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INDUSTRIA CULTURALE

Post n°774 pubblicato il 29 Marzo 2013 da antonio.gambini
 

 

L'INDUSTRIA CULTURALE COME SISTEMA

Il termine "industria culturale" viene usato da Horkheimer e Adorno nella "Dialettica dell'Illuminismo" del 1942, in cui è illustrata "la trasformazione del progresso culturale nel suo contrario", sulla base di analisi di fenomeni sociali caratteristici della società americana tra gli anni Trenta e Quaranta. Negli appunti precedenti la stesura si usava il termine "cultura di massa", sostituita poi con "industria culturale per eliminare l'interpretazione di ciò che tratti di una cultura che nasce spontaneamente dalle masse stesse, come una forma contemporanea di arte popolare" (Adorno, 1967). Il mercato di massa impone standardizzazione e organizzazione: i gusti del pubblico e i suoi bisogni impongono stereotipi di bassa qualità. Succede però che in questo circolo di manipolazione e di bisogno che ne deriva, che l'unità del sistema si stringe sempre di più. Sotto le differenze, rimane l'identità di fondo: quella del dominio che l'industria culturale persegue sugli individui: "ciò che di continuamente nuovo essa offre non è che il rappresentarsi in forme sempre diverse di un qualcosa di eguale" (Adorno, 1967). La macchina dell'industria culturale ruota sul posto: determina essa stessa il consumo ed esclude tutto ciò che è nuovo, che si configura come rischio inutile, avendo eletto a primato l'efficacia dei suoi prodotti.

L'INDIVIDUO NELL'EPOCA DELL'INDUSTRIA CULTURALE

Nell'era dell'industria culturale l'individuo non decide più autonomamente: il conflitto tra impulsi e coscienza è risolto con l'adesione acritica ai valori imposti. L'uomo è in balia di una società che lo manipola a piacere: "il consumatore non è sovrano, come l'industria culturale vorrebbe far credere, non è il suo soggetto bensì il suo oggetto"( Adorno,1967). Anche se gli individui credono di sottrarsi, nel loro tempo di non- lavoro, ai rigidi meccanismi produttivi, in realtà la meccanizzazione determina così integralmente la fabbricazione dei prodotti di svago, che ciò che si consuma sono solo copie e produzioni del processo lavorativo stesso. Più distinto e diffuso sembra essere il pubblico dei moderni mass media, più i mass media tendono a ottenere la loro integrazione. "La società è sempre la vincitrice e l'individuo è soltanto un burattino manipolato dalle norme sociali. (Adorno, 1954). L'influenza dell'industria culturale, in tutte le sue manifestazioni, porta ad alterare la stessa individualità del fruitore: egli è come il prigioniero che cede alla tortura e finisce per confessare qualsiasi cosa, anche ciò che non ha commesso.

LA QUALITA' DELLA FRUIZIONE DEI PRODOTTI CULTURALI

I prodotti dell' industria culturale "sono fatti in modo che la loro apprensione adeguata esige bensì prontezza di intuito, doti di osservazione, competenza specifica, ma anche da vietare addirittura l'attività mentale dello spettatore, se questi non vuol perdere i fatti che gli passano rapidamente davanti" (Horkheimer - Adorno, 1947). Costruiti apposta per un consumo distratto, non impegnativo, questi prodotti riflettono, in ognuno di loro, il modello del meccanismo economico che domina il tempo del lavoro e quello del non- lavoro. "Lo spettatore non deve lavorare di testa propria: il prodotto prescrive ogni reazione: non per il suo contesto oggettivo- che si squaglia appena si rivolge alla facoltà pensante- ma attraverso i segnali. Ogni connessione logica, che richieda fiuto intellettuale, viene scrupolosamente evitata" (Horkheimer - Adorno,1947).

GLI EFFETTI DEI MEDIA

"I mass media non sono semplicemente la somma totale delle azioni che descrivono o dei messaggi che si irradiano dalle azioni. I mass media consistono anche in vari significati sovrapposti l'uno all'altro: tutti collaborano al risultato" (Adorno,1954). La struttura multistratificata dei messaggi riflette la strategia di manipolazione dell' industria culturale: quanto essa comunica è stato da essa stessa organizzato allo scopo di incantare gli spettatori simultaneamente a vari livelli psicologici. Il messaggio nascosto, può essere più importante di quello evidente, poiché questo messaggio nascosto sfuggirà ai controlli della coscienza, non sarà evitato dalle resistenze psicologiche nei consumi, ma probabilmente penetrerà il cervello degli spettatori. Questa struttura multistratificata si pone in una prospettiva limitata e fuorviante, e proprio la trascuratezza che finora - osserva Adorno - ha caratterizzato le analisi sull'industria culturale. La manipolazione del pubblico passa dunque nel mezzo televisivo mediante effetti che si realizzano sui livelli latenti dei messaggi. Essi fingono di dire una cosa e invece ne dicono un'altra, fingono di essere frivoli e invece, ponendosi oltre la consapevolezza del pubblico, ne ribadiscono lo stato di asservimento. Lo spettatore, attraverso il materiale che osserva, è continuamente messo, a sua insaputa, nella condizione di assorbire ordini, prescrizioni, proscrizioni.

 

 
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"Il mondo … questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro. Non c’era stato niente prima di esso. Niente. Non c’era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto questo che m’irritava : senza dubbio non c’era alcuna ragione perché esistesse, questa larva strisciante. Ma non era possibile che non esistesse.

 
Voglio dire che, per definizione, l’esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente : gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C’è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. orbene, non c’è alcun essere necessario che può spiegare l’esistenza : la contingenza non è una falsa sembianza, un’apparenza che si può dissipare; è l’assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare … ecco la Nausea".

"Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d'esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto ch'io potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s'isolava, traboccava. Di queste relazioni (che m'ostinavo a mantenere per ritardare il crollo del mondo umano, il mondo delle misure, delle quantità, delle direzioni) sentivo l'arbitrarietà; non avevano più mordente sulle cose. Di troppo, il castagno, lì davanti a me, un po' a sinistra. Di troppo la Velleda…
 
Ed io - fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri - anch'io ero di troppo. Fortunatamente non lo sentivo, più che altro lo comprendevo, ma ero a disagio perché avevo paura di sentirlo (anche adesso ho paura - ho paura che questo mi prenda dietro la testa e mi sollevi come un'onda). Pensavo vagamente di sopprimermi, per annientare almeno una di queste esistenze superflue.
 
Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo. Di troppo il mio cadavere, il mio sangue su quei ciottoli, tra quelle piante, in fondo a quel giardino sorridente. E la carne corrosa sarebbe stata di troppo nella terra che l'avrebbe ricevuta, e le mie ossa, infine, ripulite, scorticate, nette e pulite come denti, sarebbero state anch'esse di troppo: io ero di troppo per l'eternità"

(JP Sartre, La nausea)
 

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