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Post n°490 pubblicato il 05 Dicembre 2011 da fefo8s2

Socrates era un grande.

Sì, lo sappiamo, cominciano tutti così i coccodrilli sul dottore comunista intellettuale alcolizzato fancazzista taccodiddio. Repubblica ne pianta addirittura due uguali nella stessa pagina, ma se uno è grande non è che non lo devi dire per originalità non richiesta.

Socrates, come quasi tutti nel mondo, è stato ad un passo dalla Roma, passo che lo avrebbe incastonato, tra Falcao e Cerezo, nel centrocampo con più cervello della storia del calcio, facendolo sentire più a casa di quanto non si sia mai sentito, non solo a Firenze, ma forse pure in Brasile.

Socrates, come quasi tutti nel mondo, dei pochi gol fatti in Italia, uno lo ha fatto alla Roma.

Socrates, come quasi tutti nel mondo, a fine partita avrebbe preso Luis Enrique da parte e gli avrebbe detto "Luis, basta co sta bicicletta su per i monti, ste diete salutiste, sto fisico inutilmente asciutto, sta tecnologia arida, basta Luis. Famose na bira, magari tembriachi e te se mettono a posto le idee. Sennò poi s'embriacano i tifosi e a furia dembriacasse finisce che fanno la fine mia senza manco esse mai stati intellettuali".

 Ma Luis, nel suo essere revolucionario, è sobriamente sempre più uguale a se stesso, motivo per cui il riciclo di giornata porta i nomi di Cicinho, uno che avevamo deciso non potesse più giocare con la Roma un paio d'anni fa, e di Perrotta, capace di strusciare la milionesima maja.

Il calcio d'inizio è una pallonata sui cojoni di Heinze, poi tira Gago da fuori proprio come un giocatore che volesse fare un tiro da fuori, quindi ci si studia pure se ci si sa abbastanza da non temersi, ma dopo 15 minuti è già finita.

Il tempo necessario a Jovetic, l'unico giocatore più che decente di una delle squadre più scarse del campionato, a passare attraverso la sagoma riacemente bronzea di Juan, tirarselo sul culo, e stramazzare a terra per l'inevitabile rigore. Siccome fino agli anni 90 pare che il calcio non sia stato un gioco sufficientemente divertente, l'impeto giustizialista che ha attraversato la stanza del potere delle blatte, decise un giorno che se sei ultimo uomo e fai fallo da rigore, il solo rigore è pena lieve. Pertanto devi esse espurso, uscì dar campo a capoccia bassa, sottoporti all'etilometro, ar dentifricio in faccia mentre dormi, ala depilazione delo scroto, il tutto senza pensà che, se sei nero, tutto ciò accada perché sei nero.

Stek è ragazzo intuitivo per cause di forza maggiore e pertanto intuisce l'amaro montenegro, quindi si stende, si prodiga e s'allunga, ma mai abbastanza.

A tamponà la voragine centrale più de quanto non faccia naturalmente da inizio campionato, viene dirottato Capitan Boh, uno che ad ogni minuto che passa e ogni pallone che tocca jaumentano quotazioni, rughe e pensieri.

Ma come diceva er Barone, in 10 si joca mejo che in 11, e infatti, complice la povertà viola, in 10 giocamo solo noi.

Giramo palla come raramente ci è capitato de fa, co passaggi sulo stretto ma pure sur largo, lanci da sinistra a destra e da destra a sinistra che nessuna unità nazionale ha visto mai così maturi, col contagiri a scioje i lacci deli scarpini. Veramente na ficata. Bojan danza mejo di Jessy Velazquez, Gago è talmente tecnico da meritare un ministero, Taddei terzino sinistro è er mejo attaccante der bigoncio, Pjanic nse capisce cosa faccia ma lo fa benino e Lamela, addirittura, dopo 35 minuti tocca er primo pallone dela gara.

In una parola, dominamo.

Ma dominamo di una sterilità che nessuna fecondazione assistita da 7 o 8 corner più altrettanti cross riesce a risorve, anche perché de tre centravanti disponibili, in campo, pe motivi diversi e bizzarri, non ce ne sta manco uno. Che a esse onesti, se poi contamo pure Okaka, i centravanti diventano quattro. Ok, semo onesti, nun lo contamo.

