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Post N° 54

Post n°54 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo decimo

 

Eravamo tutti brilli. Io chiacchieravo con Michele. Mi raccontava delle montagne in inverno, di dove andare a sciare dalle sue parti, mentre cercava di finire il mezzo litro di vino per la partita persa a carte. Chicco non dimenticava nulla.

Sentendo che parlavamo di neve e visto la stagione in avvicinamento la fidanzata di Alberto si alzò e si sedette vicino a noi per ascoltare. Mi ricordai all’improvviso del mio obiettivo giornaliero, deciso in mattinata,  e non mi lasciai sfuggire l’occasione.

Iniziai a parlare con lei, ma non era molto loquace per cui nei molti momenti di silenzio riempii i bicchieri di tutti e tre un’infinità di volte.

Michele era sempre più stremato, spesso rimaneva a fissare il vuoto, inebetito, e bisognava batterlo sulla spalla per smuoverlo.

La conversazione faticava, mi guardai attorno e vidi Carlo riempire un vassoio di bicchieri per tutte le altre persone con non so cosa. Erano seduti, non capivo che si dicessero, ma ridevano come deficienti.

Qualcuno aveva acceso lo stereo, mettendo a tutto volume un cd con una serata di Timo Mass, presi dal suono Carlo e la Valeria si misero a ballare e mi facevano troppo ridere, soprattutto Carlo quando sbatteva la testa addosso al lampadario.

Chicco andò in camera e tornò con una bottiglia di rum e due di pera ed io iniziai a credere che avesse un frigo bar dentro la valigia. Filippo abbracciato all’Elisa era particolarmente ubriaco perché ogni tanto sorrideva da solo fissando il vuoto ed io sapevo che stava pensando a quanto stupido, ma nel vero senso della parola, si sentisse in quel momento. Era il suo pensiero ricorrente, diciamo pure un tic mentale.

Michele era rimasto seduto, io mi accomodai vicino a lui e girai una canna. Iniziai a fumare e preparai due rum e pera, uno per me e uno per il mio nuovo amico.

Gli passai la canna e lo guardai in faccia. Pensai di aver esagerato.

Carlo, invece, aveva preso la pipa ad acqua e preparava cariche per tutti, naturalmente stra grosse, secondo le sue notevoli dimensioni. Mi avvicinai e vidi che l’Elisa era particolarmente attratta dallo strumento.

-         Vuoi farne una?- Buttai lì sperando che lei raccogliesse l’invito.

-         Posso?

-         Ne hai mai fatte?- Le domandò Carlo.

-         No.

-         Allora te ne faccio una di leggera.

-         No non farla Elisa. Dopo stai male.- La implorò Filippo.

-         Dai se non provo qua.

-         Se non prova qua.

-         Se non prova qua. Dio….

-         E tu la vuoi?- Domandò Filippo a Chicco che non era mai stato un’amante dello strumento.

-         No. Sai che a me quel coso non mi prende per niente.

-         Fifone.- Lo pungolo Carlo.

-         Non mi prende, l’ho fumato un casino di volte, ma non mi prende, lo sai.

-         Dai se la faccio io la fai anche tu.- L’Elisa si era incastrandosi da sola e quasi non ci credemmo.

-         Guarda che stai facendo il loro gioco, ti avviso.

-         Si si, la fa, la fa. Tranquilli.- Disse Carlo appoggiando pesantemente un braccio sopra le spalle di Chicco.

-         Ok, ma tu traditrice non dire di non essere stata avvisata.- Disse guardandola con una faccia seria.

Fu preparata la carica per l’Elisa.

-         Spigatemi come si fa.

-         Accendi e chiudi questo buco con il dito. Poi a metà tiro tiri più forte e togli il dito dal buco. Ok?

-         In un tiro?

-         E’ piccola.

Lei fumò diligentemente.

Dopo tossì come una disperata. Io le davo cinque minuti di vita.

Toccò a Chicco che prima bevve due rum e pera di fila.

-         A questo punto. Dio ….

A lui ne davo dieci.

Fumammo tutti tranne la ragazza di Alberto, che aveva declinato l’invito con un “no” secco e perentorio e la Valeria che Carlo cercava di convincere senza risultato.

Partì anche il secondo giro di cariche a cui Chicco non rinunciò.

L’Elisa aveva fame, sudava ed era un po’ pallidoccia. La carica doveva averle dato il colpo di grazia. Aprimmo una bottiglia di coca cola e la facemmo bere. Sapevamo tutti che gli sarebbero venuti i conati, ma le serviva dello zucchero. Dopo alcuni minuti andò fuori all’aperto e in una aiuola iniziò a vomitare, avvolta in una coperta. Aveva gli occhi rossissimi e quasi chiusi, ma rideva. La riportammo in cucina e fuori si fiondò inaspettatamente Michele che tornò pallidissimo.

