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« IO STO BENEMessaggio #116 »

LIBANO

Post n°115 pubblicato il 17 Settembre 2006 da arielasterisco

Pur ritenendo che ci sia una profonda differenza tra la missione in Libano e quelle in Iraq e Afghanistan, l’invio di soldati nella spedizione Unifil non ci trova d’accordo per diversi motivi.


1) In primo luogo la risoluzione 1701 sostiene che il conflitto è scaturito da hezbollah, ma sottace le devastazioni a cui è stato sottoposto il Libano a causa della reazione del Governo israeliano. Senza un’assunzione esplicita di responsabilità da parte del governo israeliano non ci può essere un avanzamento della pace.

2) In secondo luogo le modalità con le quali la risoluzione affronta la questione dell'intervento multinazionale e del disarmo degli hezbollah si presenta come un'ingerenza sulla sovranità del Libano e sulla sua politica interna in contrasto con lo stesso statuto dell’Onu.

3) Inoltre l'Italia ha stipulato in passato un accordo di cooperazione politico-militare con lo Stato di Israele che compromette la sua posizione di imparzialità rispetto alle parti in conflitto, come invece richiederebbe il diritto internazionale, secondo cui l'interposizione deve essere garantita da Paesi terzi.

4) L’Italia dovrebbe assumere una netta posizione di discontinuità rispetto alla politica estera del precedente Governo in particolare con il ritiro dall’Afghanistan

5) Un'altra ragione di dissenso riguarda i costi della missione, che appaiono molto cospicui e che indurrebbero ad una riconsiderazione dell’intero corpo di missioni all’estero anche alla luce dei numeri della prossima Finanziaria.

6) Infine, la condizione della popolazione palestinese, vero nodo politico della crisi, è ormai divenuta del tutto insostenibile sia a causa della repressione israeliana, che si è accentuata nei territori occupati dopo la sospensione del conflitto in Libano, sia a causa dell'insediamento di nuove colonie israeliane nei territori palestinesi. Una situazione finora rimossa che richiederebbe, quella sì, un impiego di forze internazionali per porre fine al massacro dei palestinese e consentire la nascita di uno Stato sovrano nei confini del ’67. Situazione che la 1701 non affronta correndo anzi il rischio di lasciare a Israele tutto il tempo di proseguire nella politica della colonizzazione e dell’occupazione come dimostrano le vicende di questi giorni. Per questi motivi il governo italiano deve impegnarsi per una reale Conferenza di pace con lo scopo di far nascere uno stato palestinese.
Quella che si è aperta è una fase in cui, sulla scia delle difficoltà statunitensi su tutti i teatri di guerra, e in attesa delle elezioni di medio termine, l’Europa ritorna ad avere un ruolo nel rispetto del più classico multilateralismo,quello cioè che vede le due sponde dell’atlantico in un’alleanza competitiva per il controllo delle risorse strategiche, delle vie di comunicazione, per l’egemonia geopolitica. E’ quello stesso
multilateralismo che ha già fallito in passato provocando i disastri di Somalia e Kosovo e che oggi non muta nei suoi elementi sostanziali.
Lo stesso ritrovato ruolo dell’Onu non si inscrive in un ripensamento generale di questa organizzazione mentre la risoluzione 1701 sconta ancora tutto il peso del diritto di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza e il ruolo di supporto delle Nazioni Unite alle potenze occidentali come ha dimostrato la mediazione tra Usa, cioè Israele, e Francia sul conflitto.Su tutti questi punti servono degli impegni concreti da parte del governo a partire dalla sospensione dell’accordo politico-militare con Israele e da una subordinazione dell’invio di soldati alla risoluzione della questione palestinese. L’avvio di un nuovo governo palestinese costituisce un’opportunità ma la responsabilità primaria del conflitto, e quindi della sua cessazione, sta nella determinazione di Israele a continuare l’occupazione e l’insediamento delle colonie. La fine dell’embargo, la liberazione dei prigionieri palestinesi e la fine dell’occupazione, a partire dallo smantellamento del Muro, sono passaggi ineludibili per avviare davvero un processo di pace che possa consentire un ruolo attivo, e positivo, della cosiddetta comunità internazionale.
Il sostegno di Rifondazione comunista alla missione Unifil può derivare solo dal soddisfacimento di queste condizioni e in tal senso la Direzione nazionale impegna i gruppi parlamentari.
Serve però un rilancio dell’iniziativa contro la guerra. Le scelte del governo hanno finora avuto come effetto quello di paralizzare e dividere il movimento pacifista che in una sua componente importante ha scelto la strada del collateralismo governativo come con la manifestazione di Assisi del 26 agosto. Si tratta di una scelta che lede l’autonomia del movimento a prescindere dalle posizioni che le sue varie strutture e componenti intendono prendere. E’ piuttosto grave che nella settimana dal 23 al 30
settembre, giornata di iniziativa internazionale promossa dal Forum sociale di Atene non ci sia una mobilitazione unitaria. C’è bisogno comunque di uno scatto di iniziativa per esigere il ritiro dell’Italia da tutti i teatri di guerra, ripensare la politica estera e di difesa, costruire una grande solidarietà alla lotta del popolo palestinese, ridurre le spese militari, chiudere le basi straniere. Su questi punti il movimento può ritrovare uno slancio unitario a condizione di ridefinire la propria autonomia dal governo.

Salvatore Cannavò
Franco Turigliatto

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