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ogni giorno non faccio altro

Post n°105 pubblicato il 27 Settembre 2013 da andrea_firenze
 

ogni giorno non faccio altro: scompongo, decontestualizzo, ricontestualizzo. Ciò che non è me fa lo stesso con la mia persona, affinché la vita sia posseduta dalla distrazione. È necessario. Le vacanze invitano a smettere di respirare. Sragiono se resto immobile. La mia salute mentale si nasconde nel pranzo, fra una coscia di pollo e le foglie unte d'insalata. Occupa tutte le sedie. Si appoggia agli oggetti, preme sugli spigoli, le ante, su tutti gli strumenti di tortura senza farsi troppo male. Ho tanto tempo per non fare, per non vedere. Defeco sullo tavola e piscio nei piatti. Vomito sulla televisione e tengo le scarpe sui guanciali. Ci sono larve di falena che puoi scambiare per escrementi d'uccello; uomini che si travestono di strade affollate, musica alta, mani in tasca. Sorridono, organizzano viaggi, programmano i posti da visitare, si baciano e preparano da mangiare con le mani sporche, dopo aver ucciso, in totale indifferenza. Cessare e rimanere vivi, dimenticare: equivale ad essere un assassino. Spingo il cotone fino ai timpani; mi tuffo dal molo per ricordarmi di avere un peso. Tocco gli ultrasuoni dei pipistrelli perchè so che non li posso sentire. Tengo in tasca un analgesico per la puntura di una tracina: così sono vivo e brucio prima di essermi ferito. Un dolore immaginato non può essere termolabile. Non so cosa dico, ma tanto è sufficiente che ci sia qualcuno che conti su di te per dare una parvenza di significato a delle parole. Gli altri ti sentono quando si vogliono considerare; tu no. Non mi lavo e mi basta appena le persone ballano e gioiscono sui cadaveri. Sputo, odoro ed adoro l'odore del mio cazzo. Amo la birra fredda. È insoluto l'interrogativo se sia capace di abbandonare ma, se ci penso, ne soffro come quando vengo abbandonato. Se non sopporto nessuno, non c'è presenza. Deficio in un ufficio oberato dagli impegni. Non io. Mi manca il biberon. In estate sono l'unico pensiero inquieto di una casa vuota. Noi due restiamo dei bisessuali per anno di nascita: c'è scritto sulla targa della tua auto. Sragiono sulle cose che finiscono, e questo diario in cui cerco semiconsapevolmente di far nascere qualcosa in tanta sterilità, diventa arido proprio per questa coscienza. Mi sento colpevole e me ne vergogno. Meglio stare ad osservare i capperi in fiore e fermare le lacrime prima che vadano giù. A nessuno frega niente di come vanno le cose, purché vadano per il verso giusto. La poesia è superiore alla prosa e ciò che è mio è sempre senza macchia. Una scultura, un solo endecasillabo, quel solo momento di gomiti su una scalinata e lo sguardo del fornaio valgono tutte le storie del mondo come un fotogramma rispetto ad una sequenza. Somigliano meno, e pause e resistenze sono i nostri desideri, sono ciò che non possiamo avere. Le persone non scelgono, rinunciano: perchè tutto va troppo veloce e c'è poco tempo ed il filo spinato si stringe sempre più intorno alle caviglie. La polvere si alza, le pietre schizzano e rotolano sotto le gomme. Ed è difficile sfilarsi i pantaloni; ci vuole troppo coraggio e non ci si guadagna niente. L'universo copia l'uomo, è progettuale e senza scopo e canalizza tutto. Ognuno di noi aspira ad una uscita, ad una luce; sogna la terra ferma, non importa a che prezzo. E poi, se approdi, il nulla. In me abolirò le coniugazioni. Userò solo incoativi e non farò più una mossa. Starò ad ascoltare i click metallici del piccolo organo Hammond nella mia mente; e tornare in se stessi e trascendere oltre. Non voglio sapere più i nomi delle persone con cui scopo: parole, forme e colori sono tentativi falliti di uscire da noi stessi, da uova tutte uguali; fiori, rami, alberi, nasi storti o alla francese, pelli lisce o devastate dall'acne, aborti e sgorbi generati da una più o meno intensa ribellione e dalla conseguente sottomissione ad una legge. Mi taglio con il rasoio sul mento o sotto l'occhio e spargo il sangue sulla faccia. Fingo d'indurre l'arrossamento. Mangiamo sangue; siamo germi piogeni come staffilococchi, come streptococchi. Poi puliamo e nascondiamo. Ciò che non si vede e non si ricorda non è mai stato. Non ci puoi fare niente, quindi non importa. Il mio cuore parla un'altra lingua. Addio, nevermind e fanculo. Forse se faccio silenzio, se chiudo gli occhi posso non essere come voi. Sicuramente posso non essere in ciò che non si apre più, come questo diario.

 
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Commenti al Post:
argento86
argento86 il 27/09/13 alle 20:21 via WEB
Non è detto che cio' che non si vede non cè!
(Rispondi)
 
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