Stavamo tutti vicino a loro due cercandoli di non farli pensare, Michele era tranquillo anche se pallido. L’Elisa era ridotta un po’ peggio, ma mi faceva ridere perché faceva le boccacce a Filippo, che la rimproverava, e poi lo abbracciava ridendo.

Andarono in camera da letto e si chiusero dentro.

Noi eravamo in uno stato di impazienza, c’era chi proponeva un film, chi una partita a carte, chi voleva ascoltare i Metallica, chi non voleva fare niente e questo era il caso di Michele che sarebbe andato volentieri a letto, ma non voleva disturbare la coppietta. Noi provammo a dirgli che se non si sentiva bene poteva anche fregarsene dei piccioncini, ma lui teutonicamente rimase con noi. Allora gli stappai una birra che lui con decisione iniziò a bere. Era distrutto e io non mi sentivo meglio. Guardandomi in giro, però, non dovevo essere l’unico.

Eravamo tutti seduti attorno al tavolo, la ragazza di Alberto di sua spontanea volontà lo sparecchio e prese le carte da scala quaranta.

-         Ora si gioca a scala quaranta.- Disse lei.

-         Si beve a questo gioco?

-         No.

-         Allora non gioco.

-         Carlo non fare il razzista. Lo sai che ci sono giochi in cui non si beve. Ora sei un uomo adulto. Devi accettarlo.

-         Facciamo così. Se si pesca la carta e non si mette giù niente si beve. Ok?

-         Faccio ancora in tempo ad aggiungermi per giocare?

-         Si Carlo. Prendi la damigiana di vino.

Naturalmente nei primissimi giri tutti si trovarono con il bicchiere pieno e qui Carlo ci stupì. Si alzò e tirò fuori da uno scaffale una cannuccia lunga un metro e mezzo e la cacciò dentro la damigiana. Bastava abbassare l’estremità della cannuccia ad una altezza più bassa di quella in cui si trovava la damigiana ed il vino iniziava a sgorgare per il più facile dei principi dei fluidi.

Dopo pochi giri eravamo tutti in un altro pianeta. Il vino entrava in bocca senza succhiare. Poi gli amici, ed è in questi casi che li puoi riconoscere, a turno tenevano la damigiana sempre al di sopra della testa del mal capitato di turno. In questo modo decidevano loro quanto farti bere poiché il vino usciva finché le damigiana non veniva abbassata.

Le ragazze all’inizio pensarono di riuscire a controllare la situazione, ma col fatto che non usavamo i bicchieri fu il vino a controllare noi. Andava diretto allo stomaco e in quantità sempre maggiori.

Il gioco finì assieme alla damigiana e i danni della serata scoprimmo il giorno successivo furono tanti.

Il primo fu il fatto di aver finito il vino e bisognava andare a comprarne altro; il secondo fu che quando riaprii gli occhi ero disteso e stavo malissimo. Ero ancora vestito, filtrava una strana luce e si sentiva un rumore di fondo che sembrava pioggia, ma soprattutto non ricordavo nulla di cosa fosse successo e di come fossi finito a letto.

 
 
 

Post N° 53

Post n°53 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

GIOVEDI’

 

Capitolo undicesimo

 

Guardai l’orologio appeso al muro ed erano quasi le dieci del mattino. Mi passai una mano in faccia e mi sentii la puzza della serata addosso. Stavo malissimo avevo voglia di vomitare e quando decisi di alzarmi la testa iniziò a girare vorticosamente.

Tolsi immediatamente i vestiti impregnati di fumo, svuotai la valigia cercandone di puliti e andai in bagno a lavarmi. Ne avevo bisogno.

Lo stomaco era teso e sentivo saturo ogni poro della pelle. Mi feci una doccia e dopo essermi lavato i denti mi risciacquai la bocca e trangugiai tre quattro sorsate d’acqua. Uscii dal bagno avviandomi barcollando verso la cucina e non sapendo neanche il perché.

Aprii la porta e rimasi impassibile a fissare ciò che non mi sarei mai aspettato di vedere. Michele era disteso a terra e l’Elisa, immobile, lo guardava impaurita.

Sarà stato l’alcol o non so cosa, ma nessuna emozione nacque dentro di me. Mi avvicinai a Michele con fare sicuro, senza dare uno sguardo all’Elisa ancora immobile, e iniziai a fargli il solletico per svegliarlo. Un secondo d’attesa e lui iniziò a dimenarsi di colpo.

Sentii un tonfo provenire dalle mie spalle. Mi girai. L’Elisa era svenuta a terra.

Ora era il suo turno. Le tirai un paio di buffetti sulle guance e poi la misi seduta, leggermente divertito.

-         Michele ce la fai a prendere un bicchiere d’acqua?

Lo vidi alzarsi lentamente, era tutto sporco di vino e vomito sui jeans e sulla felpa. Prese l’acqua e il bicchiere.

-         Mettici tre quattro cucchiaini di zucchero e mescola.