Ci prova solo Capitan Boh, con un sinistraccio zozzo da fuori area, ma er portiere polacco non se sporca manco pe quello.

 E così succede che i viola alleggeriscano nattimo, spazzino e rifiatino, rimedino un corner. Uno solo contro i nostri nse sa quanti. E ce fanno gò. Tal Gamberini zompa più alto dei gomiti di Heinze e segna la sua terza rete in carriera. Na carriera fatta solo de gò ala Roma. Roba che manco Socrates.

Roba che dici vabbè, allora viemme pure a rubà a casa e pisciame sur tappeto, così, a sfregio. La squadra va a riposo e noi annamo su internet a vedè se putacaso non c’è no spettacolo alle 16 al cinema vicino casa, pe risparmiasse quello che, a meno de miracoli che a noi non sono quasi mai concessi, se prefigura come un mestissimo secondo tempo. Ma poi prevale quel misto tra fedeltà e masochismo che ce rende quello che siamo, ner bene e ner male, e restamo lì, imbullonati alla poltrona, pronti a prendece la pioggia in faccia insieme a loro. Senza immaginà che quella pioggia se farà torrenziale e che stamo pe assiste a uno dei più ingloriosi naufragi del pur corposo fasciolo “Ingloriosi naufragi daaroma”.

Na mezza idea se la famo quando vediamo rientrà in campo gli stessi 10, senza manco l’innesto de un salvagente a forma de capitano a cui aggrappasse, e da mezza l’idea passa a tre quarti quando i 10 diventano 9, che Gago, der giallo non pago, sur campo ormai lago, vorebbe fa er vago, ma c’è poco da svagà quando atterri lo hobbit, e così de giallo ariva pure er secondo.

 Ner mezzo, tra quando eravamo 10 e quando diventamo 9, quarcosa succede, quarche tentativo se smove, ma se i cambi so Simplicio e Greco tu capisci che ormai c’hai poco da smove, e c’è poco da raccontà. Se potrebbe scivolà così verso fine gara, co un quarto d’ora co loro che fanno torello e risentono dopo chissà quanto gli “olè” a ogni pallon sospinto, e noi che cercamo co quarche sussurto de dignità de tenè in piedi la baracca in nove. Ma c’è un nanetto che, mentre Heinze ricorda a Gamberini che accanirsi su un cannibale è pericoloso, decide che sta casa è ancora troppo affollata e all’improvviso spiega le alucce carucce spiccando il volo laddove non dovrebbe.

E ce lascia in otto sotto a un tetto.

L’assurdità della situazione viene marcata a fuoco, lacrime e sangue da ciò che ne consegue, col Tanke Silva (che poi quanti cazzo de giocatori chiamano Tanke in Argentina? Ma non ce l’avete ndizionario dei sinonimi?) che contro de noi, ovviamente, rompe su rigore er digiuno der gò, pe rientracce presumibilmente subito dopo e a tempo indeterminato e conquistando per meriti sul campo la Premium Membership del Club Josè Mari. Visto ciò, la partita finisce, ed è na fortuna, perchè rimane l’impressione che se ce fosse stato nantro quarto d’ora se poteva finì a ritrovasse a tifà la A.s. Roma Calcio a 5.

 A fine partita, più del solito, veniamo travolti da na risata isterica ai limiti della pazzia pericolosa, da quell’inspiegabile controllo de na situazione tragicomica che ormai inibisce pure le prese per il culo dei tifosi avversi, ai quali, prima e dopo i 90, non diamo più sponde da un pezzo.

A fine partita se mettemo a scrive a mente calda, perché quarcosa tocca fa, quarcosa che se sappia fa, che sia scrive, gioca a pallone, tifà o tutte e tre le cose insieme. Ma nun basta. Tanto che amo scritto pure a mente fredda.

Pensando a Socrates, uno che de revoluciòn ne sapeva na cifra.

(Kansas City 1927)

 
 
 
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