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L'internazionale.....del capitale

Post n°124 pubblicato il 11 Settembre 2018 da jonwoo1998

La terra sotto i piedi.

Per formazione e storia personale sarei assai lontano da ogni afflato patriottardo, ma, la stessa formazione mi porta a guardare con attenzione quello che succede intorno a noi per cercare perlomeno, di capire, in quali fasi potremmo trovarci e quali analisi fare.

Ricordo discussioni con chi ha vissuto la guerra partigiana, e gli scontri sulle varie definizioni da dare ad essa, non da parte di chi l’ha studiata, ma di chi l’ha fatta.

Un punto su cui si accendevano gli animi era sulla definizione di guerra civile (poi magistralmente sviscerata dal capolavoro di Pavone assieme altre altre 2 caratteristiche di quella guerra), meno disaccordo c’era sulla guerra di classe, ma dove la maggioranza si accordava era sul fatto quella guerra fosse stata una guerra patriottica.

Il progetto politico era quello di un 'Italia libera e democratica. Avevano combattuto contro le brigate nere e le ss mica avevano sparato al brigadiere caio e al politico disarmato tizio per poi appellarsi e scrivere documenti politici.

Lì si moriva e si finiva appesi ai ganci.....

Sono quindi francamente stupito dalla facilità con cui si accusa nientedimeno che di nazionalsocialismo chi si richiama alla Costituzione Italiana e alla sovranità popolare (nelle forme previste dall'art.1al di là di tutte le questioni dei "rapporti di forza" che ci sono in ogni caso e in ogni tempo) e all'interesse nazionale come interesse dell'Italia democratica e antifascista.

A parte l’inutile diatriba all’interno di una sinistra ormai evaporata, letteralmente brasata e non per colpa di altri, questa specie di discussione fatta di scomuniche deve far riflettere sul fatto che molte concezioni che si davano per scontate o sono evaporate oppure abbiamo vissuto in mondi paralleli.

Innanzitutto la fase storica. Qualcuno non ha ancora interiorizzato il fatto che Togliatti è morto e il PCI non c’è più. Non c’è per più per i militanti e non c’è più per chi si teneva alla sua sinistra criticandolo ferocemente.

Di quella storia rimane, appunto, solo la storia. E siccome la storia NON RITORNA, quella fase è finita (per dirla con Guzzanti “Amedeo Nazzari è MORTO”).

E trovo quindi fuori tempo massimo le varie collocazioni di ex-giovani che ancora credono di potere esercitare la critica a sinistra in merito ad un soggetto che non c’è più.

Quella è materia per gli storici non per il dibattito politico attuale e, soprattutto, penso che agli abitanti di questo paese, parafrasando Tognazzi, “importi sega” e non abbia neppure la più pallida idea di cosa si stia parlando (non perdendo nulla, anzi)

 

Una certa idea del mondo

Ripeto, la fase attuale non è quella degli anni ‘60 e comunque gli effetti del ‘68 (movimento a cui si richiamano gli “internazionalisti” più agitati come se oggi fossero tornati a 50 anni fa) portarono la Costituzione, quella Costituzione (e non un’altra che non è mai esistita né mai è stata possibile) nella società, nelle fabbriche, nelle scuole e dettero davvero realizzazione a molti dei propositi di quella carta. È quindi davvero incomprensibile come, chi si richiama proprio ai valori di quella carta, mai interamente realizzati (e, anzi devastati nell’ultimo trentennio) sia additato come un rossobruno e fascista.

Letteralmente i n c o m p r e n s i b i le !

A proposito di internazionalismo vorrei qui aprire un inciso per me fondamentale.

È evidente che il socialismo nasca internazionalista (non a caso, voglio dire: prima internazionale, seconda, terza…..) Marx, Bakunin e compagnia cantando erano tutti internazionalisti e uno dei fini comuni era certamente l’abbattimento dello Stato.

Però qui bisogna intendersi. Innanzitutto lo stato al quale si riferivano era quello, esclusivamente repressivo e di classe di quel periodo storico e non quello che via via integra sempre di più i vari ceti sociali al proprio interno con un percorso di nazionalizzazione e di welfare che segna dei solchi profondi fra le varie anime del socialismo.

E poi quell’internazionalismo (inter-nazionalismo si rifletta sulla parola) aveva come scopo l'abbattimento dello stato per la realizzazione del socialismo e dell’anarchismo. Ovvero una società senza classi.

Ora, una società senza classi prevede necessariamente la distruzione delle classi dominanti e la conquista del potere e (per gli anarchici subito per Lenin poi) il dissolvimento dello stato. Si tratta di un’azione necessariamente violenta e che propone nientedimeno che la rivoluzione.

In questo senso, distrutte le classi dominanti e conquistato il potere è ovvio che lo stato scompare.

Ora, io vorrei sapere, quanto di questo discorso fa parte della “sinistra contro lo stato” oggi esistente. Lo voglio ripetere: l’internazionalismo socialista prevede(va) l’abbattimento dello stato borghese per la creazione di una società senza classi, non la trasformazione dell’azione politica in un comitato umanitario che favorisca e lubrifichi il corso dello stato liberale.

