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Le mirabolanti avventure di Paolo Uccello: capitolo 8

Post n°9 pubblicato il 21 Marzo 2006 da PaoloUccellodgl

Ma ora mi accorgo di avere parlato di mia suocera, l'invereconda suor Giuseppina, senza dettagliare sugli avvenimenti che mi condussero alle nozze. Ebbene, miei bravi, dovete sapere che parallelamente alla cavalcata verso gli empirei, mi ero molto dato da fare nel gaudevole sport dei lombi, che da giovane avevo invincibili. E, a tal proposito, adesso si apra una parentesi, perché voglio che si sappia che razza di atleta sono stato! Un fior di centometrista, sia a nuoto che a sputo, un raddrizza-banane col culo, un domatore di cavilli, un lanciatore di cd, ma soprattutto il portiere della squadra delle carceri, che se non fosse stato per l'altezza un po' deficitaria, sarei finito in Nazionale, e forse oggi la storia patria sarebbe stata diversa. Nel corso delle mie esibizioni tra i pali della Bacigalupo (così si chiamava il nostro WonderTeam), le tribune degli impianti si riempivano di pulzelle che accorrevano soltanto per vedermi in mutande. Gioco forza, mi fidanzai con cinque veline e altrettante letterine, a cui ogni sera elargivo il buon tempo che esse meritavano. Alla rossa una botta di sponda, alla slovena permettevo la fellatio emorroidale, la bruna la penetravo con la Lambretta, e via così, con una fantasia che non aveva limiti. Tra queste giovani, però, ce n'era una labbruta, con la faccia da troia, di cui mi innamorai perdutamente. Si chiamava Veronica, era nata ed aveva sempre vissuto in un convento. Il suo motto era: fai quello che vuoi, ma non giurare sui figli! Ero pazzo di lei, ma non disdegnavo di farmi titillare il glande dalla cara mamma, suor Giuseppina, appunto, che in gioventù aveva esercitato la difficile professione di maitresse di casini. Veronica e io ci sposammo, dopo un breve fidanzamento, il 109 ottobre dell'anno 13, ma la nostra felicità durò poco. La poverina, infatti, spirò dando alla luce il nostro primogenito, a cui imposi il nome di Pier Uccello. Chiudendo gli occhi, Veronica mi disse: regalami un funerale con i controcazzi. Naturalmente esaudii l'estremo desiderio di mia moglie. La mattina delle esequie, sul sagrato della chiesa del Rutto di Cornucopia, c'erano 1700 invitati e io arrivai un poco in ritardo. Ero passato dall'estetista a farmi una lampada, altrimenti sarei stato bianco come un cadavere.

 
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