![Foto di alessandroparino](getmedia.php?%20re.jgm%7DKgjugJw%7De%7C%60%3B-g93%3D02%27%3A0125-%3Faied-onoiicpezfpkdqcgqidz%2731%27%3E%05kmcnmgjgx%7B%27ek%2Fne%7Col-%3F4)
Recensire un film come Rocky Balboa? Difficile, se non impossibile.
Meglio abbandonare velleità di critica cinematografica e parlare dell'aspetto umano, soggettivo, reale, del film, che poi trascende l'analisi, per esserne il vero senso.
Rocky è un film ben fatto, sa di origine, di sudore e dolore, delle prime puntate di questa saga, non ancora declinate nell'americanismo più maccartista ed edonista.
Rocky 6, chiamiamolo così per convenzione, è una storia umana, di un uomo che è stato, per dirla col Manzoni, sulla polvere e sull'altare, e ora di nuovo sulla polvere, morta la donna che ha amato e ridottosi a fare la macchietta di sè stesso nel suo ristorante italiano a Philadelphia.
Ma l'animo guerriero è intonso, e quando si paventa la possibilità di tornare a combattere, non per soldi, non per fama, ma per orgoglio e dignità, Rocky non si tira indietro.
L'avversario, un giovane pugile negro, rappresenta l'antitesi dei valori del pugilato: conduce una vita agiata, è imborghesito, scimmiotta cantanti rap.
Poco importa il risultato del match, contano gli applausi, le urla, il sangue e le grida, l'Uomo che sa rinnovarsi e tornare a vincere, chiudendo i conti col passato, ma sapendo che esso sarà comunque e sempre ciò che siamo e da cui veniamo.