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Fiore e la barba nera

Post n°126 pubblicato il 18 Febbraio 2008 da bartelio
 
Foto di bartelio







Ieri mezzogiono durante la pausa pranzo ho incontrato Fiore alla macchinetta del caffè. Fiore ha una cinquantina d'anni e una terribile dermatite sulla testa. Quando lo incontro faccio di tutto per non fissare lo sguardo sulla malattia, dico cose e lo guardo con ostinazione negli occhi o fuori campo. Lui ha gli occhi piccoli e sempre umidi, non so se per effetto della dermatite o cos'altro; quando ride gli si schiacciano fino a diventare poco più che tagli e gli spuntano un paio di goccioline nell'angolo vicino al naso.

Io vorrei essere angelico, vorrei guardarlo come fossi un seminarista o un capo scout, con gli occhi che brillano di una grande serena composta silenziosa partecipazione. Conoscevo un seminarista, quand'ero ragazzo; aveva una faccia brufolosa, le guance scavate e i capelli unti, refrattari a qualunque tipo di shampoo. Aveva sempre una polo blu e un pallone da basket in mano. Credo avesse dei bei denti, anche se è passato tanto tempo. Quando incontro Fiore immagino di essere quel seminarista, cerco di ricordare il modo in cui ti guardava quando gli dicevi le cose. Potevi dirgli, senti Fabio ho dato fuoco alla chiesa e prima di farlo mi sono masturbato sulle ostie e prima ancora ho detto delle bestemmie terribili e Fabio ti guardava, apriva la bocca (dio, lo vedo come fosse successo ieri l'altro, lo vedo che apre la bocca, storta il collo, piega la faccia a sinistra) e ti guardava, ti guardava e faceva rimbalzare la palla da basket. Aveva anche un fischietto a tracolla. Fabio, ho appena stuprato una ragazzina nell'oratorio femminile, gli dicevi e Fabio rispondeva, tu ora sei debole, hai sbagliato, ma devi trovare la forza nel tuo cuore, nel silenzio, trovare la forza nel tuo cuore. Qualunque cosa tu gli dicessi, qualunque terribile cosa, lui guardava in faccia te, il peccatore, ma non vedeva il peccato e diceva, tu ora sei debole ma devi trovare la forza nel silenzio del tuo cuore.

E' che poi non ce la faccio. E' più forte di me. Mentre parlo con Fiore comincio a guardare le macchie rosse vicine all'attaccatura dei capelli, le croste nelle orecchie o la pioggia di coriandoli di varie dimensioni e forme che si depositano sul maglione o sulla maglietta blu. Proprio non ce la faccio, è più forte di me e mi sento così debole e scorretto.

Io lo so, tanto per dire, che Fiore ha 40 giga di porno sul suo pc di casa, nella cantinetta. Lo so e questa potrebbe essere una cosa intima, da non condividere con nessuno; ma lui l'ha detta a Bricio e agli altri (Pibo, Pata, Uki: questi) e ora la so anch'io e lui forse vorrebbe che non la sapessi, ma la so.

Quando Fiore ha finito di guardarli, i 40 giga di porno, spegne il pc e stacca il cordone del monitor e lo nasconde prima che moglie e figlia si avvicinino e scoprano la sua perversione morale. Io non credo che lui li guardi tutti per intero, quei 40 giga. Penso che dopo 800 mega di porno Fiore possa avere una tale eruzione cutanea, immagino la forfora che si addensa attorno agli orecchi.
Però è niente, tutta questa intimità clandestina è niente, lo sento, confronto allo sguardo che mi continua a cadere sulla malattia. E così cerco di guardare lontano, ai finestroni dell'officina illuminati dal sole di febbraio. Fa un tale freddo e mi sento così debole.

Ho fatto tutta una rete wireless in casa, mi dice Fiore.
XP è una chiavica ma il 98 era ancora peggio, dice ancora.
Il mio pc ha un cd per fare il ripristino e mi dura quattro ore. Cosa fa quel pirla in tutto il tempo chi lo sa, prosegue. Cosa fa secondo te, mi chiede.

Eh, dico bevendo un sorso di chinotto. Stacco un pezzo di focaccia con le olive che mi lascia il mento tutto sporco di olio. Mi pulisco con le dita e guardo lontano.

Fiore mi dice che l'altra mattina, dopo aver finito il lavoro elettrico nel mio ufficio, fa per tornare in officina. Nell'andarsene, porta via con sé un'angolatura in ferro, una sorta di stipite che stava appoggiato in un vano del mio ufficio da anni.

Tra parentesi, non so con esattezza da quanti anni e per quali motivi quel ferro si trovasse nel mio ufficio. Il ferro perdeva come della barba nera, una stoffetta che credo servisse a farci scorrere qualcosa, come una guaina. Tanto per aprire un'altra parentesi, la guaina è la stessa che ho nelle zanzariere di casa e nello stesso modo, a furia di aprirle e chiuderle, si stacca, scivola verso l'esterno e penzola. A volte guardando dalla finestra, mi pare di vedere con la coda dell'occhio un gigantesco coleottero sub-umano che lentamente scenda e strofini le alucce (il vento fa dondolare la barba nera).
E' una cosa che ogni volta mi dà la strizza. Ho una terribile fobia per gli insetti troppo grossi. Prendete l'altro giorno. Dovevo portare dei rami secchi alla piazzola e mentre li ammucchiavo in macchina ho visto con la stessa coda dell'occhio, sapete la coda che sulle prime non ci si fa caso, ho visto una cosa verde che mi saliva su per il braccio e (Cristo!) era una gigantesca cavalletta.
Ho fatto un salto all'indietro e con la mano l'ho buttata per terra e l'ho schiacciata, anche se presumibilmente questa cavalletta non faceva del male a niente e nessuno, ma è più forte di me, chiuse tutte le parentesi.

