prorogare la “prosindacatura” del nostro candidato...”  “Diciamo che la cosa,” fece rilevare il canonico Interlandi, “conveniva alla stessa prefettura ed al Ministero dell’Interno, preoccupati per il mantenimento dell’ordine pubblico messo in pericolo da Carbone e dai suoi caprai. E poi la gestione del comune, da parte di Don Sturzo, penso non dispiacesse nemmeno al governo conservatore di Calandra.” “Ora sedetevi, calmatevi , caro signore, che ora Luigi viene,” disse Nellina al Vitale, che non riusciva a star fermo, mentre  andava a preparare il caffé per gli ospiti. Dopo quindici anni di polemiche e battaglie, dunque, Francesco Carbone, il capo dell’opposizione radicale, era riuscito a scalzare Sturzo dalla sua carica di Sindaco di Caltagirone, ristabilendo – così dichiarava con enfasi al popolo calatino - la legalità amministrativa. Anche se, in verità, la polemica, agitata dal Carbone, non nasceva da razionali considerazioni di diritto amministrativo – che anche il capo del suo movimento, il De Felice Giuffrida, aveva svolto funzioni di sindaco di Catania contro legge – ma dal suo antico astio anticlericale e dal fatto che a capo del comune, in tutti quegli anni, era stato un prete, per giunta efficiente e ben visto dalla stessa Prefettura. Carbone, peraltro, aveva avuto modo di sfogare il suo veleno nelle pagine del giornale satirico “Il Ribelle”. Già nel lontano 1908, al tempo delle prime vittorie della lista di Sturzo, Il Ribelle aveva pubblicato delle vignette contro il prete-sindaco di una città sottomessa al Vaticano, più che al  Re d’Italia, provocando lo sdegno del fedele Vitale. “Non avete senso dell’umorismo voi cattolici, “ lo aveva beffeggiato, nell’occasione, quel diavolo di Carbone. “ Il paradiso deve essere un luogo terribilmente noioso…” Quando Don Sturzo entrò nello studio, il viso pareva non mostrare alcun segno dell’agitazione e della delusione che avevano caratterizzato tutte le notti ed i giorni di quel travagliato periodo. Forse la preghiera e la meditazione sull’inginocchiatoio della sua camera erano riusciti, alla fine, a placare il suo  cuore in tumulto. Dopo aver salutato ed abbracciato, uno per uno, i compagni di tante battaglie ed il fratello, egli sedette alla sua scrivania. “ Sia fatta la volontà di Dio, amici miei!” esclamò il sacerdote, giungendo le mani, quasi a rafforzare il suo proponimento.  “Non voglio far polemica con i miei avversari. Noi siamo stati e siamo uomini del fare, dell’agire. Bisogna prendere atto di questo risultato, rimboccarsi le maniche e riprendere a lavorare sodo nella vigna che il Signore ci ha dato in mezzadria. “Ben detto, Don Luigi! Noi non scenderemo al loro livello,”dichiarò Nicolò Vitale, il più esagitato di tutti. “Io, tanti anni fa,” proseguì Sturzo, “ ( ero giovanissimo e mi era accaduto di svolgere il mio ministero tra i quartieri più poveri della capitale ) ho fatto un sogno! In parte vi rivelai il mio sogno in quel discorso del 1905, ricordate ?” “E chi se lo può dimenticare!” esclamò Diego Caristia alzandosi, quasi riprovasse lo stesso entusiasmo di quel memorabile giorno. “ Cominciò tutto da lì! In quel discorso fatto, ai calatini alla vigilia di Natale, c’è l’abbandono della vecchia posizione di disimpegno dei cattolici italiani e, nello stesso tempo, l’embrione del nuovo partito, che avete fondato appena un anno fa, con quel meraviglioso appello agli uomini liberi e forti d’Italia.” “Per un partito indipendente dall'autorità ecclesiastica,” aggiunse Nicolò Vitale, che non poteva star seduto, “ che rinuncia a fregiarsi del titolo di cattolico, per porsi con gli altri partiti sul comune terreno della vita civile.” “Per questo oggi è giusto riconoscere la vittoria dei nostri avversari politici!” concluse il sacerdote rianimato dall’entusiasmo degli amici. “ Ma non dobbiamo smettere di sognare, specialmente dopo questa sconfitta ! Dobbiamo rimboccarci le maniche e tornare al lavoro!”  “E stavolta il campo di battaglia sarà l’Italia intera!” sbottò il solito Nicolò Vitale, provocando un sospiro di benevola riprovazione in Don Mario Sturzo, che, al campo di battaglia preferiva quella vigna del Signore evocata dal fratello. Stavano tutti, nel frattempo, sorbendo il buon caffé, preparato loro da Nellina, quando furono attratti alla finestra dal baccano proveniente da fuori. “ Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam” salmodiavano delle voci beffarde, più simili ai versi delle bestie che ad un coro di angeli. Decine di persone, appartenenti alla fazione di Carbone, manifestavano il loro giubilo, in maniera alquanto macabra, per la strada . I facinorosi avevano, infatti, preso una cassa da morto e, dopo avervi scritto con la vernice il nome di Don Luigi Sturzo, passavano e ripassavano in processione sotto i balconi di casa Sturzo cantando il miserere. “Prima o poi si stancheranno queste bestie!” esclamò sconcertato il canonico Montemagno. “Che cosa mi rimproverano i miei concittadini?”chiese amareggiato il sacerdote impallidendo. “ Di essermi battuto per l’autonomia dei comuni? Di aver spazzato via la corruzione, che era di casa in questa Amministrazione? Mi rimproverano forse di aver applicato i principi cristiani alla gestione della cosa pubblica, cercando di fare di questo nostro Municipio la casa di tutti i cittadini, non la roccaforte di poche, potenti famiglie? Si sono un prete! Ed allora? Non vedo alcuna contraddizione tra l’essere prete e fare politica. Il cristianesimo non è forse una religione militante? Il prete deve testimoniare nel mondo la propria fede, dimostrando che il cristianesimo è capace di dare una risposta ai problemi che affliggono la società e gli uomini del nostro tempo. Questa, amici miei, è la mia vocazione e non la tradirò finché campo. Anche se il mio tempo a Caltagirone è finito…Scusatemi!” Finito il suo sfogo, col viso esangue e la fronte che sudava freddo, mentre con una mano si premeva la bocca dello stomaco, Don Luigi corse via tra la preoccupazione dei suoi fedelissimi, per poi – una volta liberatosi della sua bile, accasciarsi sull’inginocchiatoio. “Dove ho sbagliato, dunque, Signore?” chiese con voce che tradiva il suo malessere, “ Sono qui, davanti alla tua Croce a pregarti di liberarmi una volta per tutte dalla volontà di affermazione e di successo ad ogni costo.  “ State meglio Don Luigi? – gli chiese  Nicolò Vitale, quando lo vide rientrare, mentre tutti gli altri si interrogavano inquieti. “Cosa intendete fare, ora ?” “Partirò per Roma, amici!” dichiarò deciso il sacerdote. “ Il nuovo partito ha bisogno delle mie cure; il mio amico De Gasperi non fa che sollecitarmi a raggiungerlo. Sono stati quindici anni bellissimi amici miei. Non li dimenticherò mai. E come potrei? Questa esperienza è stata fondamentale per la formazione del nuovo partito e, forse, lo sarà ancor di più, quando i cattolici assumeranno il governo del paese. Ma sto correndo un po’ troppo. Non ci fate caso: è il sogno che non mi da ancora tregua. Tuttavia, convengo, che la strada è ancora lunga…” Egli si concedeva, intanto, qualche minuto ancora dietro la finestra, mentre il fratello Mario e la sorella Nellina, cercavano di confortarlo. “Si, è proprio tempo che lasci la mia terra, amici miei,” esclamò commosso, mentre lo schiamazzo là fuori continuava. “Non so quando tornerò…

