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Edvard Munch. Arte3

Post n°3638 pubblicato il 01 Marzo 2010 da artfactory
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In un'altra versione di questo dipinto (1901), forse quella più conosciuta, le tre ragazze tutte rivolte verso la stessa direzione osservano il paesaggio che si riflette nell'acqua. In questa riflessione esiste un particolare che è balzato all'attenzione di tutti, cioè che nell'immagine riflessa, accanto al grande albero, "fallico", manca la luna. Ma in realtà vi è un'altra caratteristica che può far pensare ad una sorta di lapsus pittorico, come nel caso del Grido. La casa che si riflette è diversa, reciproca, rispetto a quella reale. La parte più bassa del tetto diviene nel riflesso quella più alta e viceversa; compare una finestra in più nel riflesso che non esiste nella "realtà". Ciò che le ragazze vanno osservando è lo spazio della mente, popolato dagli oggetti della storia che possono declinarsi secondo due registri: da un lato vi è lo spazio dei ricordi, dove gli oggetti vengono conservati anche nelle loro relazioni tra loro. In particolare sembra che la luna, l'albero e la casa, nello spazio "reale" configurino una relazione tra padre e madre che crea lo spazio della familiarità. E' questo quindi lo spazio del ricordo e della creatività. Nel riflesso viceversa si configura lo spazio del "trauma", della perdita dell'oggetto. In questo spazio campeggia l'assenza, il luogo dove era l'oggetto, la non-cosa bioniana. L'elaborazione del lutto non toglie la perdita: se nella realtà la vita può riprendere il suo corso in una relativa tranquillità, nel profondo dell'anima i vuoti restano, anche se la riparazione può addirittura creare qualcosa in più rispetto al reale. Come osserva F. Meotti "nel momento stesso in cui procede alla riparazione dell'oggetto...crea di fatto un oggetto nuovo, ma, soprattutto, crea la propria creatività...[la riparazione] appare come un processo molto complesso in cui non è sufficiente l'affiancarsi di nuove esperienze buone accanto a passate esperienze cattive, ma in cui è necessario che l'esperienza vitale e sempre più importante del presente rafforzi la coesione e il peso che il sè dà a se stesso, in modo tale da variare il tono affettivo della memoria senza adulterarne il significato" (1998, p. 150). In questo senso mi piace pensare che sia la realtà soprastante ad essere un riflesso di quella sottostante, uno spazio in cui il sé ha potuto "variare il tono affettivo della memoria", attingendo comunque a primitive esperienze legate alla presenza viva e vivificante della madre. Pensiamo qui alle esperienze vitali rappresentate nella vita di Munch dall'eredità positiva materna legata proprio alla sensibilità artistica - la madre di Munch era estremamente dotata artisticamente- ma poi dal rapporto con la zia e con la sorella Inger.

Questi dipinti richiamano Melanconia del 1894-95 ca., in una della sue varie versioni, appartenente al Fregio della vita, l'ideale opera d'insieme in cui Munch desiderava descrivere il cammino interiore dell'esistenza.
Anche qui vediamo come la tristezza del soggetto trovi una sua collocazione in uno spazio vitale, sia inteso come una natura dai colori tenui e sfumati, sia come vita che si svolge tranquillamente, anche se alle spalle del protagonista.
Lo stesso clima che si ritrova in un dipinto del 1889, Notte d'estate o Inger sulla spiaggia, in cui la dolce malinconia della sorella, immagine di vitalità per eccellenza nell'opera pittorica di Munch, si dispiega nelle luci tenui e calde della notte estiva, in un relativo ritiro dalla vita vissuta, presente tuttavia nelle pertiche delle nasse e nella barca dei pescatori che si distinguono sullo sfondo.
La disperazione e l'angoscia indicibile non occupano tutta l'opera, il ritratto dei bambini Linde, o della bambine di Aagarstrand, denotano una oscillazione momentanea verso la vitalità e un calo della tensione angosciosa nella vita del pittore. Alle soglie della sua crisi dipinge Danza sulla spiaggia.
Qui abbiamo la rappresentazione di una gioia connessa all'infanzia che potrebbe apparire quasi come una negazione maniacale del proprio lutto e dell'angoscia, se non fosse per l'apparire delle altre tre figure, le due in nero e quella in rosso, che ripropongono la simbologia della Danza della vita. Però qui non si ha quella paralisi del tempo che contraddistingue quel dipinto, ma una successione, la rappresentazione delle fasi della vita, l'infanzia, la maturità con le sue passioni, il declino.
E ancora troviamo un ambiente in cui il dispiegarsi del tempo avviene in un clima di non persecutorietà, una madre-natura accogliente, anche in funzione di una specie di combinazione edipica in cui la funzione materna è sostenuta dalla figura paterna dell'albero, che sembra avere propriamente una funzione discriminante, evitando le confusioni tra le fasi descritte, in quanto ciascuna è separata dall'altra dai rami che le incorniciano.
Questa funzione strutturante dell'edipo è quella che permette di distinguere tra sè e altro, tra interno ed esterno, tra fantasia e realtà. E' questa che permette ad uno spazio contenitivo di non divenire confusivo e simbiotico, e quindi permettere trasformazione e crescita mentale.

