Creato da antonio.gambini il 12/02/2007

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lezione n.°1

Post n°627 pubblicato il 29 Agosto 2011 da antonio.gambini
 

La prima declinazione e le sue particolarità

Alla prima declinazione appartengono molti nomi femminili e pochi nomi maschili, nessun nome neutro.
Essi presentano:            
            nominativo singolare in
            genitivo singolare in –ae
 i nomi maschili e femminili si declinano secondo il seguente modello:

 

Singolare

 

Plurale

Nom.

Nom.

-ae

Gen.

-ae

Gen.

-ārum

Dat.

-ae

Dat.

-īs

Acc.

-ăm

Acc.

-ās

Voc.

Voc.

-ae

Abl.

Abl.

-īs


Es. rosa, rosae (it. la rosa)

 

Singolare

 

Plurale

 Nom.

ros-ă     la rosa

Nom.

ros-ae         le rose

Gen.

ros-ae   della rosa

Gen.

ros-ārum    delle rose

Dat.

ros-ae   alla rosa

Dat.

ros-īs          alle rose

Acc.

ros-ăm  la rosa

Acc.

ros-ās          le rose

Voc.

ros-ă    o rosa

Voc.

ros-ae          o rose

Abl.

ros-ā   dalla rosa

Abl.

ros-īs          dalle rose



Particolarità della prima declinazione

Le particolarità riguardano i casi ed il numero e quindi si dividono in Particolarità dei casi e Particolarità del numero

  1. Particolarità dei casi
  1.  
    1. Genitivo singolare in -as (anziché in –ae). Il sostantivo familia accompagnato dai termini pater, mater, filius, filia, può presentare una forma più antica di genitivo in   -as.

Es.       pater familias, padre di famiglia
           mater familias, madre di famiglia
           filius familias, figlio di famiglia
           filia familias, figlia di famiglia

  1. Genitivo plurale in -um (anziché in –arum). Si può trovare in: a) nomi di origine greca, come dracma, moneta, amphora, anfora, che accanto alle forme drachm-arum, amphor-arum, presentano la forma drachm-um, amphor-um; b) composti con i suffissi  -cŏla, -gĕna, come caelicola, abitante del cielo, Graiugena, nato in Grecia. Accanto alle forme caelicol-arum, Graiugen-arum, si può trovare caelicol-um, Graiugen-um.
  1. Dativo e ablativo plurale in -abus (anziché in –is). I nomi femminili filia, figlia, dea, dea, liberta, schiava liberata, e nel linguaggio degli allevatori mula, la mula, equa, la cavalla, escono in -abus per distinguersi dai rispettivi maschili che escono in –is.

      Es.       fili-is et fili-abus, ai figli e alle figlie
                 de-is et de-abus, aglidei e alle dee
                 equ-is et equ-abus, ai cavalla e alle cavalle

  1. Particolarità del numero

Occorre osservare due particolarità che riguardano il numero:

  1.  
    1. Esistono nomi comuni e nomi di città che hanno solo il plurale (pluralia tantum).
      Alcuni sono:

                 divitiae, arum, la ricchezza                            Athenae, arum, Atene
                 insidiae, arum, l’insidia                                 Cannae, arum, Canne
                 deliciae, arum, la delizia                                Syracusae, arum Siracusa
                 Nutiae, arum, le nozze                                  Pisae, arum, Pisa

  1.  
    1. Esistono nomi che al singolare hanno un significato diverso dal plurale.
      Alcuni sono:

               copia, ae, abbondanza                                   copiae, arum, truppe
               lettera, ae, lettera dell’alfabeto                       litterae, arum, missiva
               viglia, ae, veglia                                             vigiliae, arum, sentinelle
               opera, ae, opera                                            operae, arum, operai

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"Il mondo … questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro. Non c’era stato niente prima di esso. Niente. Non c’era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto questo che m’irritava : senza dubbio non c’era alcuna ragione perché esistesse, questa larva strisciante. Ma non era possibile che non esistesse.

 
Voglio dire che, per definizione, l’esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente : gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C’è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. orbene, non c’è alcun essere necessario che può spiegare l’esistenza : la contingenza non è una falsa sembianza, un’apparenza che si può dissipare; è l’assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare … ecco la Nausea".

"Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d'esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto ch'io potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s'isolava, traboccava. Di queste relazioni (che m'ostinavo a mantenere per ritardare il crollo del mondo umano, il mondo delle misure, delle quantità, delle direzioni) sentivo l'arbitrarietà; non avevano più mordente sulle cose. Di troppo, il castagno, lì davanti a me, un po' a sinistra. Di troppo la Velleda…
 
Ed io - fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri - anch'io ero di troppo. Fortunatamente non lo sentivo, più che altro lo comprendevo, ma ero a disagio perché avevo paura di sentirlo (anche adesso ho paura - ho paura che questo mi prenda dietro la testa e mi sollevi come un'onda). Pensavo vagamente di sopprimermi, per annientare almeno una di queste esistenze superflue.
 
Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo. Di troppo il mio cadavere, il mio sangue su quei ciottoli, tra quelle piante, in fondo a quel giardino sorridente. E la carne corrosa sarebbe stata di troppo nella terra che l'avrebbe ricevuta, e le mie ossa, infine, ripulite, scorticate, nette e pulite come denti, sarebbero state anch'esse di troppo: io ero di troppo per l'eternità"

(JP Sartre, La nausea)
 

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