Creato da antonio.gambini il 12/02/2007

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perché van gogh si tagliò l'orecchio

Post n°552 pubblicato il 27 Dicembre 2009 da antonio.gambini

STUDIOSO, SCONVOLTO PERCHE' FRATELLO THEO STAVA PER SPOSARSI - LONDRA, 27 DIC - Il mistero sulla piu' famosa mutilazione della storia dell'arte puo' finalmente essere risolto: secondo uno studioso, a spingere Vincent Van Gogh a mozzarsi l'orecchio fu l'apprendere che il fratello Theo, da cui l'artista dipendeva finanziariamente e psicologicamente, stava per sposarsi. Questa la tesi sostenuta da Martin Bailey, autore di un volume su Van Gogh e curatore di due mostre sulla sua opera, di cui trattera' il prossimo numero di The Art Newspaper, anticipato oggi dal Sunday Times. La teoria su un Van Gogh sconvolto dal timore che il fratello, preso dai nuovi impegni coniugali, non l'avrebbe piu' sostenuto economicamente, e' stata elaborata da Bailey dopo una scrupolosa indagine su una lettera che il maestro dei Girasoli inseri' in un dipinto completato poco dopo essersi tagliato l'orecchio. Secondo Bailey, la lettera fu scritta dallo stesso Theo da Parigi nel dicembre 1888 e conteneva la notizia del suo fidanzamento, il che avrebbe turbato nel profondo un Vincent gia' disturbato psicologicamente e l'avrebbe condotto, poco prima del Natale 1888, al famoso gesto di autolesionismo, le cui ragioni erano rimaste finora avvolte nel mistero. ''Vincent temeva di perdere il sostegno psicologico e finanziario del fratello'', scrive Bailey su The Art Newspaper di gennaio. Per anni, l'orecchio mozzato del genio olandese e' stato al centro delle spiegazioni piu' disparate. Qualcuno ha dato la colpa alla sua follia, qualcuno ha spiegato la pazzia di Van Gogh con il piombo contenuto nei colori, altri hanno citato la fine della sua amicizia con Paul Gauguin, al punto che studiosi dell'universita' di Amburgo hanno sostenuto che sarebbe stato lo stesso Gauguin, con cui Van Gogh divise una casa ad Arles, a tagliargli l'orecchio durante una lite per una prostituta di nome Rachel. Questa spiegazione, pero', e' stata respinta sia dal Museo Va Gogh di Amsterdam che dallo stesso Bailey. Della propria instabilita' mentale, comunque, Van Gogh diede ampia prova quando, 19 mesi dopo essersi mozzato l'orecchio, si sparo' un colpo al petto, morendo dopo due giorni di agonia. La lettera al centro della teoria di Bailey sarebbe la stessa che compare nel dipinto ''Natura morta: tavolo con cipolle'', dipinto da Van Gogh nel gennaio 1889, appena un mese dopo essersi ferito, e che sara' esposto nella mostra alla Royal Academy di Londra in apertura il mese prossimo. (ANSA)

