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Casa museo Sandro Colarieti museo archeologico Uguccione della Faggiola
Custode della memoria del luogo, è la Casa-Museo Sandro Colarieti: qui sono le testimonianze archeologiche a raccontare la storia di questa terra non lontana dalle sorgenti del Marecchia e del Tevere, area di crinale che in età romana ha visto crescere municipia quali Sassina (nella valle del Savio) e Sestinum (nella valle del Foglia).
Gli oggetti confermano una frequentazione del territorio montano già in epoca preistorica: fin dal Paleolitico l’uomo ha lasciato tracce della sua presenza nelle pietre scheggiate e nelle punte di freccia, indizi dell’attività della caccia. A documentare gli insediamenti rurali di età imperiale sono le sepolture scoperte in località Pescaia e Calanco che hanno restituito vasellame e lucerne con il bollo del produttore. Ai materiali funerari si aggiungono rinvenimenti dell’età repubblicana e dei primi secoli dell’Impero: ceramica da mensa e da cucina, mattoncini di pavimenti in cotto, oggetti in bronzo, lucerne, pesi da telaio, monete.
Curiosa l’impronta che un sandalo borchiato ha lasciato su di una tegola prima della cottura; significativa l’attestazione di un glirarium, il contenitore in terracotta in cui venivano ingrassati i ghiri, prelibatezza della cucina di Apicio.
Un ritrovamento che trova riscontri anche in altre località del territorio e nella vicina Sestino, a conferma di un allevamento domestico diffuso in epoca romana. Sono i frammenti della quotidianità, del vissuto dei piccoli abitati dell’alta valle (oltre a Casteldelci, Ponte Messa, Pennabilli, Maciano) che alla prima età imperiale legano il momento più attivo.
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In quanto terra di confine, le Marche si caratterizzano per l’eterogeneità delle produzioni di ceramica, che fioriscono già in epoca medievale e si sviluppano parimenti alla pittura e alla scultura, traendo da esse ispirazione. Il termine “ceramica” deriva dalla parola greca kéramos che vuol dire “argilla”. La tipologia più comune di ceramica è la “terracotta”, argilla dal corpo poroso, cotta a 900°-1000° C. In alcuni casi la terracotta viene rivestita con lo smalto, che rende l’oggetto impermeabile e quindi decorata e nuovamente cotta, ad una temperatura di 900°-950° C, che consente ai colori di fondersi con lo smalto.
Una conquista del XIII secolo fu lo smalto di tipo vetroso stannifero (ottenuto aggiungendo al vetro ossido di stagno). Si origina così in Italia la maiolica, che vede nella città di Faenza il suo maggior centro di diffusione, tanto che in Francia questa produzione viene chiamata proprio faillance.
Il termine maiolica deriva in realtà dal nome dell’isola di Maiorca, centro commerciale dominato dagli arabi, dal quale i prodotti ceramici venivano diffusi sul bacino mediterraneo. Tra la fine del secolo XIV e l’inizio del XV la maiolica raggiunge il momento di maggior splendore. Nel Rinascimento alcuni maestri sono riusciti nel difficile compito di illustrare una “storia”, ove la figura umana è soggetto principale, sopra la superficie pulverulenta, quindi instabile, dello smalto. Il primo istoriato va all’incirca dal 1500 al 1525 e prende il nome da historia, racconto. Le stoviglie dipinte non hanno più solo valore di utilità, ma diventano degli autentici oggetti d’arte; i ceramisti traggono il soggetto da rappresentare dalle incisioni dei maestri tedeschi e italiani o dai capolavori dei grandi pittori.
Le maggiori collezioni o raccolte di ceramica nelle Marche sono esposte nei musei di città che sono state importanti centri di produzione: Urbania, Urbino, Pesaro, Ascoli Piceno.
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