       Roma 6 aprile 1924

“   E chi l’avrebbe detto, Eminenza: costretto a dimettermi, in fretta e furia, da segretario del partito da me stesso fondato! Isolato, messo alle corde dal mio amico De Gasperi, che si incontra addirittura col Capo del Governo, che in più occasioni aveva apertamente dichiarato il suo odio verso il trentino. Lo stesso partito spaccato in due , con la destra che appoggia ufficialmente il Governo. Noi litigavamo a Torino sul da farsi e Mussolini, intanto, preparava la sua trappola. È in pericolo la stessa vita democratica del nostro paese Eminenza! Non parlo solo del nostro partito. Da qui a poco non esisteranno più partiti, ne a destra, ne a sinistra; solo lui, solo lui, Mussolini, esisterà! Non posso pensare che Voi non siate al corrente dei fatti dello scorso anno: della campagna di stampa, a dir poco feroce fatta partire contro di me da abile giornalista quale Lui è stato: fino a convincere i più scettici ed i titubanti che “Don Sturzo era l’uomo sbagliato dentro un partito di cattolici che deve avere a cuore il bene dello Stato; fino a convincere le stesse gerarchie ecclesiastiche – non è forse vero Eminenza ? – che i cattolici d’Italia sono con Lui! Non posso pensare che siate all’oscuro delle spedizioni punitive contro le sedi del partito, contro quelli da lui sprezzantemente definiti traditori…No, non posso credere che il Vaticano…” Era col Segretario di Stato della Santa Sede che Don Luigi Sturzo era a colloquio. L’Eminenza era uscito alquanto turbato dal colloquio avuto con Mussolini. Il Duce lo aveva convocato per comunicazioni urgenti della massima gravità. Il capo del governo gli aveva parlato con asprezza di quel “sinistro prete”, di quel “pericoloso concorrente” da mandare in esilio; facendogli intendere che non avrebbe voluto un altro prete sulla coscienza, dopo Don Minzoni; che non poteva rispondere dell’esuberanza e del fanatismo di certi suoi seguaci, esasperati, d’altronde, della manifesta ostilità del sacerdote. “Don Luigi, Don Luigi, pazienza!” lo aveva esortato. “ Io dico che non è utile a nessuno arrivare ad uno scontro diretto! Già Voi mi parlavate della dolorosa divisione avvenuta all’interno del vostro partito. Vogliamo che avvenga lo stesso all’interno dell’intera società italiana e del mondo cattolico. A volte è meglio usare prudenza e diplomazia. Non creiamo imbarazzi al Santo Padre! Il Duce sta lavorando ad una riconciliazione tra Stato e Chiesa. Non possiamo perdere questa occasione! E poi via, pensate alla vostra salute, alla vostra stessa vita! Non vogliamo perdervi, caro Don Sturzo. Siete troppo importante per noi. Questo periodo presto passerà, e potrete tornare al vostro lavoro, alla vostra vocazione, al vostro partito. Ma non dimenticate che siete prima di tutto un prete e dovete obbedienza al Santo Padre. E poi io non la farei tanto tragica. Mollare per qualche tempo, cambiare aria – ve lo ripeto -,  non potrà farvi che bene, credete a me. Penseremo noi a trovarvi una sistemazione.” Così pochi giorni dopo Don Luigi Sturzo fu costretto ad emigrare, prima a Londra,  poi, allo scoppio della seconda guerra mondiale, a New Jork. In questo periodo egli intrattenne rapporti con altri esuli antifascisti dell’area liberale e socialista, come i fratelli Rosselli, prima del loro brutale assassinio, e Salvemini; per non parlare dell’amicizia con scrittori cattolici del calibro di Maritain. Fu dal suo esilio londinese che Sturzo scrive una lettera all’ultimo congresso del partito popolare, che si svolge a Roma il 28 giugno 1925. Nel messaggio egli sperava ancora nell’aiuto della Provvidenza. Ma l’Italia si è ormai incamminata in modo brutale verso una dittatura ventennale e rovinosa, e le parole di Sturzo apparvero a molti poco realistiche; tanto più che la Provvidenza, con la benedizione della Santa Sede, aveva già scelto il suo uomo…

