Vite di persone che hanno scelto e pagato l’illusione di essere libere, di persone, immigrati, disoccupati, sfrattati, senza famiglia, emarginati per cause diverse. “clochard” per forza, senza poesia e senza giustizia.
Vite da barboni, che fanno venire alla mente quella pubblicità-progresso contro l’abbandono dei cani che dice: «bastardo sarai tu». E «barboni”, in effetti, e la società civile, ordinata e produttiva, ma anche distratta e indifferente riguardo a chi non ce la fa, a chi s’è fermato, s’è perso o, meglio, è stato messo da parte perché non disturbi la vista e non turbi la coscienza.
Queste figure rannicchiate , questi abitanti della notte e della strada, questo popolo delle stazioni e delle panchine, non sono solo fotografie: sono uno scossone al intorpidito senso di giustizia, un richiamo al diritto di ciascuno di avere un posto, un nome, un’identità, una residenza; o, di più e meglio: una dignità, una speranza.
Uomini e donne, giovani e anziani, sani e malati: cittadini, come ogni altro, costretti a chiedere una minestra o una moneta perché non hanno ricevuto attenzione e risposte quando hanno chiesto diritti e giustizia, quando hanno chiesto lavoro o assistenza, una casa o una cura, un asilo o un permesso di soggiorno. Quando hanno chiesto le parole per chiedere e non le hanno trovate, perché non hanno potuto impararle. Sottratte anch’esse, povertà aggiuntiva e ancor più forte di quella materiale. Così che, questi poveri estremi, oltre che invisibili sono anche silenziosi, per incapacità o per rinunzia. Pensateci: è difficile che chiedano o che si arrabattino a vendere cianfrusaglie o a lavare i vetri. Non disturbano, stanno rattrappiti in un, angolo oppure camminano, sempre discreti e trasparenti, sulla strada; itineranti proprio come una mostra fotografica o un circo equestre.
Vengono questi ribelli, questi dimissionari della convivenza, questi emarginati dalla ipocrita decenza, questi esiliati dal potere mercantile — la banale civiltà, l’angustia sociale che nomina barboni o in altri modi uguali questi che hanno abbandonato il campo, violato la dura legge dell’avere — vengono da lontano nella storia, da oscuri medioevi di carestie e pesti, d’empietà e di violenza, vengono dalle piazze di Londra, Parigi o di Milano, da sotto arcate di ponti, da corti dei miracoli, da alberghi di carità, ghetti di decenza.
Sono i barboni, nella trionfante storia d’oggi, incongrue presenze, segno dei ritardi, dei fallimenti. Sono simbolo, nelle interne fratture, della più vasta, crudele frattura nel mondo, profezia inquietante d’un medioevo incombenti.
I cambiamenti di questo mondo, la crescita dei “barboni per forza”, ci dicono però che spesso basterebbe poco a farli ritrarre dall’abisso e dal vuoto, dalla solitudine e dalla paura. Basterebbe la cura per chi è malato, l’accoglienza per chi è drogato, un’opportunità di lavoro per chi è disoccupato. Un sostegno vero, insomma, più che le buone parole o il rifugio nella scusa, statisticamente sempre meno vera, che sono loro, barboni per scelta, a non volere una casa e una vita detta normale.
Inviato da: giorgiastore
il 09/04/2009 alle 12:12
Inviato da: volandfarm
il 25/03/2009 alle 08:24
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il 25/03/2009 alle 08:01
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il 25/03/2009 alle 05:40
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il 25/03/2009 alle 05:17