Lo spazio interno in cui si possono discriminare le diverse esperienze del Sè permette a Munch di accostarsi ad una visione più libera della vita intorno a lui, ad acquisire una visione dello spazio non più dominato dalla paura e da una temporalità persecutoria, ma in cui i diversi elementi si integrano in una naturalità sempre maggiore, come per esempio nel dipinto Notte d'estate.
In particolare possiamo notare come le figure della temporalità si modifichino, confrontando le due versioni del Grido proposte, Disperazione, e Ragazze sul ponte.
La linea prospettica che vorticosamente porta verso una profondità insondabile, le origini come la morte, presente in Disperazione e nel Grido litografico, diviene quella linea che si spezza nel Grido del '93, un percorso del tempo della vita in Ragazze sul ponte. Qui la linea prospettica si adatta alla presenza delle figure, comprese forse in un'attesa, in rapporti umani, anche in pause melanconiche, ma con la tranquillità del vedere svolgersi sotto i loro occhi il cammino delle emozioni, i percorsi della vita, i riflessi della realtà nella profondità della mente, rappresentati dai riflessi nell'acqua, il tempo attuale a confronto con quello passato e quello futuro, massimamente espresso proprio in questa versione del dipinto, con una delle figure che guarda in direzione opposta alle altre due, come a sottolineare una possibile reversibilità della temporalità nello sguardo interiore.
Proprio questa discriminazione, una nuova prospettiva temporale, giunge alla sua più chiara esplicitazione nell'opera Le quattro età.
Il cammino del tempo si dispiega così nell'arco delle fasi dell'esistenza, che, non più fissata nell'attimo del trauma, trova la sua naturale successione in un percorso racchiuso in una prospettiva mobile, delimitata dal quotidiano. La bambina in primo piano, che, come rileva Bischoff (1994, p. 68), ricorda la sorella del dipinto La madre morta e la bambina, sembra potersi lasciare alle spalle le immagini della morte e guardare innanzi in una strada della vita che le si apre davanti sconosciuta, ma che contiene immagini di un tempo che non priva dei propri oggetti primari, bensì permette loro di crescere e di invecchiare, conservandosi nello spazio del proprio mondo interno. Le figure femminili che invecchiano rappresentano, nell'esperienza interna di Munch, una rappresentazione della consolidata affermazione nel proprio spazio interiore di immagini vive con cui può confrontarsi e sentirsi sostenuto, e non con la presenza della morte, ovvero un oggetto buono assente che, con la sua assenza, si tramuta in oggetto persecutorio presente.

