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PALESTINA SI SCRIVE PACE

Post n°17 pubblicato il 25 Gennaio 2009 da lappunto

"Palestina si scrive pace". L'avevo notato per la prima volta anni fa scritto su un volantino distribuito nel corso di una manifestazione. Mi pare di ricordare che fosse stato durante una Marcia della Pace, ad Assisi. E da lì non l'ho più scordato. E' inevitabile, le due parole non a caso hanno un'assonaza spiccata, un legame antichissimo che le vincola l'una all'altra. Mettiamo ad esempio un bambino, un bambino italiano. Si siede sulla sua prima seggiolina, in prima elementare, e dopo qualche mese apprende che in Palestina è vissuto Gesù Cristo. La maestra gli spiega con il sorriso sulle labbra che la Palestina è la terra dove è nata un'intera religione, dove l'uomo si è posto le domande più grandi, dove sono state scritte parole splendide. E per compito magari assegna alla classe un disegno. Un disegno della Palestina, della "terra di Gesù". Ed ecco allora, una volta a casa, la mamma aiutare il piccolo bimbo nell'opera. Il disegno, piano piano, prende forma. Prima le abitazioni d'argilla, poi qualche palma, il ruscello, gli asini e i cammelli e ad un tratto ecco comparire persone felici, sorrisi, giochi, abiti colorati, turbanti. Come ogni altra idea, anche questa viene facilmente assimilata: Palestina, terra di pace. Ora, il nostro bambino cresce, e inizia ad insistere per stare più tempo davati ad un televisore, comincia a sbirciare le pagine dei giornali, osserva, ascolta. Le idee si fanno confuse. Palestina? Guerra, morte, odio, sangue, grida, lacrime. Crescendo approda alle scuole medie, dove, verso Gennaio, inizia a sentir parlare i propri professori di ebrei, di shoah, di Nazismo, di campi di concentramento. E di Israele, la terra dove questo popolo martoriato per millenni ha potuto trovare finalmente pace, prosperità, giustizia. Dalle scuole medie ad adolescente. Da adolescente a ragazzo. Ed eccolo seguire con interesse i primi dibattiti politici, leggere con premura i primi articoli di politica estera, partecipare alle prime assemblee d'istituto, alle prime discussioni in famiglia a cui mai aveva prestato attenzione. Israele che si capovolge, proprio come era stato poco prima per la Palestina. Un popolo distrutto che improvvisamente diventa distruttore. Un popolo massacrato che diviene presto assalitore, senza terra che diviene occupatore, affamato che diviene opulento, pacifico che divene armato. E tutto prende forma, davanti agli occhi sbigottiti del ragazzo. Nella terra che è stata da sempre culla di quel che di più grande possiede l'uomo: il pensiero.


Questo bambino, questo ragazzo, sono io. Quello era il mio banco, quella la mia maestra e quello il mio compito da fare per la settimana successiva. Questo non mi era stato detto della Palestina. Quest'altro non mi era stato detto d'Israele. Ho letto, ho visto, ho scoperto. Con la fatica che contraddistingue il reperimento di ogni notizia vera, di ogni foto autentica, di ogni voce che racconta cosa succede veramente in una guerra. Non voglio parlare di questa assurda carneficina. Non voglio urlare contro il governo israeliano o contro i razzi Quassam lanciati da Hamas. Non voglio scrivere che lo Stato d'Israele si è reso complice di un massacro di innocenti e che la Palestina ha fame, ha sete, non ha terra da coltivare, non ha più scuole e univeristà, ospedali o ambulanze, chiese o moschee, cimiteri o municipi. Non voglio scriverlo. Fa troppo male. Ma devo. E' un dovere questo numero straordinario e un po' speciale dell'Appunto. E' un dovere leggere, cercare, osservare. Dobbiamo pubblicare le foto di quei bambini. Dobbiamo parlare di quel che è successo. Dobbiamo appuntarci le emozioni per poter appuntare in futuro le idee. Le idee per quella terra, per la risoluzione del conflitto, per due popoli e due stati, per il disarmo, per il rispetto dei confini, per il ritiro dai territori occupati illegalmente, per la ricostruzione. Per dire basta. Per non dover pubblicare queste foto il mese prossimo, per non dover scrivere queste parole nuovamente. Emozioni. Ecco quello che avete tra le mani in questo istante. Frammenti, attimi, schegge. E un foglio. Sì, un foglio bianco, sul retro della copertina. Per scrivere un nuovo numero della rivista. Il numero delle idee. Io già una ce l'ho e su questo foglio bianco la appunto: Palestina si scrive Pace. Vicino a voi c'è una matita. Prendetela, avvicinatevi al foglio e chiudete gli occhi. Vi prego, non fermatevi.


Francesco Feltri

 
 
 
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