Una conquista che potrà sembrare utopica, ma fino ad un certo punto, perché chi è materialista non aspetta il paradiso domani ma cerca di costruirlo oggi.

Altrimenti molto meglio chiarire l’equivoco e dichiarare la superiorità (con conseguente fine della storia) della democrazia liberale e la relativa struttura a base di multipartitismo, diritti civili e politici, uguaglianza formale e disuguaglianza sostanziale.

In cui c’è spazio per tutti, anche per gli anarchici e comunisti, basta che rimangano a casa loro e nei loro club e spazi “liberati”.

Il liberalismo ha capito da tempo che può aprire a tutto e a tutti a patto che non si metta in discussione la base economica e sociale.

Ed è anche giusto, fossi un capitalista multimiliardario sarei sicuramente (e con piena convinzione) un cosmopolita giramondo.

Quindi se si aspira (giustamente credo) a diventare milionario e a godere dei privilegi enormi e del livello di vita di chi è tale, posso solo essere d’accordo.

Ho profonda simpatia per i veri avversari di classe che sono tali e non se ne vergognano.

Preferisco un liberale convinto ad un socialista che in realtà è un liberista che non ce l’ha fatta.

Provo a dirlo con più brutalità: chi ha giocato alla rivoluzione negli anni passati (prima degli anni ‘80) – e non apparteneva alla classe operaia - ha appunto giocato. Viveva in un paese industrializzato, con le disuguaglianze tipiche di un paese capitalista usufruendo dei privilegi e del benessere diffuso di quel paese e la sua partecipazione ad una parte delle “ribellioni”, purché sincera, ha avuto come effetto soprattutto quello di promuovere una classe che si è abbastanza ben piazzata nei posti “allineati in discesa” (come avrebbe detto De André) resi liberi dopo il cambio non di un classe ma solamente di gruppi dirigenti.

È evidente che chi ha beneficiato di quel cambio (anche dovuto, anche necessario per la modernizzazione della società, non certo per la rivoluzione, cosa che era ben presente in alcuni dei militanti più accorti) sia particolarmente affezionato a quelle istanze che hanno permesso a lui e, spesso, anche ai suoi eredi, un’ascesa sociale che lo ha posizionato su di un’altra classe sociale.

Nulla di male, chi appartiene ad una classe subalterna ma dirigente (frazione dirigente della classe subalterna avrebbe detto Bourdieau) farà di tutto per non tornare indietro e difenderà con le unghie e con i denti quel posto.

A differenza delle classi dominanti, quasi naturali nel sistema capitalistico, e che quindi si possono permettere le più larghe vedute. Qui sì che il cosmopolitismo assume caratteristiche positive. Le classi dominanti non hanno bisogno dell’Erasmus. Sono L'Erasmus.

Chi ha invece creduto davvero alla rivoluzione (del resto una rivoluzione senza progetti di presa del potere, impossibile in questo ed in quel contesto geopolitico, fatta solo di sparamenti senza alcuna finalità reale) è rimasto invece impigliato nella necessità di dover giustificare a se stesso di aver gettato via la propria vita (e quella degli altri).

Ma la cosa interessante è che il 68 avrebbe voluto essere internazionale ma non cosmopolita mentre il 77 fu una peculiarità tutta italiana (in GB da un anno c’era, ad esempio, il Punk).

L’ internazionale socialista, per tornare indietro, finisce nel 1914, quando i partiti socialisti votano i crediti di guerra (in Italia la reazione fu la meno deleteria per il movimento socialista) e tanti uomini anche di sinistra si arruolarono volontari. Altro che internazionalismo!! Colpiti in pieno dalla nazionalizzazione delle masse, che, evidentemente, è qualcosa di più complesso che non il complotto delle classi dirigenti e dominanti.

Pensiamo, mi scuso i salti temporali, al terrorismo italiano. Solo la destra fascista si inserì nelle trame atlantiche,e quindi internazionali, mentre le BR e la RAF manca poco che non si parlassero. Mentre la RAF provò ad agganciare i palestinesi facendosi mandare a quel paese da chi lottava davvero per la indipendenza e non poteva certo capire borghesi arricchiti che giocavano alla guerra sparando su obiettivi inermi.

Quindi, al di là della differenza fra cosmopolitismo e internazionalismo non mi risulta che in merito a questa ultima declinazione si siano fatti dei grandi passi avanti. L’unico soggetto che li ha fatti è il capitale transnazionale (una delle cose giuste scritta nei “farneticanti” comunicati delle BR, che lo avevano capito più di 40 anni fa).

Allora faccio questa domanda: alla fine l’internazionalismo malamente inteso (ovvero non il superamento del capitalismo con l’unione internazionale del proletariato) ha oggettivamente migliorato o peggiorato le condizioni dei lavoratori veri? Alla fine l'internazionale è stata del movimento operaio o del capitale? Alla fine a chi si deve rivolgere quella parte di popolazione che è stata mazziata negli ultimi anni? Oppure questa internazionalizzazione ha, da una parte disciplinato il mondo del lavoro (“o così o salti dalla finestra”) ed ha gratificato i suoi esegeti?