-         Sto bene.- Iniziò a rantolare l’Elisa.

-         Bevi questo. E’ acqua e zucchero.

Due minuti passarono silenziosi e si iniziarono a vedere gli effetti, prese colorito e cominciò a stiracchiarsi.

Accompagnai Michele in camera. Si spogliò, si infilò sotto le coperte e poi da disteso trangugiò un buon litro d’acqua da una bottiglia che non mancava mai vicino ai letti. Mi fece un cenno rotatorio con il dito, che interpretai con “mi gira la testa”, risposi con un’“ok” e me ne andai.

Tornai in cucina, aprii la finestra e la porta. Fuori diluviava. Guardai l’Elisa stava pulendo per terra, precisamente dove si era addormentato Michele. Mi guardò e iniziò.

-         Così tanto per sapere, cosa è successo qui ieri sera?

Io intrecciai le mani, molto lentamente, dietro la testa e un sorriso si dipinse sulla mia faccia.

-         Non lo so.

-         Come non lo sai?

-         Non lo so. Ma puoi farmi un caffé? Tu come stai?

-         Io sto bene, ho dormito come un angioletto. Mi sono svegliata quando sei andato in bagno. Ma non lo sai cosa è successo ieri?

Rimasi immobile con il mio sorriso, ora molto divertito, stampato in volto a fissare il vuoto, completamente senza energie.

Lei capì che non era il momento adatto e iniziò a preparare una moka. Quando il caffé fu pronto me lo versò tutto in una tazza, questa volta con lo zucchero. Lei iniziò a pulire la tavola, cercando di rimettere in ordine. Un’impresa ardua.

-         Ti sposerei.

-         Lascia stare. Scusami per prima, ma non mi aspettavo di trovare un cadavere in cucina.

-         Non era un cadavere, si vedeva che dormiva.

-         Si lo so che non era morto, ma se era svenuto? O andato in coma?

-         Sei troppo catastrofica.

-         Ho preso paura. Mi sembra legittimo. Poi con te che non ricordi nulla di ieri….

-         Qualcosa mi ricordo, se mi concentro. Tipo: posso dirti che abbiamo cenato, che abbiamo iniziato bere dalla mega bozza con la cannuccia e poi bo. Ah si. Tu sei stata male, ma dovrebbe essere successo prima. Giusto?

-         Mamma mia.

-         Aspetta. Mi ricordo un’altra cosa. Abbiamo finito il vino rosso e bisogna andare a comprarne dell’altro.

-         Dai stupido.

-         No è vero, mi ricordo nitidamente di aver pensato questo ieri sera.

-         E Michele? Ti ha detto che ci faceva lì?

-         Non credo fosse un buon momento per domandarglielo. Si sveglia con me che gli faccio il solletico e ti vede svenire. Si alza e scopre di essersi vomitato addosso nel sonno. Non credo proprio fosse il miglior momento. E comunque hai guardato se ci sono tutti?

-         Come?

-         Cioè, io non mi sono accorto che mancava Michele. Di solito dopo essermi alzato non è che guardo se ci sono tutti i miei amici. Per dire la verità.

-         Oddio.

-         Oddio perché? Adesso vado a vedere in camera. Tranquilla.- La rassicurai pregustandomi un buon sonnellino. Non avevo voglia di rimanere a subire l’interrogatorio e nemmeno di pulire.

Passai la porta, giusto per sicurezza mi guardai in giro, vidi Michele, Alberto stretto alla fidanzata, Chicco e Carlo che russavano. Mi sembrava tutto in regola, cercai un letto libero e lo trovai, uno spiazzo enorme vicino ad Alberto. Mi ci buttai dentro e all’improvviso spuntò una domanda.

“Perché tutto questo spazio? Michele è al mio posto. Di chi è questo letto?” “Dell’Elisa”   “E Filippo dove cazzo è?”

Scattai come una molla e mi sedetti sul letto cercandolo con gli occhi. Di Filippo nessuna traccia, ma quello che mi preoccupò assai di più fu di non trovare neanche la Valeria. Ero ancora brillo, ma non mi meravigliai che subito scartai qualsiasi possibilità di passeggiata mattutina sotto una pioggerellina rinfrescante e solo una soluzione si dipinse nella mia mente, conoscendo il vecchio mandrillotto di Filippo: “se l’è fatta. Cazzo”.

 
 
 

Post N° 52

Post n°52 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo dodicesimo

 

Mi alzai e tornai veloce in cucina, sentendola come l’azione più logica da fare. Il mio cervello era in uno stato emotivo paralizzato, non pensava, agiva per i cavoli suoi, assecondando le mie abitudini con quello che per lui era meglio fare in questa situazione.

Aprii la porta della cucina, mi sedetti su una sedia e dissi all’Elisa:

-         Ci sono tutti e mi è venuto in mente ancora un’altra cosa di ieri sera.

-         Cosa?

-         Che devo ammazzare una persona.

-         Chi?