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Antonio De Robertis il 30/12/09 alle 13:13 via WEB
L’ORECCHIO RECISO DI VAN GOGH Oramai ogni 6 mesi siamo abituati a leggere una nuova versione sull’automutilazione del lobo dell’orecchio sinistro di Van Gogh.Non se ne può più.E’un segnale dello scadimento degli studi sull’olandese.Possibile che non ci sia nulla più di interessante da scoprire e ci si rifugi in un sensazionalismo da gossip di quart’ordine?Prima si incolpò Gauguin,che avrebbe ferito Vincent essendo un abile spadaccino.Ma mi si spieghi: come avrebbe potuto un fiorettista(tale era Gauguin)mozzare di netto con un colpo solo il lobo inferiore dell'orecchio sinistro all'avversario?Anche con la spada sarebbe stata impresa impossibile,col rischio di decapitare il malcapitato(mi si scusi il gioco di parole).E'ridicolo.Anche tutto il resto.Gauguin non scappò di fretta e furia a Tahiti,partì il 4 aprile 1891,più di due anni dopo gli avvenimenti.Al contrario informò subito con un telegramma dell'accaduto il fratello di Van Gogh,Theo,lo aspettò ad Arles e tornarono insieme in treno a Parigi il giorno di Natale 1888,dopo aver visitato il fratello in ospedale.In una lettera del 9 gennaio 1889 depositata negli archivi del museo Van Gogh(di cui per la verità esiste solo un frammento,manca la prima parte) Gauguin chiede cortesemente a Van Gogh di spedirgli la maschera e i guanti da scherma,che ha dimenticato nello sgabuzzino della casa gialla.Regolarmente il 2 maggio 1889 vengono spediti da Van Gogh in una cassa assieme ad altri studi e oggetti personali di Gauguin.Ora leggo che il motivo dell’incidente è un altro. Vincent riceve il 21 dicembre 1888 una lettera di Theo che lo informa di essersi fidanzato con Johanna Bonger e la sera del 23,ben 2 giorni dopo,circa alle 22 si recide a freddo l’orecchio e lo porta poi alla vicina casa di tolleranza per consegnarlo alla sua amica Rachel.E Gauguin dove è andato nel frattempo?Pare sia andato a dormire in albergo,perché dopo continui litigi non se la sentiva più di dormire nella casa gialla,dopo che quella sera,poco prima Van Gogh lo aveva rincorso per strada brandendo minacciosamente un rasoio.Ora mi chiedo:ma perché se Vincent ce l’aveva tanto col fratello,cercò di colpire invece Gauguin?Non dimentichiamo che quando questi la mattina seguente tornò alla casa gialla ad accoglierlo trovò i gendarmi che volevano arrestarlo per tentato omicidio dell’amico.Si salvò dalle manette solo per l’alibi dell’albergatore dove aveva trascorso una notte per altro molto agitata.Per concludere,il 23 gennaio 2010 si inaugura una mostra di Van Gogh alla Royal Academy di Londra.Non mi pare corretto che per fare da volano si utilizzi una storia già usurata poco credibile e per nulla dimostrabile.Tutti sappiamo che ogniqualvolta Theo tentava di smarcarsi dai destini del fratello erano dolori,con crisi che duravano settimane,durante le quali Van Gogh inghiottiva i colori a olio e beveva la trementina.Nulla di nuovo quindi.
 
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"Il mondo … questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro. Non c’era stato niente prima di esso. Niente. Non c’era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto questo che m’irritava : senza dubbio non c’era alcuna ragione perché esistesse, questa larva strisciante. Ma non era possibile che non esistesse.

 
Voglio dire che, per definizione, l’esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente : gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C’è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. orbene, non c’è alcun essere necessario che può spiegare l’esistenza : la contingenza non è una falsa sembianza, un’apparenza che si può dissipare; è l’assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare … ecco la Nausea".

"Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d'esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto ch'io potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s'isolava, traboccava. Di queste relazioni (che m'ostinavo a mantenere per ritardare il crollo del mondo umano, il mondo delle misure, delle quantità, delle direzioni) sentivo l'arbitrarietà; non avevano più mordente sulle cose. Di troppo, il castagno, lì davanti a me, un po' a sinistra. Di troppo la Velleda…
 
Ed io - fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri - anch'io ero di troppo. Fortunatamente non lo sentivo, più che altro lo comprendevo, ma ero a disagio perché avevo paura di sentirlo (anche adesso ho paura - ho paura che questo mi prenda dietro la testa e mi sollevi come un'onda). Pensavo vagamente di sopprimermi, per annientare almeno una di queste esistenze superflue.
 
Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo. Di troppo il mio cadavere, il mio sangue su quei ciottoli, tra quelle piante, in fondo a quel giardino sorridente. E la carne corrosa sarebbe stata di troppo nella terra che l'avrebbe ricevuta, e le mie ossa, infine, ripulite, scorticate, nette e pulite come denti, sarebbero state anch'esse di troppo: io ero di troppo per l'eternità"

(JP Sartre, La nausea)
 

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