New Jork City  21 dicembre 1941

 “   Non credo che Ella, amico mio, voglia considerare dei nostri questa “minoranza impotente dei cattolici lateranizzati”. Voglio ricordarLe come Ella stesso sia stato costretto a dimettersi, in quel terribile 1923, dalla segreteria del Partito Popolare. No, dai suoi cattolici democratici non c’è nulla, assolutamente nulla, da aspettarsi nella lotta per la libertà e per la democrazia. Cattolicesimo e democrazia sono a mio parere incompatibili,” dichiarò Salvemini, che aveva da poco fondato la Mazzini Society, visitando Sturzo,  alloggiato in quel periodo allo ospedale San Vincenzo di Jacksonville in Florida per una lunga degenza. “ Confesso anche che La leggo sul Mondo con piacere ed estremo interesse. Sono articoli, quelli che Lei invia da questo luogo di riposo, che io stesso potrei sottoscrivere. Tanto che, discutendo con varie personalità della mia stessa parte politica – che Ella anche conosce –,  ho avuto modo di sostenere come Lei non sia clericale: in quanto professa la nostra comune fede nel metodo della libertà per tutti e sempre. Soltanto attraverso questo metodo della libertà, la sua fede prevarrà sull’errore delle altre opinioni per forza propria, senza imposizioni. E questo, credo, costituisce il terreno comune che rende possibile la nostra amicizia, al di sopra di ogni dissenso ideologico.”  “La ringrazio anzitutto per la sua amicizia, alla quale ricambio con stima ed affetto profondo. Ma tuttavia, essendo pur sempre un prete cattolico, tengo a sottolineare come la scelta concordataria non ha significato la collaborazione politica della Chiesa con il regime, ma il tentativo illusorio di normalizzare il Fascismo, di influire su di esso sia religiosamente che moralmente”, conclusosi – ahimè - con un rovinoso fallimento. “A proposito voglio confessarle, mio caro Sturzo, un mio profondo rimpianto. Alla fine degli anni venti avevo sperato che i nostri due modi di essere antifascisti – laico e cattolico – potessero saldarsi nel progetto di una rivista unitaria. Un’impresa di cultura che avrebbe potuto e dovuto sboccare a poco a poco in un nuovo raggruppamento di forze politiche. Ma poi è avvenuta la Conciliazione… Tuttavia riconosco – come ho avuto modo di scrivere, in più riprese, anni or sono – che non bisogna confondere il Vaticano e l’alto clero con la Chiesa cattolica, della quale fanno parte anche quei cittadini pacifici, che della guerra e dei crimini nazisti e fascisti non vogliono saperne. Come è anche vero che – questa cosa me la appunto, perché voglio farne oggetto di un mio futuro articolo - una civiltà che abolisse l’insegnamento morale di Gesù Cristo ci farebbe precipitare nella barbarie! In questo ho sempre dissentito dal povero Rosselli!”  “Credo che il suo anticlericalismo,” scherzò allora il sacerdote, “sia solo una lieve infiammazione temporanea, che con il suo buon senso farà presto sparire dalla mente (il cuore suo ne è intatto: ne sono sicuro!) ”  “Ho l’impressione che Lei mi voglia convertire, caro Don Sturzo!” esclamò con pari vivacità   il Salvemini. “ Ma non c’è ne di bisogno, si tranquillizzi. Deve sapere che essere anticlericale non significa essere anticristiano; ma essere più cristiano degli stessi cardinali e vescovi…” lo rassicurò alla fine del loro incontro. Era questa una delle tante conversazioni, tra Sturzo e Salvemini, che avrebbe animato il loro sodalizio intellettuale, costituito all’ombra dell’antifascismo “militante” dell’esilio, fino al comune isolamento politico nella nuova Italia Repubblicana di de Gasperi e degli altri.