Fiore mi dice, guarda che scendevo con l'angolatura in spalla perché la volevo buttare nel ferraccio. Mi vede Signor Mario e mi chiede dove la sto portando. Gli dico, eh la butto nel ferro. Signor Mario fa, ti butto via te, tra il serio e il faceto (in realtà Fiore non dice faceto, adopera un'altra espressione più colloquiale: Cristo, nessuno direbbe faceto, è una parola orribile inventata da De Sanctis o Croce nel secolo diciannovesimo).

Quindi, dice Fiore, Signor Mario mi prende il ferro e lo porta via dicendo, eh può sempre servire. Lo mette chissà dove, in un posto dove resterà a marcire per i prossimi dieci anni.
Forse nella Gasttube, aggiungo io, una specie di cantinetta a cui si accede tramite una porticina nel magazzino dei ricambi (c'è una targhetta sulla porta che dice così, Gasttube, e i motivi per i quali ci sia una Gasttube nel magazzino dei ricambi sono oscuri tanto quanto la barba che penzola dal ferro).

Bevo un altro sorso di chinotto, tiro su col naso e dico, Fiore, sai che in Via Ripamonti nel piano sotto c'è una piramide di scrivanie.

Ma dai, fa lui. In realtà non si mostra stupito. Fiore non si mostra mai stupito di niente, non dà mai in esclamazioni. Ti guarda e strizza un po' gli occhi, ancora un po', poi si dondola di qua e di là. Ha sempre questa strana postura ciondolante, le spalle piegate, gli occhi strizzati, il maglione tutto forfora. Se gli dici una cosa che lui non dovrebbe sapere, ti guarda quasi con ostilità, come se avessi aperto una crepa nella sua convinzione che niente nella realtà possa mai veramente sorprenderlo.

Così quando gli dico che c'è una piramide strizza gli occhi e non dice niente e capisco che non lo sapeva e che è lievemente incuriosito.

Quindi gli faccio, Fiore quella volta del buco, ti ricordi, quando sei venuto in Via Ripamonti e hai portato quel trapano con la punta gigante per il muro, quel trapano grosso e hai fatto un buco, che dovevamo far passare i cavi del pc, ti ricordi, gli chiedo.

Sì, dice Fiore, dice sì perché capisce e io gli dico, Fiore sai che poi sono sceso con Faina nello scantinato e là in un angolo c'era una piramide di scrivanie. Erano le vecchie scrivanie col ripiano in formica marroncina simil-legno e le bacchette di ferro per i piedi e i cassetti di metallo verdino-grigio.

Beh, ce n'è un mucchio, giuro, gli faccio. E Faina ha detto prendiamo quella, quella va bene per metterci il pc della macchina a controllo numerico. Abbiamo tolto una scrivania dal mucchio e l'abbiamo portata di sopra.

Non bisogna mai buttare niente, Fiore, gli dico, così si fanno i soldi.

Lui dice che tutte quelle scrivanie occuperanno lo spazio e quindi costano, costano lo spazio, dice. Poi mi fa, sai che l'altro giorno sono andato nel cassone a buttare dei pezzi di canalina avanzati da chissà quando e Faina mi ha fatto togliere le curve perché non si sa mai, mi ha detto.

Queste formichine padronali sanno che tutto si tiene e nulla si distrugge, in linea di massima si ricicla. Quando serve qualcosa, c'è sempre un angolo in cui cercare, mi metto a pontificare.

L'angolatura ci sopravviverà, dico a Fiore che già si sta allontanando, mi sopravviverà quando me ne andrò piedi avanti, l'angolatura perderà la barba nera, proseguo sempre più verboso, mentre Fiore non mi ascolta già più e si allontana nella navata centrale, esattamente sotto il carro ponte, immoto a una distanza siderale dalle nostre teste.

Fiore si ferma presso una macchina enorme e si siede su una sedia dell'asilo che ha preso chissà dove. Incomincia a collegare i cavi della macchina al quadro elettrico, seduto nella luce giallognola dell'officina. Ha tutto intorno un sacco di cavi colorati che scendono dal quadro elettrico e lui li collega uno per volta, la fase il neutro la massa. Sulle ginocchia tiene una scatoletta piena di numerini, che mette su ogni cavo.

Mi allontano con la focaccia mentre le navate dell'officina si stanno ripopolando, gironzolo ancora un po' verso il magazzino, tra le cinghie e i volani, grandi come ruote di trattore. Saluto Giacobazzi che si rimette in postazione, dietro il vetro del gabbiotto del magazzino.

Il sole è sempre giallo opaco e fa sempre più freddo. Dio bono, ci sarà un modo per mettere fine a tutta questa debolezza.

 
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