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DIVERSA-MENTE

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Le mosche (seconda parte)

Post n°16 pubblicato il 16 Dicembre 2011 da amnerisdgl1

 

La nuova struttura psichiatrica AAAA era ritenuta all'avanguardia, costruita da poco tempo, si trovava oltre la zona industriale della mia città e attorno aveva solo campagna con terreni per semina e pascolo. Il primario era un gran professore che non avrei mai incontrato perchè sempre in giro per congressi e conferenze. Quando, con Marito, mi ci recai ero piena di cartelle cliniche, scartoffie varie e speranza; ma il primo viaggio lo feci a vuoto, il secondo mi servì per avere un appuntamento con il medico, il terzo per conoscerlo, anzi conoscerla, stringerle la mano e avere un ulteriore appuntamento per un secondo incontro, quando avrebbe valutato la possibilità e la necessità di un mio ricovero. Intanto quel giorno stesso un assistente ci fece fare un giro per parte dell'edificio. Anche quì, ahimè, c'erano laboratori per la ceramica, un grande salone con chitarre, tamburi e persino una batteria! mentre all'esterno si trovavano orticelli, una lavanderia, e poi pappagalli, tartarughe, e persino un paio di cavalli. Quello che non vidi mai furono i pazienti.

Era una mattina di primavera, quell'anno la siccità aveva imperversato e l'erba era già di un verde spento, acceso solo da un'infinità di margherite gialle, papaveri e spighe selvatiche. Le conoscete quelle a cui si sfilano i semi e poi si lanciano addosso andando ad impigliarsi sugli abiti? Questo era un gioco divertente che si faceva spesso e non solo da bambini. Lo racconto per dare un'idea dell'umore che avevo il giorno del mio secondo appuntamento con lo psichiatra, infatti ero così contenta per la nuova esperienza che mi accingevo a vivere, che riuscivo persino ad apprezzare il paesaggio che mi circondava. Finalmente mi sarei allontanata da casa, avrei avuto una camera per stare sola e sarei stata circondata da persone simli a me, e per questo avrei sopportato anche di fare fiori di carta e cestini di raffia. L'edificio, che ospitava il Centro AAAA, aveva per porta una grande vetrata e l'ampio ingresso assomigliava a quello di un hotel: difronte c'era un lungo bancone di legno lucido e bianco, dove stava un signore vestito in giacca e cravatta, a destra una scala sinuosa e un corridoio, a sinistra un salotto di poltrone azzurre, con al centro un tavolino di vetro con diverse riviste. Prima di essere ricevuti, io e Marito aspettammo un pò di tempo nella grande hall, le finestre erano spalancate ed entrava il profumo di una precoce estate. Ma non entrava solo quello...(continua)

 

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