Eh sì, perché a questo punto mi faccio una domanda. Ma le condizioni personali davvero non contano nulla? Davvero chi parla non lo fa per difendere la propria collocazione sociale? Magari convinto di portare anche un verbo di verità?

 

Una costituzione fascista ?

Allora ritorno là, a quella costituzione, che appena nata, comincia subito ad essere attaccata, dileggiata, vilipesa e anche “congelata” .

Premesso che, dati i rapporti di forza, in Italia, dopo la seconda guerra mondiale, nessuna rivoluzione era possibile, a patto di finire come la Grecia, un partito di massa, di classe ma responsabile, capisce che la strada (molto difficile e anzi impervia, anzi distruttiva) per portare il paese molto vicino al socialismo, può essere diversa.

Strada obbligata, intrapresa con i fucili puntati (tanto è vero che l’Italia è ancora oggi una mezza colonia USA).

Quindi quale viatico poteva essere intrapreso se non partendo da quel risultato, per forza mediato e anche compromissorio (ah la nuda realtà!) che era la carta costituzionale.

E qui le discussioni potrebbero durare a lungo, a lunghissimo fino ad arrivare al nucleo che sembra fondante della nostra carta, ovvero l’antifascismo.

Ma l’antifascismo è solo nella disposizione transitoria finale oppure tutto il documento è impregnato. L’art.1, l’art. 43, l’art. 21, l’art.11, il fu art. 81……

Ora, fosse per me, forze come Forza Nuova e Casa Pound non avrebbero neppure cominciato. Violando palesemente uno dei capisaldi della costituzione italiana andavano chiuse.

Ma quella costituzione, in questi anni è stata violata più e più volte, con la partecipazione alle guerra, con la modifica dell’art. 81, con l’annullamento de facto degli stessi artt. 1 e 43, in quando l’adesione alla politica della UE ha eliminato l’occupazione dagli obiettivi primari di quella carta. Per tacere del “buon” Tremaglia tanto amico di Veltroni che ci ha regalato quella legge idiota del voto degli italiani all’estero, Il “giorno del ricordo” dove le foibe diventano come la Shoah e i “ragazzi di salò”…….

Quale antifascismo, di grazia, vogliamo? Perché tra un po’ i partigiani saranno tutti scomparsi (e gli saranno fischiate le orecchie a sentire tutte le baggianate di questi anni).

Eppure quella generazione mise le proprie vite in gioco per un progetto politico, per ricostruire l’Italia, per una patria diversa, totalmente diversa da quella fascista.

 

Chiudo questa confusa disamina con due questioni:

Emigrazioni e modello economico.

1) Le emigrazioni necessitano di un appoggio razionale. È evidente che se l’ottica della rivoluzione per l’abbattimento dello stato borghese non è più realizzabile in nessun paese europeo, bisogna giocare sul campo della realtà che c’è e che non è EGEMONIZZATO dalla sinistra. È così difficile capire che in questo campo gli immigrati non possano essere né il nuovo proletariato (condotto, guidato, accompagnato da chi?) né la nuova frontiera della liberazione . Per quanto riguarda il proletariato, mi permetto di rilevare il razzismo insito in questa concezione. Per quale motivo chi emigra dovrebbe accodarsi al proletariato? Ma di cosa stiamo parlando? Ma quando mai, e perché, seppure sprofondando spessissimo nella più profonda miseria, chi va in un paese per stare meglio, dovrebbe aspirare ad alimentare le file del proletariato? Come se non avesse di meglio da fare. Qualcuno lo farà, ma sarà una minoranza politicizzata o che si radicalizza in loco. IL resto va per stare meglio. Spera anche di mettersi in proprio, o di lavorare senza cercare di mettersi nei casini. Il PCI al 34% non c’è più, e nessuna forza organizzata potrebbe mettere al sicuro il migrante dalle rappresaglie. A meno di non scambiare l’assistenza dell'associazionismo (che dovrebbe fare lo Stato) per azione politica. Se è così siamo messi bene. Gli immigrati che arrivano devono avere gli stessi, STESSI, diritti e doveri di chi c’è. E questo vuol dire che nessuno deve dormire sotto un ponte. Ma per far questo è necessario tornare al ruolo dello stato regolatore e programmatore. Il liberismo e il mercato alimentano la guerra fra i poveri, in primis perché dei poveri ha bisogno. Qualcuno pensa che questo sia un lavoro fattibile con i proclami internazionalisti? (sempre quell’internazionalismo malamente inteso). Per risolvere la questione migranti ci sarebbe da risolvere la questione del capitale. Dettaglio di poco conto.

2) L’economia non è una scienza. La medicina è una scienza. La matematica è una scienza. Ma non l’economia. L’economia è politica e ogni decisione, ogni conseguenza, ogni azione è politica. Basti ricordare il fallimento dei banchieri fiorentini. Se il sovrano non paga NON paga. Se non curi la malattia muori, se la curi puoi guarire. In economia non c’è né cura né malattia, ma le scelte. Se non ritorna la predominanza della politica sull'economia (che è politica fatta da un'altra parte) ogni discussione sarà inutile. 

 

 

 
 
 
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