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la terra non ha un solo pene, ha parrocchie di spermatozoi fedeli attorno ad ogni congiurante campanile; muove gesti d'albero in archi più lunghi, ha per colli capriole ed illude le case fra essi, desolate come pidocchi nei capelli, che siano linee senza tempo a delineare il tempo, mentre essa si piena nell'unicità dell'onda in onda. La terra accosta e sparge al centro di ogni scena oggetti casuali, assegna forme diverse, colori, suoni, bocche e buchi, arti per camminare, becchi per pigolare, ingranaggi per funzionare; li sistema nell'ovatta del tempo, fra corazza ed uovo: in ciascuno di essi c'è più della solitudine del Golgota: si tocca da solo il liscio, onanistico rubinetto, non sai farlo venire, se non d'acqua; gode l'eccitata rumorosa lavatrice, in lenzuola di panno; penetra sterile la fedele aguzza forchetta. Si sostiene ciascuno nell'attività che veste la materia e che l'ha perso; ed in essa sopravvivi ancora, anche tu, distratto, umano. Ma rompi un ramo e libera il sangue di dio, bianco, dal fico e ne sentirai la carne; perdi te stesso e masturbati, grida, buca e smania: con te soffre l'assenza di croce e chiodi anche il liscio rubinetto, la rumorosa lavatrice, la fedele forchetta. Sintesi di cose sintetiche è la realtà e non ha che buchi neri per maniglie. Infiliamo le nostre mani secche in fiche di donne attraversandole come una porta: la tua era calda di ventre di balena, molle della luce adiposa dei ricordi d'infanzia. Ho tastato con le mani la valle, tiepida, Jack Frost se n'era appena andato; ho cercato, a tentoni, senza sapere cosa, forse un altro me stesso, nel desiderio inconscio di essere ancora partorito e che fosse neutro, antisettico, come la solitudine, la sparizione, lo struggimento di conservazione. Per una donna dai piedi di bronzo, per le cui carezze ho un viso, solida come le colonne del tempio di Gerusalemme, circondata dalle curve delle sue spalle, da colline tese, terrazzamenti e balze di tendini, fasce di vegetazione su zolle fertili; e sopra, assediata da capezzoli di torri sorde e mute di ardesia e giada senza abbaini e da foglie di vite schiuse e indifese come pance di rana, bagnate di carte geografiche, per quelle stesse mani secche con cui sollevo il mondo, in un amleto di corallo, insanguinato, inzuppato, imbevuto, ingannato, sono rimasto impigliato alla vita.
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