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DIACRONIE

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IL PAESE IMMAGINATO

Post n°120 pubblicato il 09 Maggio 2018 da jonwoo1998

il 9 maggio ricorrono gli anniversari di due uccisioni importanti, quella di Peppino Impastato e quella di Aldo Moro.

 

Se però la morte di Peppino ha seguito un percorso di chiarificazione, nel senso che dalle prime notizie che davano per certa la morte in seguito alla realizzazione di un attentato, si è arrivati, con fatica, ad incriminare i colpevoli reali del delitto, con l'omicidio di Aldo Moro, la strada seguita è stata esattamente quella opposta.

 

Ovvero dalla chiarezza di allora (1978)  che quella contro Moro fosse stata un'azione interamente della Brigate Rosse, si è arrivati ad una abnorme produzione che potremmo chiamare PARANOICA, più che complottista o dietrologica.

 

Infatti se i complotti e le manovre “oscure” hanno fatto, indubitabilmente, parte della storia dell'umanità, in pratica da sempre, la paranoia è invece una patologia delirante che assomiglia molto a ciò che Carlo Cipolla diceva degli stupidi: ovvero pericolosa per gli altri, ma anche per sé.

 

Il complotto è infatti un'azione coperta con cui un gruppo, un singolo, una forza politica, militare, insomma un qualunque soggetto, cerca di provocare un danno a terzi, ai fini di goderne i benefici, in maniera nascosta, depistando, confondendo e cercando di addebitare ad altri le azioni eseguite, o anche quelle non eseguite.

 

Insomma è una modalità operativa, non un fine in sé e che, come tutte le azioni umane, si muove nella realtà effettuale. Ovvero i complotti agiscono nel mondo reale dove il resto del mondo, appunto, non subisce passivamente le azioni.

 

Già questo aspetto, semplice e intuitivo da capire, dovrebbe dar da pensare a chi si immagina un mondo di complotti perenni e perennemente riusciti.

 

Giulio Cesare morì per causa di un complotto, ma che fu assai ben poco oscuro. Le “false flag” della seconda guerra mondiale o della guerra del Vietnam, o contro l'Iraq del 2003, sono state scoperte poco dopo il loro utilizzo, anche perché non servivano più e non risulta, nella storia dell'uomo, che per iniziare una guerra siano necessarie tante manovre oscure: basta la volontà politica di farlo.

 

Insomma, il complotto può essere un mezzo per un fine non il contrario. Diffidare delle narrazioni “ufficiali” è sempre esercizio di critica. Invertire l'onere della prova no. La critica è una sana azione di igiene mentale, la diffidenza totale è paranoia.

 

Tanto più che accade il fatto strano, ma tipico, che chi sospetta “spectre “in ogni dove non si pone mai il problema della sua persona, del fatto che lui come soggetto, evidentemente, riesce a vedere l'oggettività del mondo e può permettersi di starne fuori.

 

Eh, no! Se ci sono complotti dappertutto anche chi li ricerca, chi ne è ossessionato ne fa parte. Non può mettersi nella parte di DIO.

 

Insomma il paranoico inverte l'onere della prova, in una torsione illogica secondo la sua stessa logica e pensa alla storia come ai delitti risolti da Sherlock Holmes.

 

Ma noi sappiamo che se in un film cade un vaso in testa ad un uomo, quel vaso è parte della storia, quel vaso ha un senso. Nella vita reale se cade una vaso, qualcuno lo prende in testa e la cosa finisce lì (o, meglio, quel fatto provoca a catena una serie di conseguenze, del tutto casuali e per nulla causali).

 

Ma c'è un'altra conseguenza curiosa, in queste ricostruzioni siamo di fronte non ad agenzie di servizi composte da esseri umani, ma, paradossalmente, a “enti” infallibili e ineffabili che non sbagliano un colpo. Insomma, la CIA è non solo onnisciente ma anche onnipotente. Per cui, ancora paradosso, proprio quelle ricostruzioni così fissate su “chi c'è dietro” al fine di svelare orrendi complotti eterni alla fine dimostrano che non c'è verso: la Cia vince sempre. Quindi che lottiamo a fare?

 

Ma lasciando da parte queste complesse questioni, vorrei tornare a Moro e alla sua morte e alla falsa accoppiata di cui fa parte anche Berlinguer.

 

Innanzitutto l'odore di santità.

 

Berlinguer e Moro, appunto, sono diventati dei santi. Quando si entra nel programma “santità” finisce il raziocinio.

 

Da uomini politici del loro tempo essi si tramutano in dei Taumaturghi, usi a sanar le piaghe e guarire gli scrofolosi e dei santi non si può parlare male. Anzi non si può proprio parlare.

 

Berlinguer e Moro facevano parte di due partiti in contrapposizione, Uno era il PCI e l'altro la DC, i quali, al di là del comune rispetto la prassi democratica, proponevano programmi e veicolavano ideologie opposte.

