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I cattolici, a pieno titolo «soci fondatori» d?Italia

Post n°26 pubblicato il 16 Dicembre 2010 da almenoe
 

Vorrei dunque rileggere il contributo dei cattolici che, a giusto titolo, si sentono «soci fondatori» di questo Paese, alla luce delle sfide che siamo chiamati ad affrontare, per consentire a ciascuno di sentirsi parte di un «noi» capace in ogni tempo di superare interessi particolaristici, e di sprigionare energie insospettate e slanci di generosità.L'Italia «prima» dell'ItaliaCogliere il contributo cristiano rispetto al destino del nostro Paese richiede una lettura della storia scevra da pregiudizi e seriamente documentata, lontana dunque tanto da conformismi quanto da revisionismi.
È qui sufficiente accennare che al fondo di tali vicende vi era anche la principale preoccupazione della Chiesa di garantire la piena libertà e l'indipendenza del Pontefice, necessarie per l'esercizio del suo supremo ministero apostolico, e più in generale di scongiurare un «assoggettamento» della Chiesa allo Stato.L'anniversario che ci apprestiamo a celebrare è, dunque, rilevante non tanto «perché l'Italia sia un'invenzione di quel momento, ossia del 1861, ma perché in quel momento, per una serie di combinazioni, veniva a compiersi anche politicamente una nazione che da un punto di vista geografico, linguistico, religioso, culturale e artistico era già da secoli in cammino» (cfr.
Ed è il rispetto e la promozione di questa dignità che costituisce il nucleo dinamico e orientativo del «bene comune», scopo di ogni vero Stato. E alla definizione teorica, nonché alla realizzazione pratica del bene comune, il contributo dei cattolici non è stato certamente modesto.Com'è noto, il Concilio Vaticano II definisce il bene comune come «l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente» (Gaudium et Spes, 26).
E da questo humus di base, che innerva i rapporti nei mondi vitali â€' famiglia, lavoro, tempo libero, fragilità, cittadinanza â€' che nasce quella realtà di volontariato cattolico e laico che fa respirare in grande e che è condizione di ogni sforzo comune, e di operosa speranza.La Chiesa educa per il bene dell'ItaliaDi questo modo di pensare, accanto alla famiglia â€' incomparabile matrice dell'umano - la società intera è frutto, cattedra e palestra.
Fonte:
http://www.avvenire.it/Dossier/CEI/Prolusioni/prolusione+150+italia_201012030801347330000.htm

 
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Commenti al Post:
pgmma
pgmma il 18/12/10 alle 14:28 via WEB
Moltissimi uomini che prima conquistano la fiducia degli elettori e poi, avuto un incarico pubblico, rubano. Che cosa rende ladro un uomo, in un rapporto di fiducia? Innanzitutto, alcune caratteristiche di personalità: l'ambizione, l'avidità, il desiderio di potere e di visibilità. In sé molto diffuse, predipongono al furto quel sottogruppo particolare di uomini in cui queste caratteristiche sono unite a un tratto molto specifico: la voglia di emergere senza fatica, "facendo i furbi", magari sfruttando "una faccia perbene". Quindi non per merito né per impegno, non per competenza né per disciplina, e nemmeno per sacrificio o dedizione a una causa di qualità: il furbo cerca di ottenere il massimo con il minimo sforzo. Quindi anche il massimo del denaro. Ebbene, ora in periodo d'Avvento , in cui si legge che Giovanni Battista parlava schitto ai potenti e agli scribi e farisei, sapendo che così facendo andava incontro a gravi dispiaceri,si viene a sapere che il nostro cardinale (=cardine) Bagnasco ha cenato amichevolmente con l'irreprensibile Cavaliere partlando di tutto tranne del nome della velina che a capodanno dev passare la notte con lui per santificarlo. E quando si ttrasgrediscono (s'infrangono) i limiti: si ruba a livello personale, professionale, pubblico. Il punto è che, in questa "furbizia", c'è un disprezzo sistematico degli affetti e delle regole, la deriva delle norme, un lassismo morale crescente e trasversale, un semplice "peccato veniale", anzi venialissimo, quasi inesistente.
(Rispondi)
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