      Nave Vulcania, Oceano Atlantico, 30  agosto1946

“Che nostalgia della Sicilia! Ma mi dispiace, anche, lasciare gli States, così ospitali nei confronti di noi esuli italiani e così fondamentali per la libertà e la rinascita democratica del nostro Paese. E poi lascio gli amici, i Caltabellotta e tanti altri emigrati siciliani, che mi hanno fatto sentire come a casa mia.” dichiarò Don Sturzo al cronista che l’intervistava. La sua tunica svolazzava ai refoli di vento che spiravano dall’oceano. Nell’attesa che il sacerdote finisse le sue orazioni - lette e meditate su un messalino rosso, in quel suo distratto contributo allo sfaccendato andirivieni generale che animava il ponte -, il giornalista aveva disegnato, in pochi tratti, il suo esile corpo, di cui dei sussulti di tosse rivelavano la connaturata fragilità. Di tanto in tanto, tuttavia,  gli occhi del sacerdote s’alzavano dal messalino e planavano, malinconici, l’immensa distesa d’acqua, che ancora lo separavano da un’Italia sconosciuta ed ingrata. Non sapeva, infatti, decifrare il lungo silenzio dell’ amico De Gasperi nei suoi confronti. “ Ho rinviato più volte il mio ritorno a causa della mia salute cagionevole; ma anche, perché, pensavo che i tempi non fossero ancora maturi per il mio rientro. Forse non lo sono nemmeno ora. La verità è  che, in tutti questi anni, noi esiliati ci siamo trasformati in un corpo estraneo alla vita del nostro Paese.”  proseguì con amarezza Don Sturzo, come presagendo il suo futuro di esule in patria. “ Ma deve essere chiaro, che non penso affatto di ritirarmi a vita privata a Caltagirone. Mi stabilirò a Roma, dove continuerò a fare attività politica. L’impegno civile e politico rientra da sempre nella mia filosofia di vita, da quando le condizioni di vita delle masse contadine mi strapparono alle lettere , costringendomi ad occuparmi di politica. E cominciai così da lì, dalla Chiesa di San Giorgio a Caltagirone, con la costituzione di un comitato parrocchiale. Era il 1895!  Io  ho sempre creduto che ciascuno deve fare quel che può, con spirito di fede e di sacrificio…Per questo Iddio ci ha creato, non per altro!”