 

Considerarli santi ne offende profondamente l'intelligenza, la capacità politica, anche il cinismo, la ragione, la razionalità ecc...ecc...

 

È solo la barbarie dei tempi nostri che scambia una cosa per un'altra.

 

Il compromesso storico fu un concetto, un progetto, sicuramente degno e nobile da parte del PCI berlingueriano (che era per questo convinto di rientrare nella storia del PCI Togliattiano) ma profondamente sbagliato dal punto di vista politico.

 

Non sbagliato per una qualche moralistica idea di “bene astratto” ma sbagliato proprio per le prospettive future del PCI.

 

Il concetto di compromesso storico, che sembra sia nato ben prima della vicenda cilena, si richiamava ad una idea di società nella quale le 2 forze popolari andassero insieme a governare.

 

Ovviamente, visto che l'Italia era nel blocco occidentale, è assai facile capire quali fossero i reali rapporti di forza fra un Partito Comunista e una Democrazia Cristiana.

 

Già ponendo la questione in questa maniera brutale appare chiaro che quello era un progetto di adesione alla subalternità (ovviamente, di fronte al totale sdraiamento attuale. Siamo su percorsi di levatura politica e intellettuale incomparabile).

 

Il progetto della DC era chiaro, come per il centro-sinistra (ma in un contesto economico assai diverso) si trattava di “imbrigliare” il PCI facendolo diventare corresponsabile delle scelte neoliberali che di lì a poco sarebbero diventate terreno comune a buona parre dell'Europa-

 

Beninteso, in questo contesto, il peso del PCI avrebbe sicuramente portato a correzioni, a pressioni, ma anche a cedimenti e , alla fine, credo, anche al fallimento di quel percorso.

 

Ma il problema del compromesso storico non era dato solo da questo aspetto. La questione divenne incandescente da un punto di vista sociale.

 

Il compromesso fra le due forze popolari con l'adesione, purtroppo in eterna e ottusa continuità, dei militanti, creò un rifiuto del conflitto sociale l'emarginazione di interi settori. Settori che sicuramente avevano non un uno ma 10.000 difetti, ma che non corrispondevano alla caricatura che ne è stata fatta.

 

In ogni caso, dal compromesso storico non sarebbe venuta nessuna epoca di latte e miele e, anzi, visto il comportamento del PCI di allora, si prospettava un periodo virato verso austerità e autoritarismo.

 

Tanto è vero che nella lista dei ministri del governo a cui il PCI avrebbe dato la fiducia il giorno del rapimento Moro,  non c'erano comunisti e la linea sarebbe stata quella anche in futuro, probabilmente.

 

Quindi, che c'entra il rapimento e l'uccisione di Moro con il compromesso storico?

 

Nulla. Se s'intende che le BR, eterodirette, volessero impedire che il PCI andasse al potere.

 

Le Brigate Rosse esistevano da anni e avevano portato a segno azioni, uccisioni, rapimenti, in notevole quantità. Avevano un “consenso” (o, meglio una non ostilità) in molte aree operaie, studentesche, giovanili e non erano il solo gruppo che praticava la lotta armata.

 

Come i protagonisti hanno ripetuto mille volte, il rapimento di Moro (capo della DC, non Papa Giovanni) nacque in un contesto di migliore operatività (meno scorta e meno protezione).

 

Le BR erano un gruppo armato che pensava alla rivoluzione, non un partito che si preoccupava del compromesso storico (che, tra l'altro, confermava le BR stesse nella loro concezione politica).

 

Se la CIA avesse voluto far fuori Moro (ma perché?) lo avrebbe fatto, punto e basta.

 

È ovvio che in quella vicenda siano entrati i servizi, siano entrate questioni politiche. La bibliografia è amplissima e basterebbe leggere qualche libro.

 

Invece da anni, da decenni, si cercano coincidenze che, alla fine, ovviamente, si trovano. Come ha insegnato Umberto Eco, se io voglio ricostruire un complotto troverò migliaia di tracce certe, metterò in relazione fatti (dimenticando tutto il resto) e operando al contrario metterò alle strette il mio interlocutore.

 

E bene sapere che questo modo di procedere può essere fatto accumulando migliaia di documenti (che saranno sempre, ovviamente, di dubbia interpretazione) senza per questo accrescere di un pelo la sua scientificità.

 

Beninteso, nessuno storico parte al “buio” per la propria ricerca, e non esistono storiografie (cioè interpretazione dei fatti) neutrali, ma nessuno storico, o ricercatore, neppure il più fazioso, può ribaltare la realtà.

