Australia, istruzioni semiserie per l’uso
L’epopea del surf e dei suoi eroi è stata narrata in una splendida
pellicola americana degli anni ’70,
cult movie che ha inciso profondamente sui gusti di un’intera
generazione. “A big Wednesday”, “Un mercoledì da leoni”
in italiano, riporta nei sottotitoli una frase scritta senza
paura della retorica: “ ….arriva un giorno che non è
come gli altri e nulla dopo sarà più come prima”.
L’Australia, terra del surf, dà esattamente questa
vertigine da momento topico, la sensazione forte di
costituire un punto nodale, un crocevia nell’esperienza
umana di chi la vive per la prima volta.
A questo stato d’animo ti predispone il viaggio che
per molti di noi si è dipanato via via in un interminabile
Bologna-Roma-Francoforte-Sidney-Brisbane, oltre a
cento chilometri in pullman per raggiungere Surfers
Paradise.
Già in volo ti rendi conto delle dimensioni, dal momento
in cui si inizia a sorvolare il territorio australiano fino
a destinazione passa mezza giornata. La Gold Coast
vista dall’alto è una lunga lama
di spiaggia bianca conficcata tra la vegetazione tropicale
dell’interno e l’azzurro dell’oceano, una teoria senza fine
di grattacieli posti di fronte allo spettacolo sottomarino
della barrier reef, la barriera corallina che si intuisce
pulsante di vita appena sotto il pelo dell’acqua.
Surfers Paradise è il capoluogo di questa località del
Queensland, e qui erano sistemate le delegazioni presenti
al campionato. Una città cresciuta a ritmi vertiginosi negli
ultimi vent’anni grazie a generose iniezioni di capitali nipponici,
un po’ Riccione e un po’ Miami, con alcune caratteristiche
originali: finti surf di metallo piantati nel selciato del viale
principale, spruzzi d’acqua a sorpresa dal basso verso l’alto,
illuminazione notturna psichedelica per alcune delle zone
più frequentate.
Per i giovani australiani sono appena terminate le scuole e
i primi giorni di vacanza vengono vissuti con un’euforia pari
solo alla voglia di trasgressione. Dal nostro osservatorio
privilegiato nella veranda all’aperto del ristorante italiano
“ La Porchetta ” vediamo sciamare lungo Orchid Avenue
una gioventù che appare più ingenua e meno sofisticata
della nostra: anche qui ombelichi scoperti, zatteroni,
piercing, tatuaggi ma più gaiezza e nessuna traccia di
quell’esibizionismo malinconico da dandy fine ottocento
che si può percepire in alcuni nostri campioni metropolitani.
In questa polveriera i ragazzi della nazionale talvolta
vengono attratti dalle sirene come Ulisse, c’è qualche
problema di “esuberanza”, diciamo così, soprattutto
con gli juniores, ma alcuni interventi decisi dello staff
normalizzano la situazione.
Ogni cosa gravita ovviamente intorno alla spiaggia che
sembra location ideale per una puntata di Baywatch.
Ma se non ci è dato di assistere all’incedere ancheggiante
di Pamela, possiamo comunque apprezzare la scrupolosità
con cui i bagnini controllano il mare, che non è di plastica
come in altre località balneari. L’onda è sempre imponente,
la risacca toglie il fiato al bagnante che vuole guadagnare
la riva, e le giornate di burrasca sono il vero spettacolo della
Gold Coast.
Negli innumerevoli negozi dei centri commerciali il mondo
marinaresco e l’artigianato delle zone interne costituiscono
i temi dominanti dei souvenir per turisti. Il business omologa
tutto, il mito moderno del surf viene esaltato sulle magliette
così come la cultura ancestrale degli aborigeni, tradizione
che rivive solo negli intagliatori di boomerang e didgeridoo o
nei canti propiziatori della nazionale di rugby.
Ho la consapevolezza che solo una piccola parte di questo
territorio ci si appalesa e forse quella che vediamo noi non
è neanche l’Australia più vera. La rapida puntata al parco
Currumbin Sanctuary ci offre uno spaccato delle foreste
dell’interno, con una vegetazione esagerata e strabordante
per i nostri canoni di modesti giardinieri della domenica.
Molte piante sono simili alle nostre, la differenza è che ogni
fiore, ogni arbusto è grande almeno il doppio, come se si
nutrisse di qualche linfa aliena.
Per quanto riguarda gli animali passiamo in rassegna i canonici
esemplari da cartolina, koala e canguri in quantità, ma quello
che impressiona è una sorta di piccolo maiale, assolutamente
sgraziato, che dicono essere voracissimo e in grado di
divorare un uomo in pochi minuti. Le giornate del campionato
corrono veloci e si avvicina l’incubo delle oltre trenta ore di volo
per il ritorno.
Ognuno nel gruppo ha vissuto questa esperienza in modo
diverso, c’è anche chi si aspettava qualcosa in più da questa
terra mitizzata. Mi sento di poter dire che non si può avere
una cognizione definita degli spazi e di cos’è un orizzonte
se non si è stati qui e come gli altri penso che bisognerebbe
tornare per la “faccia buia della luna” come cantavano i
Pink Floyd, la parte di Australia che non abbiamo visto.
Pronti via, ora il vero problema è imbarcare i didgeridoo
come bagagli a mano: sento che al check in qualcuno ci
prova con una frase tipo "siamo musicisti della filarmonica
aborigena". Da vergognarsi.
Fabio Signorini
Inviato da: alusia_asdpa
il 06/04/2008 alle 22:55
Inviato da: Anonimo
il 23/03/2008 alle 15:28
Inviato da: Anonimo
il 09/03/2008 alle 19:39
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il 09/03/2008 alle 19:34
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il 28/02/2008 alle 22:34