-         Lascia stare. Vado a lavarmi i denti.

Mi alzai. Appena richiusi la porta della cucina mollai diecimila imprecazioni. Cercai aiuto e andai da Alberto. Provai a svegliarlo. Non reagiva. Allora iniziai a prendere a calci Carlo, sulle gambe, che si mise seduto in un colpo. Ci guardammo.

-         Io ti ammazzo.

-         No vecchio. Fai piano. E’ successo un casino enorme.

-         Che cazzo me ne frega. Sto male. T’ammazzo.

-         No vecchio è successo veramente un casino. Ascoltami.- Vedendo la mia faccia veramente preoccupata si placò.

-         Dimmi, ma se è una troiata t’ammazzo. Che se noti sono di buon umore.

-         Come al solito.

Iniziai a raccontare in modo spedito cosa mi era successo: Michele, lo svenimento e la scoperta di chi mancava. Poi gli dissi che volevo andare a cercarli prima che all’Elisa venisse voglia di abbracciare il suo amore.

-         Dai dammi una mano. Gli diciamo che andiamo a fare la spesa e li cerchiamo, fuori piove.

-         Piove? Ma sei completamente fuori.- Disse girandosi dall’altra parte.

-         Dai… Dopo se ci sono casini io conosco il nome di chi volendo poteva evitarli.

-         Mi stai minacciando?

-         Si.

-         Ah. Volevo solo esserne sicuro.- Dichiarò rimboccandosi meglio le coperte.

-         Dai coglione, o mi dai una mano oppure fra due minuti arriva l’Elisa preoccupata dal fatto che non mi vede tornare e nota chi manca. Io farò finta di aver ripreso sonno e ….

-         Ok ho capito. Succede il delirio e va tutto a puttane. Ma dopo lo ammazzo.

-         Siamo in due.

-         No no. E’ mio. Ho più di un motivo.

Con uno sbadiglio enorme e rumoroso si alzò, si vestì e mi seguì strisciando i piedi.

-         Guarda chi ti ho portato Elisa. A proposito tu cosa ti ricordi di ieri sera che mi sono perso dei passaggi?- Domandai a Carlo.

Lui mi guardò male rimanendo in silenzio. Prese il caffé ormai freddo, si mise il cappotto e finalmente proferì parola:

-         Andiamo a fare sta cazzo di spesa. Poi ammazzo una persona e torno a letto.

-         Per fortuna siete amici. Vi svegliate e vi volete tutti ammazzare a vicenda.- Ci disse l’Elisa, noi non la ascoltammo e uscimmo.

Subito fuori Carlo si accese una sigaretta e mi guardò.

-         Adesso investigatopo che cazzo facciamo? E non pioveva?

-         Prima pioveva. Meglio così. Tu dove andresti a spurcellarti in tranquillità in questo cazzo di paese con la pioggia?

Ci guardammo e senza parlarci ci avviammo verso le auto.

Arrivammo al parcheggio. L’auto di Filippo era vuota, ma da distante si vedeva la macchina di Alberto tutta appannata. Io e Carlo ci scambiammo delle espressioni che si mescolavano tra l’imbarazzato, il divertito e lo schifato. Carlo si fermò a tre metri:

-         Tocca a te ora.

-         Va bene. Tu pensa a come farli rientrare a casa senza farci beccare dall’Elisa.

-         Cazzo.

Iniziai a sbattere le nocche delle mani nei finestrini. Nessuna risposta. Guardai i chiavistelli e li vidi con mio stupore alzati. Guardai Carlo in cerca di un aiuto, mi sentivo molto imbarazzato.

-         Apri quella del guidatore- mi disse lui vedendomi indeciso -che non ti ritrovi la farfallina della Valeria davanti agli occhi. Dopo rimani piccolo. Investigatopo.

-         Ma allora tu sei un esperto. Non lo sapevo. Non l’avevo letto nel curriculum. Vuoi procedere tu? Collega.

-         Non ho i guanti, lascerei le impronte. Dai deficiente.

Andai verso la porta del guidatore, presi platealmente il fazzoletto da naso che avevo in tasca, me lo misi in mano e con fare da C.S.I. aprii lentamente la portiera. Infilai la testa dentro. Distesi nei sedili dietro c’erano Filippo e la Valeria. Lui sopra lei. Filippo aveva addosso felpa e mutande mentre la Valeria era in canottiera, ma poiché era scivolata col corpo le si vedeva bene un seno. Quando me ne accorsi tornai fuori con la testa.

-         Oh vecchio, cos’hai visto? La farfallina?- Dovevo avere un’espressione di piacevole sorpresa.

-         Diciamo che non avevano freddo. Diciamo.

-         Mostra.

-         Guarda.

-         Va bè. E’ solo una tetta. Peccato non avere il cellulare che gli facevo una foto. Così lo ricattavo.

-         Perchè devi ricattarlo?