     Roma, Istituto delle suore Canossiane, 10 agosto 1956

“ Non è cosa che accade di frequente: che un giovane dirigente della periferia democristiana desideri incontrarmi!” disse Don Sturzo, accogliendo nel suo studio un segretario provinciale giunto apposta dalla Sicilia. “ Il fattto è che vedo davvero poca gente in questa mia sorta di secondo esilio intellettuale.  Se per Mussoliui era un sinistro prete da esiliare; per i miei amici democristiani, a cominciare da De Gasperi,  in questi ultimi anni, sono stato un vero rompiscatole! Qualcuno – e non è uno qualunque! – è arrivato a dire che tornando dall’esilio mi sono rincretinito. Solo perché critico il loro modo di far politica.  Ma io ho le mie idee e, per esse, ho sempre combattuto con coerenza. Già ai bei tempi della mia gioventù ero contro lo statalismo, ero più liberare dello stesso Giolitti. Lungi da voler essere profeta di sventura, ma mi creda: andrà a finire che questo interventismo statale corromperà la Pubblica Amministrazione e lo stesso fronte democratico, offrendo ai giovani un uso perverso del denaro facile. Lo Stato, mio giovane amico, deve fare lo Stato, non può sostituirsi ai privati. Noto, con rammarico, che troppi democristiani concepiscono la politica come mezzo clientelare e di continui compromessi; che si confonde la DC con le stesse Istituzioni, col rischio di creare un mostro che, alla fine, divorerà se stesso!” La DC in quegli anni aveva espresso due anime: quella del partito di governo, dei mestieranti arrivati a Roma dalla provincia, col loro portafoglio di anime; e quella degli ideali. La prima rappresentata da De Gasperi  (la cui colpa forse era di circondarsi di gente senza qualità) e da tutti quei personaggi che avrebbero fatto la storia della prima repubblica; la seconda da Sturzo e poi da Dossetti. La prima, ai tempi del fascismo, aveva costretto Don Sturzo alle dimissioni e lo aveva poi isolato, al ritorno dall’esilio; portando, infine lo stesso Dossetti, deluso da quella “politica di basso profilo”, senza grandi slanci morali, al ritiro dall’attività di parlamentare. Don Luigi tacque: il tempo di bere un bicchiere d’acqua, mentre il suo interlocutore obiettava che tuttavia il Paese cresceva, c'era il miracolo economico e  la lira era fortissima. Ora gli occhi del sacerdote si accendevano dell’antica passione che aveva infiammato la sua giovinezza. In verità egli sembrava molto più giovane dei suoi ottantasei anni, molto più giovane di quel dirigente democristiano. “ Non lasciatevi fuorviare dalla cronaca.  Se impariamo a guardare oltre, possiamo pronosticare la potenziale diffusione dello Stato imprenditore ed il diffondersi della corruzione che a questo si lega. Mi ascolti, amico mio, e porti questo mio messaggio ai suoi colleghi, anche se so che nessuno vorrà seguire il mio consiglio. Non avventuratevi dietro le male bestie dello statalismo, del partitismo, dello sperpero del pubblico denaro. Non compite, vi scongiuro, quei mali passi,  che possono solo portare ad una fine ingloriosa di questa, che non riconosco più come la mia creatura.”

Roma, Istituto delle Suore Canossiane, giovedì 23 luglio 1959.

“ C’e ancora molto da fare, Giuseppe. Sarà l’Istituto da me voluto a continuare – mi raccomando senza alcun contributo statale! – la mia opera. Sarà lei il primo presidente dell’Istituto: ho già disposto tutto. Bisogna formare una nuova classe politica, un nuovo partito.. Bisogna insomma educare i giovani  ai princìpi cristiani e liberali dell'agire responsabile.” Don Luigi aveva voluto dire messa ad ogni costa, contro gli ammonimenti del suo medico e del suo confessore e si era accasciato, lì sull’altare, privo di sensi. Ora disteso sul letto dava le ultime disposizioni al suo esecutore testamentario. “ Ma è bene ora  che operi il giusto distacco dalle cose di questo mondo e prepari il mio spirito alla nuova vita che lo attende,” mormorò il sacerdote. “ È stato bello, è stato bello, ma il mio tempo sta finendo. È vero, professor Caruana?”  “ Don Luigi, il Signore è vicino.” rispose quello. “ Ringraziamo il Signore!” rispose Don Surzo, mentre il suo sguardo s’animò all’improvviso per un ricordo lontano. “Rammento che ero un bambino molto fragile, tanto che i miei genitori scelsero di non mandarmi a scuola, almeno nei primi anni della mia infanzia. Poi entrai in Seminario. Non sapevo nulla della realtà, fino a quando la Rerum Novarum non mi aprì una prima finestra nel mondo. Cominciai a considerare l’esercizio della politica come parte importante del mio impegno sacerdotale! Professando entrambi con quello stesso atteggiamento religioso che duemila anni fa Gesù è venuto ad indicarci. Fu allora che nacque il sogno: cristianizzare la politica, l’economia. Ed il sogno fu più forte, più forte anche della mia cagionevole salute….

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