In effetti le uniche figure femminili che Edvard ha potuto veder invecchiare sono state la zia e la sorella Inger. Nei ritratti che si succedono di Inger (1892) ritroviamo il continuo attingere, da parte di Munch, ad una immagine interna di vitalità che, nonostante tutte le vicende luttuose che ha dovuto affrontare, è sempre, in qualche misura, stata presente.
Nella sorella Inger, così centrale nell'elaborazione della propria vicenda esistenziale, Munch sembra condensare tutta la vitalità che ha potuto attingere dalle figure materne della sua vita: la madre stessa, la sorella Sophie, la zia Karen, una vitalità che si sprigiona prepotente in particolare in un ritratto precedente, in cui lo sguardo sembra uscire dalla cappa luttuosa dell'abito e dello sfondo nero come un trionfo della vita sulla morte (1884).
A questa figura della vita fa da riscontro Il sole (1909-11), gigantesco monumento alla vitalità paterna, forse un poco "sovrumana", vista l'ispirazione nietzschiana da cui il dipinto è partito, ma che sviluppa al massimo grado quell'elemento fecondo dell'incontro del sole col mare, che nelle opere precedenti vedeva il sole sempre rappresentato in tono "minore". Qui viceversa la sua potenza calorosa trova il suo dispiegamento completo, anche in funzione di una maggiore "penetrazione" nell'ambiente marino.
Nel famoso Autoritratto tra la pendola e il letto (1942-43), forse il suo ultimo quadro, Munch vecchio e curvo sosta tra gli assi della temporalità e la non temporalità, l'asse verticale della pendola - il tempo della vita - e quello orizzontale del letto - l'eternità della morte -, indicando come il suo tempo sia finito, attraverso il simbolo, forse ripreso anche da Bergman in "Il posto delle fragole", dell'orologio senza lancette. Alle sue spalle tutta la sua vita, i suoi quadri, il sogno di una passione (il nudo femminile che si vede alla sua sinistra) che non ha potuto trovare una realizzazione. L'elaborazione solitaria, mediata dalla creazione artistica, non gli ha permesso di giungere ad una fiducia nel legame sufficiente per realizzare un rapporto stabile e creativo - si pensi al suo rapporto burrascoso con Tulla e al suo epilogo segnato da una "castrazione" nemmeno tanto simbolica, la perdita di un dito della mano sinistra -; il tentativo di padroneggiare l'esperienza traumatica, come osserva Green (1980), produce "sublimazioni [che] mostreranno la loro incapacità ad esercitare un'azione equilibratrice dell'economia psichica, perchè il soggetto resterà vulnerabile in un settore particolare, quello della sua vita affettiva" (p. 278-279).

Il "progetto trasformativo dell'esperienza artistica" (Conforto, 1997), non può colmare completamente il "buco" lasciato da quegli eventi della storia infantile; nel suo ultimo autoritratto la luce che penetra e illumina il pavimento ai suoi piedi, e che benché formi una croce come quella di una pietra tombale, come osserva Di Stefano (1994), lo sostiene tuttavia fino all'ultimo momento del suo tempo, luce della vitalità che ha saputo ritrovare nella costruzione del suo mondo interno, grazie al recupero doloroso, attraverso il lavoro del lutto, delle figure vive dei suoi genitori, degli oggetti primari, che per lo meno hanno potuto mitigare il peso del posto occupato al centro del proprio apparato psichico dalla "madre morta", quegli oggetti primari che noi tutti possiamo ritrovare lungo il corso della vita, e che ci donano momento per momento nel nostro cammino la sostanza e il sostegno per il nostro esistere.
"Reinsediando dentro di sè...i genitori buoni... e ricostruendo il proprio mondo interiore disgregato e in pericolo, il soggetto supera il cordoglio, riacquista il senso della sicurezza e perviene a un'autentica armonia e a una vera pace" (Klein, 1940, p. 354).
Munch non è giunto fino al limite di ricostruire il proprio mondo interno pervenendo ad "un'autentica armonia e a una vera pace", ma, grazie ad un'esperienza infantile precedente ai traumi luttuosi che lo hanno indelebilmente segnato, deve aver trovato un'esperienza familiare dove lo spazio della creatività ha potuto svilupparsi sufficientemente, senza essere annientato dall'esperienza traumatica. Questa creatività, tratta forse da una coppia genitoriale che, nei cinque anni dopo la nascita di Edvard, ha avuto altri tre figli, nonostante la malattia della madre, si è sviluppata nell'artista permettendogli di "mettere in contatto con il mondo esterno le ... verità interiori, scavalcando d'un balzo sia le prigioni psichiche della follia sia le espressioni compiacenti di un adattamento 'come se'" (Conforto, 1997, p 82), senza così dover mai rinunciare alla sua originalità espressiva.

Alcune considerazioni sui destini del "traumatico".