-         Così. Mi piace. Lascia stare, va’. Quando sarai grande ti racconterò una storia.

-         Ma vai a cagare. E io che volevo prestarti il mio cellulare che ho casualmente in tasca. Collega.

-         Fa le foto?

-         Si.

-         Falle, poi ci penso io.- E si mise a ghignare strofinandosi le mani.

Scattammo la foto e una venne fuori abbastanza bene.

-         Ah. La tecnologia.

-         Ma che puzza sanno?

 
 
 

Post N° 51

Post n°51 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo tredicesimo

 

Intanto il freddo entrava in macchina e Filippo iniziò a muoversi. Io e Carlo, senza far rumore, ci nascondemmo dietro un angolo di una casa, lasciando la porta aperta della macchina.

-         Vediamo come reagisce a sapere che qualcuno li ha beccati.

Ci accendemmo tutti e due una sigaretta e come al cinema ci mettemmo comodi a guardare. Dopo un minuto uscì Filippo, sconvolto. Cercava di mettersi i pantaloni, ma doveva aver preso quelli della Valeria. Una mano gli passò quelli giusti. Si parlavano animatamente, ma noi non sentivamo niente. Allora io e Carlo decidemmo di uscire allo scoperto, non volevamo che si sputanassero per sbaglio.

-         Buongiorno. Dormito bene?- Domandai appena fummo visibili. Ero quasi di buon umore.

-        

-         Che cazzo avete combinato?- Carlo un po’ meno.

-         Chi ci ha svegliati?

-         Io e lui deficiente.- Decisamente meno.

Finché finirono di vestirsi passarono due minuti di silenzio imbarazzante soprattutto per la Valeria.

Quando riuscii a mettermi in disparte con Filippo iniziai a parlargli liberamente.

-         Io ieri ero ubriaco fuori dalle misure, ok Filippo? Ma solo di una cosa ero certo: tu che facevi compagnia in camera all’Elisa che stava male. E adesso ti becco in mutande dentro un auto. E ti dirò la verità non voglio sapere “come”, ma “perché”.

-         Voi mi avete fatto bere mezzo litro di Jack quasi di schiena. Sto malissimo. Mi viene da rimettere.- Lo guardai sorpreso. Non mi ricordavo nulla di quello che aveva detto. “Ieri sera l’abbiamo cacciata grossa”.

Ero immerso nei miei pensieri che lui con uno scatto andò in una aiuola e vomitò. Uno schifo, ma non mi lasciai impietosire e dopo che si asciugò la bocca continuai:

-         E l’Elisa?

-         Dai sono problemi miei.

-         No, sarebbero di tutti se non ci fossimo stati io e lui, visto che è sveglia. Direi pimpante. E’ in cucina convinta che tu sia a letto, quindi mi sento in dovere di insultarti un po’. Brutto testicolo.

-         Come facciamo?

-         Carlo aveva il compito di pensarci. Carlo esponi il piano?- Domandai ad alta voce.

-        

-         Eh che cazzo. Abbiamo detto all’Elisa che andavamo a far la spesa, ma non ci andiamo. Torniamo e gli diciamo che siamo…senza chiavi…trovato trovato…le diciamo che siamo senza chiavi, voi vi nascondete vicino all’entrata, noi le domandiamo una mano per cercarle…

-         Si, ma così le cerca dentro.

-         Trovato trovato … Carlo era sicuro di averle prese quindi sono qui attorno per terra e la portiamo fuori e voi vi fiondate a letto. Ok?

-         Ma perché le ho perse io?

-         Eh che cazzo.

-         Ok.

-         Siamo d’accordo?

-         Si.

-         Un attimo. Cose sgammo?- Controllammo in macchina se si fossero dimenticati vestito o altro.

-         Zero.

-         Dammi le chiavi della macchina.- Me le misi in tasca.

-         Ragazzi ci dovete una birra.- Dissi.

-         Una? Molte di più. Molte di più.- Ribadì il mio collega.

Iniziammo il piano, loro si nascosero dietro un angolo mentre io e Carlo andammo a recitare. Andò tutto liscio, quando tornammo in cucina festanti per aver trovato le chiavi tutti dormivano come angioletti e soprattutto erano tutti. Andai a controllare per sicurezza. Filippo mi fece l’“ok” con la mano, io risposi con un cordiale, silenzioso, dito medio alzato e tornai in cucina.

Guardai Carlo e gli indicai la pipa, lui la prese, sgranò del fumo e fumammo.

-         Voi due siete pazzi.- Disse l’Elisa.

La guardammo con sufficienza e fumammo ancora. Nessuno si sarebbe alzato per un paio d’ore. Notai che Carlo dentro di sé mi malediceva finché non ce la fece proprio più e tornò a letto.

-         Ma non dovevate andare a fare la spesa?- Mi domandò l’Elisa.

Le dissi che stava troppo male e voleva dormire ancora un pochino.