 

Questo atteggiamento poi assume aspetti paradossali, per cui, proprio chi ricerca ogni minima e impossibile concordanza con una visione Cartesiana della realtà, finisce per perdersi nei meandri del dettaglio dando, alla fine, la stessa importanza a particolari con peso assai diverso e così dimentica il contesto generale degli anni '70: ovvero la permanenza di 2 blocchi contrapposti e della guerra fredda che avrebbero impedito, di per sé, ogni governo comunista in Italia (il famoso “complotto” alla luce del sole) ma che non corrispondevano all'immagine deleteria e schematica del burattinaio.

 

Infatti Berlinguer per accreditarsi scelse la Nato, mandò Napolitano negli USA.

 

In questo contesto di accreditamento, anche la storia passata cambiava di segno e veniva (come spesso succede) coartata per farla rientrare nel progetto.

 

In questo quadro la lotta armata, che derivava da una lettura del tutto distorta della realtà da parte dei gruppi che la praticavano, (distorta ma non folle) non POTEVA rientrare nell'alveo della sinistra che stava entrando in area governativa.

 

Da qui la stretta repressiva e delatoria da parte dello stesso partito verso quelle forze dell'ordine che anni prima e anche anni dopo non erano parse e non parvero ricambiare la stessa attenzione.

 

È vero, la lotta armata nulla aveva a che vedere con la resistenza e con l'idea che il PCI aveva della democrazia progressiva e, anzi, era proprio contro quel progetto che nacquero e svilupparono armati.

 

Ma le cose vanno inserite nel loro contesto: la violenza politica è stata ritenuta per tutto il '900 e anche oltre come una opzione del tutto normale, le bombe reazionarie degli anni '60 fecero accrescere questa necessità (non solo di difesa).

 

E, comunque, le cose esistono e le cose accadono anche se non sono “corrette” e se non sono “fedeli alla linea”. Nei fatti in quel periodo storico non una, dieci, cento, ma migliaia di persone video la lotta armata come una opzione, a volte da condannare, a volte da appoggiare, a volte senza nessuna idea al proposito.

 

Il fatto che chi appoggiò, sostenne e mise in atto la lotta armata, abbia avuto oggettivamente torto, non può cambiare di una virgola quello che è stato. Anche Adolf Hitler aveva “torto”, nondimeno ha governato la Germania dal 1933 al 1945. Un conto è ricostruirne criticamente la storia, un conto è l'espulsione dalla storia stessa.

 

Sugli anni ‘70 da tempo è stato steso un velo, come si fa con il parente povero, con il cugino scemo che fa brutte figure in società. Ebbene, nella storia d’Italia non c’è stato solo il fascismo e la resistenza, c’è stata anche la lotta armata di sinistra che ha ucciso, credendo come tutti di operare per il bene, decine di persone innocenti ma colpevoli (secondo una visione che attraversa tutta la storia dell’umanità) per le proprie scelte e azioni politiche.

 

Questo ha appartenuto alla storia della sinistra. Così come i Gulag, ecc... Scegliersi la storia può essere utile e comprensibile per il politico, ma non per chi si fa storico. Che non è un giudice istruttore.

 

Ed è veramente risibile che lo Stato Italiano continui a rilanciare commissioni inutili, di fronte a centinaia di migliaia di pagine che possono fare ormai sufficiente chiarezza.

 

Ed è il segno di questa totale confusione che come giorno delle vittime del terrorismo si sia scelto il 9 maggio e non il 12 dicembre, quando una bomba terrorista uccide decine di cittadini inermi aprendo un periodo di tensione complesso e articolato (e non sempre lo stesso).

 

Continuare a rimestare in questa melma del tutto artificiale farà certamente vendere qualche copia in più di libri del tutto inutili che si basano su ipotesi artefatte campate in aria, ma contribuirà a mescolare la storia con il ciarpame e ad inquinare sempre di più una corretta interpretazione e lettura della nostra storia.

 

A volte sembra davvero che il paese “immaginato” abbia fatto aggio su quello reale, sotto l'ombra della morte di Aldo Moro e di quella successiva di Enrico Berlinguer (Seppure morto di morte naturale) entrambi ormai martiri e non esseri senzienti.

 

Un desiderio di storie lineari, di amorosi sensi, distrutto dal cattivo di turno, che non può essere sangue del nostro sangue, ma, necessariamente un “impuro”, un nemico assoluto. Quanto rimanga in questo delirio di una visione materialistica e quanto invece ci sia di “nemico eterno” (un nemico occulto, oscuro, cattivo, al di là dei rapporti di classe) para-nazista, lascio ad altri il compito di giudicare.

 

Ai cattivi storici che ancora ruzzano con complotti mai verificati e pieni di lacune (certamente molto più che della ricostruzione “ufficiale”, che come tutte le ricostruzioni ufficiali, anzi come tutta la vita, non può essere “linerare”) vorrei solo ricordare la frase di Wittgenstein

 

“E di ciò, di cui non si può parlare, è meglio tacere”

 

 
 
 
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