presidente della fondazione Casa della Carità "Angelo Abriani"Ormai l'immigrazione è una realtà costitutiva della nostra società. Per questo bisogna impostare delle riflessioni sul tema improntate alla massima semplicità e serenità. In primo luogo, dobbiamo abituarci a considerare l'immigrazione un fenomeno strutturale e non più soltanto episodico o di emergenza. Anzi, direi che esso è insito nello sviluppo del nostro paese. Entra nelle dinamiche lavorative, scolastiche, culturali e in tutte le sfere della vita quotidiana. Pensare l'immigrazione come realtà costitutiva e costituente della nostra società significa, ad esempio, guardare ai problemi dei ricongiungimenti famigliari e alle complessità legate all'inserimento sociale delle seconde generazioni. Rompere con la visione emergenziale vuol dire anche smettere di considerare il migrante come povero e ritenerlo, invece, persona portatrice di diritti, di socialità e di responsabilità, che costruisce insieme a noi il mondo che ci circonda. Un altro concetto che dobbiamo conquistare è che non esiste l'immigrazione, ma esistono gli immigrati. Il fenomeno di cui stiamo parlando sono i volti e le storie di essere umani, il loro contesto di provenienza, le articolazioni che li hanno spinti a scegliere di abbandonare il proprio paese. Si tratta di fare valutazioni complesse e approfondite, che richiedono attenzione e che riguardano dimensioni che non sono solo etniche, ma anche culturali, religiose, legislative ed economiche. Per soffermarci e cercare di comprendere la molteplicità degli aspetti da analizzare dobbiamo abbattere i pregiudizi. Dobbiamo rompere con una società che, da una parte, ha paura dello straniero e lo considera un pericolo, e dall'altra idealizza l'accoglienza e l'ospitalità con accenti di buonismo. L'atteggiamento più corretto è entrare nel merito dei problemi, guardare in faccia le persone e occuparsi concretamente di quelle dimensioni, culturali, religiose, legislative ed economiche, che costituiscono l'essenza della questione. Bisognerebbe iniziare a parlare di costruzione di rapporti e di dialogo tra le religioni. Quest'ultimo argomento è ancora un inedito quando si parla di immigrazione. E poi di meccanismi di rappresentanza, di società meticcie. Cambiare prospettiva significa iniziare a considerare i migranti come una risorsa e non un problema. Sul fronte delle politiche sociali abbiamo bisogno di approcci che non siano più soltanto di tipo repressivo, ma che parlino sempre più di senso di integrazione, di ospitalità, di confronto, di innovazione, di crescita positiva. Esistono dei nodi, urgenti ed estremamente problematici, che non vanno dimenticati e su cui occorre costruire delle risposte concrete. Uno di questi riguarda i grandi temi della casa e del lavoro. C'è poi la questione legislativa, con un permesso di soggiorno da ritirare in questura come se i migranti fossero un mero problema di ordine pubblico, che scompare quando si è "regolarizzati". Inoltre, non dimentichiamo che, se su tre immigrati due sono regolarizzati "post", vuol dire che c'è qualcosa che non va e che, soprattutto, si creano delle dinamiche di aspettativa, di corsa ad arrivare nel nostro paese, che sono assolutamente non corrette. Si creino piuttosto politiche della casa, del lavoro, dei diritti, della partecipazione al voto amministrativo, della dignità. È altrettanto evidente che il fenomeno migratorio trascina con sé situazioni di disagio e precarietà, di speculazione e criminalità. Se da un punto di vista quantitativo parliamo di proporzioni ridotte, si tratta comunque di un problema importante. Qui bisogna agire, togliere subito gli aspetti negativi, bonificare al più presto tutte quelle situazioni dove si innestano mercati criminali. È indispensabile che ognuno faccia la sua parte: le questure facciano le questure e intervengano da un punto di vista repressivo. Chi si occupa dei giudizi, li faccia. Anche questo fa parte del modo serio di affrontare tutto il fenomeno, nella sua complessità e globalità. Quello che occorre fare è mutare è la politica di contenimento in politica di investimento. Un ultimo dato, che non possiamo tralasciare né confondere, è il tema dei rifugiati e dei richiedenti asilo. C'è un grave ritardo legislativo e di risposte. Tutte le organizzazioni lo denunciano da tempo. La specificità del tema ci impone di allargare il quadro dalla dimensione cittadina a quella nazionale e persino europea. A chiedercelo, con urgenza, è la necessità di voler risolvere veramente i problemi, partendo dalle persone.Don Virginio Colmegna