Aveva finito le pulizie, la cucina stava tornando a essere abitabile. Si sedette davanti a me e iniziò a girarsi una canna. Fu una lieta sorpresa. Non sapevo fosse capace, anzi, finì tutto in due minuti con un ottimo risultato.

-         Ci voleva.- Disse facendo la prima aspirata. -Ma veramente non ti ricordi nulla di ieri sera?

-         Ancora? Ti giuro magari col tempo mi viene in mente qualche scena, ma ora come ora mi ricordo fino a quando abbiamo giocato a carte e abbiamo bevuto dal fiasco da cinque direttamente con la cannuccia.

-         Che avete finito. Ma come fai a svegliarti sempre presto?

-         Deformazione professionale. Per andare a scuola mi svegliavo sempre presto e in certe condizioni. Ma lascia stare. Ora è una passeggiata.

Non volevo parlare e accesi il pc. Quando si caricò la pagina del desktop vidi l’icona di una nuova cartella senza nome. La aprii. Comparirono i video del primo giorno, poi mi venne un’illuminazione. Presi la telecamera per vedere se c’era qualcosa della notte appena passata.

L’Elisa stava lì a guardare senza commentare e finendo il cannone. Io collegai la videocamera digitale al computer. Salvati dentro c’erano quattro video e una decina di foto, di cui cinque mosse e in tre non si distingueva nulla, a causa del buio. Le rimanenti due mostravano Michele per terra che dormiva, scattate alle sei e cinque del mattino, da mano ignota.

L’ultimo video era delle meno dieci alle cinque. Si sentiva malissimo l’audio ed ogni tanto comprendevi delle bestemmie di Chicco dette ad alta voce. Il filmato era girato da una mano molto tremante e faceva una veloce panoramica. Si vedevano Carlo, la fidanzata di Alberto e Michele con la testa appoggiata al tavolo che dormiva, mentre gli altri due li infilavano carte e chissà cos’altro giù per la maglietta ridendo come pazzi. Finiva così senza nient’altro.

Decisi allora di iniziare a vederli dal primo, in ordine, con la preoccupazione di essermi fregato da solo che aumentava.

“E se abbiamo filmato Filippo, chi se lo ricorda?”.

Il primo lo aveva registrato Alberto, lo capivi perchè lo commentava ed ogni tanto si inquadrava la faccia facendo delle boccacce. La scena iniziale aveva come soggetto la damigiana finita al centro della tavola. Poi l’inquadratura si allargava ed a una estremità del tavolo mi vedevo che discutevo con Chicco, quel poco che era rimasto di Michele e una tipica bottiglia di Jack Daniel’s davanti. Appena  rividi il whisky mi venne un leggero conato di vomito, ma non mi ricordò nulla. All’altra estremità c’erano Carlo, la Valeria e la ragazza di Alberto che ridevano un sacco. Carlo continuava a voler brindare. Guardava che tutti avessero svuotato i loro bicchieri e li ricaricava con non so cosa.

Nel filmato successivo la situazione non era cambiata. Carlo continuava a riempire bicchieri. Non erano tanto divertenti. L’Elisa me lo fece notare ed io ero sempre più preoccupato dal fatto di aver visto la Valeria completamente ubriaca.

Mancava il quarto che in realtà era l’ultimo ancora da visionare. Speravo in un’altra cazzata.

Subito però un cambiamento mi preoccupò, la telecamera l’aveva Chicco, inquadrava Michele con la testa appoggiata al tavolo con io e Alberto che cercavamo di svegliarlo, gli alzavamo la testa e gli mettevamo una canna accesa in bocca, lui in dormiveglia fumava e poi gli lasciavamo la testa che sbatteva sulla tavola, non forte, ma neanche delicatamente. Poi la voce di Chicco interrompeva tutto e domandava: “Chi manca?” Passai due secondi terribili, volevo chiudere il portatile. Né la Valeria né Filippo erano mai stati inquadrati. L’obbiettivo iniziò ad avanzare per la sala e uscì fuori. Chicco schiacciò dei bottoni e la visuale si schiarì anche se era notte. Pensai che questa vacanza fosse finita e chiusi gli occhi. “Eccoli !” La voce di Chicco mi svegliò. Si vedeva la Valeria e, sorpresa delle sorprese, Carlo che si baciavano in modo più che romantico.

-         Oddio.- Mi sfuggì un sorriso, mi guardai attorno e risi di gusto.

L’Elisa era tutta eccitata dalla scoperta.

-         Mamma mia. Adesso come la sfotto, come la sfotto.

-         E’ meglio se lasci stare. Siamo grandi per queste cose ormai. No?

-         Va bene.- Disse sconsolata. -Hai ragione. E’ da stupidi.

Ero seduto con troppo a porta di mano la pipa, la presi e la caricai per poter rimanere da solo a pensare.

