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Rifiutando la definizione del brigantaggio come fenomeno delinquenziale che ci è stata impartita, sarebbe storicamente corretto accogliere un’interpretazione più convincente, ovvero quella di una «rivolta anarcoide, risposta selvaggia, priva di regole e di programmi, di un popolo stremato da antiche questioni economiche» (R. Nigro). Una rivolta in cui può accadere che il brigante diventi ciò che Friedrich Schiller, nel dramma «I Masnadieri», voleva che fosse: «Un giustiziere contro la madre di tutti gli inganni: la politica».
Paradossalmente, vittima della storia, anche il Piemonte ha avuto i suoi briganti: nel 1796, contro l’occupazione francese. E non erano briganti tanto diversi da quelli che l’Italia unificata dai Savoia decise di far giustiziare sul campo con l’applicazione della legge Pica. Tale legge, contraria a molte disposizioni costituzionali, colpiva non solo i presunti briganti, ma affidava ai tribunali militari anche i loro parenti e congiunti, semplici sospetti o nullafacenti. Non è una coincidenza storica con quanto sarebbe avvenuto nel Novecento, se la legge Pica fu promulgata dal parlamento della Destra, preceduta da inchieste parlamentari a porte chiuse, o senza un numero sufficiente di parlamentari. La legge Pica avrebbe fornito i presupposti giuridici a quella che era, in pratica, una vastissima e radicale operazione di repressione, a volte sfociata in veri e propri casi di crimini contro l'umanità, come per la distruzione dei paesi di Pontelandolfo e Casalduni, e il genocidio di tutti gli abitanti.
Il parlamento della nuova Italia non volle vedere nella rivolta sociale delle province una violenta reazione all’aggressione piemontese. Infatti, già gli eventi del 1860-61 (dopo un susseguirsi di occupazioni violente: dai barbari ai normanni, agli svevi, agli angioini e agli aragonesi) vennero accolti dalla popolazione come un ennesimo episodio di sopraffazione e di assoggettamento: il governo piemontese appariva, in definitiva, un altro usurpatore che non aveva fatto i conti con la diffusa delusione per il fallimento del nuovo governo nel migliorare le durissime condizioni di sfruttamento e sopraffazione, ereditate dai Borbone. Come a dire: cambia il padrone, ma gli sfruttati son sempre gli stessi. Non si trattava altro che di resistere, quindi, a un nuovo «conquistatore»: così il brigantaggio, che all’inizio era un fenomeno politico in appoggio ai Borboni, divenne protesta sociale, resistenza. Una vera, e propria, «guerra civile».
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