Immigrazione secondo don Virginio Colmegna
presidente della fondazione Casa della Carità "Angelo Abriani"Ormai l'immigrazione è una realtà costitutiva della nostra società. Per questo bisogna impostare delle riflessioni sul tema improntate alla massima semplicità e serenità. In primo luogo, dobbiamo abituarci a considerare l'immigrazione un fenomeno strutturale e non più soltanto episodico o di emergenza. Anzi, direi che esso è insito nello sviluppo del nostro paese. Entra nelle dinamiche lavorative, scolastiche, culturali e in tutte le sfere della vita quotidiana. Pensare l'immigrazione come realtà costitutiva e costituente della nostra società significa, ad esempio, guardare ai problemi dei ricongiungimenti famigliari e alle complessità legate all'inserimento sociale delle seconde generazioni. Rompere con la visione emergenziale vuol dire anche smettere di considerare il migrante come povero e ritenerlo, invece, persona portatrice di diritti, di socialità e di responsabilità, che costruisce insieme a noi il mondo che ci circonda. Un altro concetto che dobbiamo conquistare è che non esiste l'immigrazione, ma esistono gli immigrati. Il fenomeno di cui stiamo parlando sono i volti e le storie di essere umani, il loro contesto di provenienza, le articolazioni che li hanno spinti a scegliere di abbandonare il proprio paese. Si tratta di fare valutazioni complesse e approfondite, che richiedono attenzione e che riguardano dimensioni che non sono solo etniche, ma anche culturali, religiose, legislative ed economiche. Per soffermarci e cercare di comprendere la molteplicità degli aspetti da analizzare dobbiamo abbattere i pregiudizi. Dobbiamo rompere con una società che, da una parte, ha paura dello straniero e lo considera un pericolo, e dall'altra idealizza l'accoglienza e l'ospitalità con accenti di buonismo. L'atteggiamento più corretto è entrare nel merito dei problemi, guardare in faccia le persone e occuparsi concretamente di quelle dimensioni, culturali, religiose, legislative ed economiche, che costituiscono l'essenza della questione. Bisognerebbe iniziare a parlare di costruzione di rapporti e di dialogo tra le religioni. Quest'ultimo argomento è ancora un inedito quando si parla di immigrazione. E poi di meccanismi di rappresentanza, di società meticcie. Cambiare prospettiva significa iniziare a considerare i migranti come una risorsa e non un problema. Sul fronte delle politiche sociali abbiamo bisogno di approcci che non siano più soltanto di tipo repressivo, ma che parlino sempre più di senso di integrazione, di ospitalità, di confronto, di innovazione, di crescita positiva. Esistono dei nodi, urgenti ed estremamente problematici, che non vanno dimenticati e su cui occorre costruire delle risposte concrete. Uno di questi riguarda i grandi temi della casa e del lavoro. C'è poi la questione legislativa, con un permesso di soggiorno da ritirare in questura come se i migranti fossero un mero problema di ordine pubblico, che scompare quando si è "regolarizzati". Inoltre, non dimentichiamo che, se su tre immigrati due sono regolarizzati "post", vuol dire che c'è qualcosa che non va e che, soprattutto, si creano delle dinamiche di aspettativa, di corsa ad arrivare nel nostro paese, che sono assolutamente non corrette. Si creino piuttosto politiche della casa, del lavoro, dei diritti, della partecipazione al voto amministrativo, della dignità. È altrettanto evidente che il fenomeno migratorio trascina con sé situazioni di disagio e precarietà, di speculazione e criminalità. Se da un punto di vista quantitativo parliamo di proporzioni ridotte, si tratta comunque di un problema importante. Qui bisogna agire, togliere subito gli aspetti negativi, bonificare al più presto tutte quelle situazioni dove si innestano mercati criminali. È indispensabile che ognuno faccia la sua parte: le questure facciano le questure e intervengano da un punto di vista repressivo. Chi si occupa dei giudizi, li faccia. Anche questo fa parte del modo serio di affrontare tutto il fenomeno, nella sua complessità e globalità. Quello che occorre fare è mutare è la politica di contenimento in politica di investimento. Un ultimo dato, che non possiamo tralasciare né confondere, è il tema dei rifugiati e dei richiedenti asilo. C'è un grave ritardo legislativo e di risposte. Tutte le organizzazioni lo denunciano da tempo. La specificità del tema ci impone di allargare il quadro dalla dimensione cittadina a quella nazionale e persino europea. A chiedercelo, con urgenza, è la necessità di voler risolvere veramente i problemi, partendo dalle persone.Don Virginio Colmegna