 
 
 

Post N° 50

Post n°50 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo quattordicesimo

 

Mi guardavo in giro. Due tre pensieri mi ronzavano in testa. Tipo: “ma Carlo è venuto con me alla macchina e ha visto la Valeria con Filippo, come l’avrà presa?” “Bo’. Comunque spiegato il pessimo umore di questa mattina.” “Ma come ha fatto la Valeria a limonare con Carlo e finire a letto con Filippo?” “Il Jack”.

L’Elisa era bella vispa dopo queste nuove notizie, io con un colpo da hacker spostai i video in una cartella scolastica di Michele e spensi il computer. D’esperienza sapevo che al pomeriggio tutti avrebbero dormito specialmente dopo una serata come quella appena trascorsa. Dovevo riempire il tempo. Senza fare danni.

-         Andiamo a fare la spesa? Hai voglia?

-         Ok dai.

-         Aspettami qui Elisa che vado a prendermi il giubbotto.

Andai in camera e svegliai, piano piano la Valeria che non aveva coraggio di guardarmi negli occhi.

-         Tranquilla Valeria. Volevo solo dirti che andiamo a fare la spesa e appena usciamo tu vai a vedere i video che sono salvati nel computer, visto che ci sei anche tu e li ha visti anche l’Elisa.- A quel nome si destò completamente, ma non volevo farla preoccupare: -Tranquilla nulla di compromettente però devi vederli. Sono nella cartella “informatica-primo compitino”. Ok? Notte.

Io non ricordavo nulla, forse neanche lei, per cui era meglio che vedesse i video. Mi sembrava un comportamento onesto e il pensiero di avere fatto la cosa giusta mi accompagnò per tutto il giro della spesa.

Ci mettemmo un’ora e raccogliemmo un po’ di sguardi contrariati dai commessi visto che eravamo gli ultimi clienti della mattinata. Quando tornammo nella nostra alcova nulla era cambiato, dormivano tutti.

Aprii spavaldo una birra e come sottofondo misi un cd dei “Tool”. Preparai nuovamente la pipa ad acqua e mi fumai una carica per stordirmi. Lei mi guardò curiosa.

-         Vorrei riprovare. Quasi quasi.

-         Non ti è bastato ieri sera?

-         Ma voi come fate?

-         E’ una questione di testa e di quanto “A” percepisci il tuo corpo , “B” di quanto lo controlli. Anch’io ora ho un mega abbassamento di pressione, ma a parte il fatto di essere abituato, controllo il mio corpo e mi concentro.

-         Ma fammi riprovare?

-         No, è mattina. Hai già la pressione bassa.

-         Dai? Ora che non c’è nessuno ieri mi sentivo ad un rito di iniziazione.

Con la mista avanzata girai una canna.

-         Fuma un po’ questa mentre ti preparo le cariche che se ti facevo le mie morivi.

Lei fumò, fissandomi, io intanto pazientemente le spiegavo.

-         Accendi tenendo chiuso il buco che c’è qui di lato, con il dito. Devi tirare pianissimo, proprio tirare con la bocca chiusa quasi, ma aspirando in modo continuo. Poi quando vedi che la carica si è abbastanza bruciata tiri con un colpo secco e la mandi giù. Aprendo il buco di lato nel frattempo. E mi raccomando, tirare non soffiare se no ci laviamo. Un tiro continuo. Ok? Ti faccio vedere? Anzi dai falla tu.- Dissi riprendendomi il cannone dalle sue mani.

Lei prese e la fumò in un tiro. Fece a tempo ad alzare lo sguardo vittoriosa e orgogliosa che iniziò a tossire per dieci minuti filati.

-         Sto male.- Erano le uniche parole che le uscivano tra un colpo di tosse e l’altro.

-         Macchè non stai male. Hai male alla gola, non stai male. E’ diverso.

Mi sentivo un maestro e non mi piaceva. La guardai in faccia, si era seduta e si stava tranquillizzando, aveva già gli occhi rossi. Presi la Coca Cola e ne versai un po’in due bicchieri.

Vedendo la sua curiosità placata andai in camera e cercando in borsa presi dei libri che mi ero portato via. Da leggere. Sapendo che non era una cosa così usuale, quando tornai in cucina e l’Elisa mi vide, mi sentii in dovere di darle delle spiegazioni.

-         Mi porto sempre via dei libri da leggere la mattina quando tutti dormono. Mi sto leggendo un libro. Una figata si intitola “La versione di Barney”, una figata veramente. E’ la vita che avrei voluto fare.- Dissi mostrandoglielo.

-         Ma l’hai gia letto?- Domandò incuriosita da tutte le spiegazzature.

-         Si

-         E lo rileggi?

-         Si.

-         Tu sei matto.

Però si era concentrata.

-         Vedi che ora stai bene.

La guardai, era stordita e pian paino reclinò la testa sulla tavola e prese sonno. Io mi aprii una birra, presi il lettore mp3, mi incuffiai per bene e mi misi a leggere. Non “La versione di Barney”, ma un libro di Camus di cui non avevo ben capito il titolo visto che dentro c’erano più racconti.

