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« c'è sempre uno iato fra...non parliamo mai delle c... »

oggi ho corso

Post n°89 pubblicato il 12 Settembre 2013 da andrea_firenze
 

oggi ho corso; sono passati otto mesi dall'ultima volta che ho corso così. Certo, subito dopo ho avuto una mezz'ora di difficoltà respiratorie e giramenti di testa, ma almeno non ho cominciato a tremare come al solito ed il cuore, anche se con estrema lentezza, ha smesso a poco a poco di battere forte. Mi fa tenerezza e pena il fatto che, in un certo senso, ne sia deluso. Però quanto é bello giocare a palla con i ragazzini e sporcare i pantaloni della rena di un campetto di periferia e bagnare di sudore la maglietta fino a farla diventare come un panno umido sulla fronte febbricitante di un malato. E come sento che è proprio lì che voglio essere quando mi sposto da un posto all'altro e non ne conosco i nomi. Muoversi è come essere sopraffatti, e non hai più bisogno di audacia, non ti serve la riflessione che ti gratifica in una identificazione. Una corsa è la metafora della tua missione e della tua condanna, perché non si tratta di fare, ma di lasciare. Ed ogni volta continua a sembrarmi impossibile partire. Ho sempre provato un amore subitaneo e maniacale per le cose e le persone che la casualità dell'esistenza mi ha portato ad incontrare; poi, purtroppo, è arrivato anche tutto il resto, ciò che infondo non c'entra niente: le cene con gli amici, il cinema, la macchina, le gite in barca, le chiamate sui cellulari, i punti di vista sempre condivisibili e mai condivisi, gl'inganni inammissibili a se stessi, le cattiverie nei confronti di chi diciamo di amare, i tradimenti soprattutto, quelli che alla fine ti chiedi di che cosa e non lo sai. In verità ogni giorno cerchiamo di convincere gli altri di qualcosa a cui non crediamo perché non riusciamo ad accettare di parlare come pesci. Ma se ci penso bene, questa è l'unica sensazione che dentro di me non è mai cambiata: la percezione forte di una spinta ed il bisogno di essere isolato da tutto e la certezza dell'impossibilità che qualcuno lo possa capire. Ed ora che sono solo, ogni sera, quando rientro a casa, dopo aver bighellonato per le strade, ripeto con desiderio gli stessi gesti: mi sistemo su una sedia, accendo la tv con i jeans ormai sotto le natiche per quanto sono dimagrito, scolo in silenzio qualche bicchiere di vino, agito la mano sull'uccello e la testa si reclina piano e scivola giù nella trachea, persa nelle visioni delle cose che so che non farò mai perché mi sono liberato dal giogo dell'ostinazione delle affermazioni. E quanta passione viene in superficie quando acquisti noncuranza verso te stesso e non ha più imortanza se sei sul punto di restituire o togliere la vita. Non ho più scatole da riempire o da svuotare. Erano schiave semplici di se stesse, del loro spazio positivo o negativo. Certo il sangue amaro nelle vene non è cambiato, non si è addolcito, anche se ho districato i condotti come fili elettrici, anche se niente va in corto circuito e le dimensioni rimangono intercambiabili e apersonali. Ma non si sceglie né si supera mai una tortura, solo chi ti fa prigioniero si scorda presto di te; tu non ce la farai. Adesso vedo con chiarezza che punti interrogativi e perché escono come bruchi dalla vagina e ho smesso di parlare perché servirebbero unghie e parole di bronzo a noi plantigradi per scalare la muraglia. Il nostro destino non è fiorire in petali vellutati, in ghirlande di frasi; ci è concesso solo di generare, intrappolati di notte in camere da letto ad adempiere all'attribuzione che ci rende uomini, scampati per qualche ora agli ablativi ed agli allativi dell'esistenza. Facciamo sesso, mangiamo e beviamo come topi in gabbia fino a gonfiare d'una illusoria ipertrofia d'immanenza. Ma restiamo raggelati da un'atrofia di morte. L'eccesso ci assorbe e le pupille, scatenate, sprofondate nel grasso, faticano a mettere a fuoco le cose. Il corpo è il piacere di cedere che non riusciamo a condividere e ne cerchiamo vendetta nella lebbra della satiriasi in cui sconfiggere è la vittoria degli sconfitti e la propria mistica decadenza. Pugnalatemi pure dopo mezzanotte, quando rientro a casa; usate il pene, non m'importa; così magari proverò un'altra stupida emozione e mi sveglierò e vi restituirò con piacere il favore. Infondo l'eccitazione della morte uccide chi ha già ucciso e, anche se non c'è stata sentenza o misfatto, dalla nascita, siamo tutti solo degli ipocriti e degli assassini.

 
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Commenti al Post:
notimarde
notimarde il 12/09/13 alle 18:56 via WEB
Siamo un pelo sul pessimismo, vero? e comunque sull'autocommiserazione. Salve
(Rispondi)
 
 
andrea_firenze
andrea_firenze il 13/09/13 alle 16:14 via WEB
forse il primo, sulla seconda non direi :)
(Rispondi)
 
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