In bagno davanti allo specchio appannato.
Pulisco con la mano in cerca della mia immagine, metto a fuoco.
Sono io? Mi intravedo dietro squame di pelle. La mia maschera.
Ho scordato di coprire lo specchio.
Ti guardi, non urli.
Saluti, mandi baci, parli del tempo.
Ti accarezzo i capelli, piano,
per non disturbarti.
Sono come terra riarsa, percorsa di fitte crepe.
Profonde, troppo lontano quel sotto dove infilo il naso e gli occhi.
Pioggia che batte sui vetri, ancora, ogni giorno. Respiro acqua.
Li apro questi vetri, mi investe il vento,
vento ed acqua a lenire la sete.
Ritardo ancora la caduta della maschera.
Ritardare, spostare in avanti.
Credere di avere tempo illimitato.
Pomeriggio inoltrato. Condivido il silenzio e l'aria con questa panchina.
Verniciata di verde. Mattoni rossi dietro la testa.
Me ne sto a guardare treni che arrivano improvvisi,
senza alcun annuncio, nessuno ad attendere nessuno.
Solo vento e sferragliare che taglia i pensieri, che spezza il respiro.
Il treno frammenta il percorso della mente,
rotolano a terra le immagini interiori.
Quando le raccolgo, svaniscono.
Restano schegge di vetro in cui si specchia un cielo che vira al nero.
Silenzio, solitudine e temporale. Infanzia.
Chi sopravvive all'infanzia può riempire libri e libri di parole.
Mi stendo, nessuno passa mai di qui. Chiuso, sbarrato,
ciò che resta di una piccola stazione.
Morto, abbandonato.
Vuoto nel vuoto. Mi calmo a contatto con il cemento caldo.
Silenzio, chiudo gli occhi.
Poi ancora treni, colori sullo sfondo della campagna.
Colori dell'infanzia. Del presente.
13/06/2007
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