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Le odiose perfezioni

Post n°2 pubblicato il 15 Marzo 2011 da lapizia33
 

 

Ti cuciono addosso talmente bene l'immagine che creano per te che, inesorabilmente, finisci per crederci.  Sembra quasi che ci sia, nascosto da qualche parte, un copione della tua vita, ideato e scritto con insondabile arte. Ma sulla scena di questa commedia, o forse di questa farsa, tu sei il solo ed unico protagonista, mentre gli altri, misere comparse, si affannano ad avere il loro minuto di gloria, corrono di qua e di là, mettono in mostra mediocri qualità, voci incrinate, grida senza senso, movenze affannate e sgraziate. E poi, così come sono entrate, tutto d'un tratto escono, lasciandoti solo sulla scena a recitare quel copione voluto da altri ma scritto in una lingua oscura.

Non esiste né il bravo, né il buono, né cattivo. Ma poi chi è il bravo, chi il buono e chi il cattivo? Sono solo etichette banalizzanti che affibbiamo a chiunque abbia una particina più estesa nella nostra farsa (gli altri ci sono del tutti indifferenti). Come se si potesse prendere un essere umano e, una volta sezionato, dare l'inappuntabile giudizio e classificarlo, di volta in volta, magari dopo averlo timbrato per ben benino (non si sa mai, può sfuggire ad un'attenta analisi l'immagine di "bravo"). Alcuni sguazzano nella soddisfazione per essere considerati così: beati loro, perché si accontentano di poco. Ma quanti di loro arrivano ad un punto della propria esistenza in cui si rendono conto che quell'immagine non era adatta, o magari che gli era stata cucita anche male? Ben pochi. È più facile cedere alle adulazioni e alle lusinghe dei nuovi arrivati, piuttosto che dar credito alle parole di chi ci conosce da una vita.

Quanto a me, era arrivata al punto di odiare la perfetta immagine scelta per me. La perfezione è noiosa e odiosa, ogni cosa è sempre al suo posto, non c'è suspence ma solo certezze, tutto va sempre nella direzione in cui deve andare. Inesorabilmente. Mi rendevo conto che era necessario un cambiamento che avesse l'acre sapore di una svolta, di una rottura. Ma cambiare non è mai facile. Non basta la forza di volontà, né la convinzione, né la tenacia. No. C'era bisogno di un nuovo inizio, di una nuova pietra su cui costruire le fondamenta di un altro edificio che non avesse più le fattezze della casetta con il tetto rosso, il camino, le finestre, il giardino e in alto, nel cielo celeste, un sole raggiante, proprio come quello che disegnavo da piccola. Questo edificio non sarebbe stato così perfetto, così luminoso, così pateticamente buonista. Sarebbe stato un po' più basso, più storto, con i colori più cupi, senza alberi verdi e sole giallo, senza cielo sullo sfondo, senza finestre, ma con una sola porta, un solo ingresso e una sola uscita.

Sarebbe stato mio.

 

 

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