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l'amore è forte perché è una forzatura, è il desiderio e la pretesa che gli altri siano adatti a noi almeno quanto ci hanno attratto, e non è figlio della bellezza né della povertà; non Afrodite né Penia l'hanno partorito. Amore non esiste se non in uno dei tanti appellativi della cupidigia che ci fa penare e gioire di piacere, che fa godere il pene; e la saggezza è solo un termine con cui edulcoriamo e mascheriamo la sensazione di stasi che c'è nella quiete e nella tranquillità. Questa vita fatta di orari, appuntamenti, baci, matrimoni, acquisti, voglie, doveri e parole gentili è solo conformità ad un sistema, il frutto di una volontà che non può essere singolare, una forma istituzionalizzata di delinquenza; e la consapevolezza che raramente ne abbiamo nella mente non è più libera dell'acquiescenza di un ricettore nei confronti della percezione di un dolore. Siamo avidi di provare tante emozioni, esperire tutto quello che ci investe o su cui inciampiamo, ma meglio sarebbe ritirare la mano, perché ogni cosa che seminiamo racchiude in sé il germe della morte e la scelta è fra essere saggi e cadaveri oppure pazzi e santi per non aver vissuto. La duttilità è il sesto senso che ci rende incapaci di essere noi stessi: è una vaso vuoto d'indeformabile plasticità dove si raccolgono sensazioni avulse da una generalità che le renderebbe assolute; e tutto quello che gli s'impone con una continua presenza, con l'insistenza di essere lì per provocare, in agguato come un pesce sotto lo scoglio, finiamo per farcelo piacere, crediamo di amarlo, perché così ci sentiamo dotati del tocco di Mida, e fantastichiamo di saper parlare ai sordi, di essere in grado di consolare i feriti. Perseveranza a breve termine, iniziativa, testardaggine, basta questo per comprare qualsiasi cosa, per fare verità della falsità, perché i nostri pensieri e le nostre emozioni sono fragili come le dighe dei bambini sulla spiaggia e noi sprovveduti come frati, a mani giunte e ad occhi chiusi di fronte all'imponderabile. Ma non aiuteremo nessuno; le ferite non guariranno e tu non ti sfamerai; perché ciò che doniamo è solo un sacco vuoto in cui soffocare o in cui infilare i piedi per la durata di una corsa, per strappare una boccata d'aria, per costruire una fragile recinzione di difesa, per competere fino alla morte. Cerchiamo di organizzare, di rappresentare, ma i frutti della mente si animano non diversamente dai falsi miracoli che fanno le api che impollinano i pistilli sulle corolle dei fiori. E ciò che ci conquista abbiamo bisogno di degradarlo come un serpente velenoso imprigionato in una teca di vetro e farne carne e stringere e legare. Vogliamo tenerlo in gabbia l'amore: l'abbiamo reso somigliante ad un tragitto da cui ci illudiamo di non saper tornare indietro, ad una immersione che va dritto al fondo e riempie i polmoni; ma in tutta coscienza sappiamo che è solo un cadavere putrefatto con il viso sporco di fango, che accenderemo la luce per vederne le deformità, che la pressione ci spingerà sù; e con viltà lo desideriamo e torniamo a guardare fuori da noi stessi quando la testa buca la superficie, e di ciò che ci sembrava tanto importante e pieno e saturo e al limite dello spazio resta solo uno sbotto di saliva sporca e salata e grumi di muco sotto la lingua. Siamo dei sommergibili; siamo camere vuote e flatulente, dove tutto si può spostare, dove passano amanti come insetti, amori come cameriere, dove le passioni si sostituiscono come le lenzuola; basta aprire una porta o una finestra e far passare l'aria perché non resti niente. Non amare, ma affogarsi sarebbe davvero un lenitivo, un placebo all'impossibilità di essere amati. Saremmo finalmente completi e imbalsamati e soprattutto perfettamente e silenziosamente immobili. Non potremmo agire, non potremmo portare al pascolo i fatti e le cose. Sopravvivere, vincere, riempire o svuotare una valigia, sopraffare, far finta di perdere, salutare, abbandonare, promettere, pagare la pigione, vuol dire partire dalla cima, procedere alla rovescia, e qualunque azione a suo modo è una vittoria che porta con sé la sua carneficina. E una vittoria è sempre triste, pure la propria, ed il piacere avvolge solo le parole come le garze avvolgono i corpi, ma non le ferite dei moribondi. E l'amore è solo una favola da trovatori, sempre recente.
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