Uno in particolare aveva preso tutta la mia attenzione. Era un monologo di ottanta pagine. Mi misi a leggere e non vidi il tempo passare. Tra un sorso e una sigaretta lo finii, segnandomi le parti più interessanti con un piccolo orecchio in un angolo della pagina. Poi a caso riaprivo il libro e andavo al segno più vicino per rileggere la parte in questione. Continuando così per non so quanto tempo. Ad un tratto chiusi il libro di scatto e mi resi conto della necessità di pensare, mi girai una canna, d’erba, e andai fuori.

Volutamente non mi ero preso nessun giubbotto. Mi sentivo caldo, bollente dentro, e la necessità di sentire un salutare freddo sulla pelle mi spinse ad andar fuori in felpa. Uscii, feci pochi passi, giusto per aprire l’orizzonte davanti a me e mi sedetti a guardare le colline ricoperte di boschi. Presi l’accendino e iniziai a fumare. Il cielo si era liberato, anche se non completamente ed era più bello così.

A destra l’azzurro sfumava in blu, sempre più scuro e pensavo ad un ragazzo, a centinaia di chilometri da me che seduto, fumava e pensava “E’ già notte”. Guardavo a sinistra ed i raggi di sole erano ancora vivi, illuminavano nubi distanti, cariche di pioggia e pensavo ad un ragazzo, a centinai di chilometri di distanza che seduto, fumava e pensava “Che merda piove”.

Spensi il cannone finito sul muretto e rimasi li a guardare, inebetito, ma con pensieri freschi che mi dicevano: “Guarda gli alberi, guardati attorno”, e lo feci, senza obiettivi, senza cercare qualcosa di particolare, di interessante, solo fare una scorpacciata di natura, viva, pulsante. Solo allora sentii i suoni, del vento, gli uccelli e anche una macchina lontanissima, che non disprezzavo. Mi ricordava la mia città e i suoi rumori, era come se mi dicesse: “Hai presente che casino potrei fare? Godi, ora” e godevo, volevo essere invidiato da tutte quelle persone che in quel momento avrebbero voluto essere al mio posto.

Quando mi resi conto che non sentivo più i suoni della natura capii che stavo pensando a me stesso e non alla bellezza che mi circondava. Mi alzai guardandomi attorno, spaesato e pensai: “Effettivamente è proprio bello”.

Cercai l’orologio. Erano le cinque passate. Mi avviai verso casa, a meta strada non riuscii a non voltarmi per osservare nuovamente il luogo dov’ero stato seduto. Quasi mi emozionai, mi vergognai e mi diressi deciso verso la nostra viuzza.

Entrai in cucina, c’era la Valeria che vedendomi entrare si spaventò, ma poi reclinò lo sguardo a fissare il pavimento.

Non era molto fiera di quello che aveva fatto, evidentemente, ma a me non interessava per nulla e comunque non la biasimavo, si era fatta una gran serata ed aveva fatto ciò che sentiva dentro. Per una volta nella vita e distanti da casa mille chilometri. Ci stava.

Oltre a lei in cucina c’era Chicco che certamente non sapeva quasi nulla ed era meglio così. Sputtanava sempre tutti, in buona fede, da ubriaco, ma lo faceva e lo sapeva, allora se ne stava fuori dai casini. Si stava bevendo una birra e mi guardò pure lui sorpreso.

-         Dove cazzo sei stato? Ti sei alzato di scatto prima. Eri tutto assorto. Nessuno aveva coraggio di avvicinarsi.

-         A fumarmi una canna guardando il tramonto.

-         Onesto.

-         Onesto si.

-         Sei tu che leggi questi libri?- Mi domandò la Valeria con fare titubante.

-         Si. Mi piace leggere.

-         Vecchia, lascia stare che questo qui legge cose strane. Dio….

Mi sentivo imbarazzato e soprattutto mi maledissi un po’ perché non avevo gestito la situazione al meglio. Mi sentivo ancora leggermente in trance.

-         Vuoi un goccio?- Disse Chicco porgendomi una bottiglia di birra.

-         Certolo.-  Mandai giù un sorso e la restituii al suo proprietario, la prese in mano e la avvicinò alla Valeria che declino l’invito.

“Saggia mossa” e quasi quasi la invidiavo.

-         Mangiamo io ho un po’ di fame.- Nessuno mi rispose. Allora ripresi i libri e iniziai, questa volta, a leggere “La versione di Barney” che mi metteva sempre di buon umore.

Chicco mi domandò informazioni su dove fosse tutto il necessario per rollare una canna e come un automa indicai col braccio. Dopo cinque minuti aveva fatto la mista, preparato il filtro, la cartina e iniziò a fissarmi.

-         Dovrai imparare prima o poi.- Gliela girai, la accesi, feci un paio di tiri e la passai rimettendomi a leggere.

 
 
 
 
 

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