La storia dell'infanzia di Munch potrebbe far immaginare uno sviluppo disastroso, allo sbocco in una vera e propria follia, quella che in effetti più volte egli ha toccato e contro la quale ha dovuto lottare per tutta la vita. Quell'esperienza che ha portato d'altronde alla follia una sorella, alla morte di altri due fratelli, ma in cui lui ha trovato sufficiente sostanza perchè dal trauma potesse essere recuperata una capacità di crescita della mente in qualche modo creativa.
Secondo la concezione psicoanalitica più attuale, che insistentemente torna a riflettere sul significato del "traumatico", il trauma "si genera non tanto per l'evento in sè, quanto per la sua inelaborabilità" (Giaconia e Racalbuto, 1997) e genera, sempre in accordo con questi autori, dei fantasmi che "esprimono le tracce mnestiche grezze, cioè tracce di esperienza slegate da un contesto rappresentativo linguistico" (ibid., p. 542).
L'inelaborabilità dell'esperienza si lega ad una insufficienza relativa dell'apparato per pensare i pensieri, ovvero ad una carenza di rèverie dell'oggetto primario. Può quindi essere compresa in una concezione della mente che consideri tanto l'intrapsichico che l'interpsichico. Nell'esperienza del bambino è naturale che certe esperienze richiedano la presenza della mente della madre per poter essere transitate. In questo senso la solitudine in cui si può trovare il bambino, per un'assenza fisica o mentale della madre, diviene elemento traumatico in funzione della mancanza di un'apparato per lui vitale perchè la sua mente non venga allagata o disintegrata da un contenuto inassimilabile. Perchè il bambino possa giungere ad una introiezione stabile di una funzione di pensiero, deve essere in grado di riconoscere "il valore della capacità di pensare in quanto strumento idoneo ad attenuare la frustrazione presente tutte le volte in cui predomina il principio di realtà" (Bion, 1962b, p. 74). Questo valore viene trasmesso attraverso il legame affettivo nella misura in cui la "madre" è convinta di questa idoneità, così come noi cerchiamo di trasmetterlo ai nostri pazienti, al di là del contenuto specifico dell'interpretazione. E' la passione del "pensare", in senso bioniano, in quanto ricerca della "verità su se stessi" (Grinberg, 1979) che viene trasmessa più profondamente.

 

BANBINA-MALATA

Il lutto legato alla perdita della madre, rappresenta, nell'età in cui Munch l'ha patito, un'esperienza che si pone ai limiti della possibilità di concepire una elaborazione per una mente ancora così bisognosa di un supporto. Sarebbe proprio della madre, della sua capacità di consolare e dare conforto che il bambino, di fronte ad un carico di emozioni così grande, avrebbe bisogno; ma è proprio questa che viene a mancare. La possibilità di avere dentro di sè un oggetto interno materno sufficientemente solido appare, in un'età così precoce, e con le vicende familiari specifiche di Munch, profondamente problematica. L'ambiente familiare in questo momento viene rappresentato da Munch come completamente assorbito dal lutto, venendo così a interdire la possibilità di un reperimento di un oggetto materno sostitutivo, capace di ricevere la comunicazione di angoscia del bambino e di contenerla. Questo ambiente così chiuso su di sè e sul proprio dolore viene a configurare un ambiente "madre-morta" nell'accezione di Green: l'evento trasforma "l'oggetto vivente, sorgente della vitalità del bambino, in una figura lontana, atona, quasi inanimata" (1980, p. 265). Inoltre il lutto appare inelaborabile, e quindi la situazione si pone come psichicamente traumatica, in funzione della "conferma" che la morte reale della madre viene ad avere in ordine alle fantasie distruttive del bambino verso il corpo materno, e la sua relazione col padre (Klein, 1935, 1940). La figura paterna in particolare, durante l'infanzia e l'adolescenza di Edvard, con tutta la sua patologia legata la tema della colpa, e della propria insufficienza, non sembra avere la possibilità di accollarsi il peso del lutto e del distacco. Forse il piccolo Munch avrebbe potuto pretendere qui di ritrovare una figura capace anche di accollarsi il carico di accuse, della delusione della credenza infantile nell'onnipotenza del genitore, catalizzando ed elaborando l'odio che la separazione in ogni caso viene a creare. Perché il bambino possa vivere liberamente e elaborare il proprio sadismo verso le figure genitoriali, è necessario che queste non vengano realmente distrutte, sopravvivano agli attacchi; il legame dei genitori che si rivela fecondo, come nel caso dei genitori di Munch, produce tanta gelosia, per la nascita di tutti i fratelli, ma anche tanta fiducia che questi attacchi non sterilizzino la coppia. Ma dopo la morte della madre la vitalità della relazione genitoriale si perde, e Munch si ritrova ad avere a che fare con una madre morta e un padre distrutto.

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