DIACRONIE

IL FARE POLITICA (c’è una bella differenza)


Ormai ben 13 anni or sono (ma in realtà terminato nel 2005)  uscì un documento filmato, prodotto da una grande casa editrice, La Feltrinelli.Immesso sul mercato editoriale assieme ad un altro reportage diretto da Nanni Moretti diversi anni prima (“La Cosa”), probabilmente per poterlo vendere più agevolmente associandolo ad un prodotto di una certa fama nell’ambito delle discussioni (ormai dimenticate) fra 1989 e 1991 e la fine del PCI.Tuttavia, malgrado un ampio battage redazionale sui maggiori quotidiani,non mi risulta (ma potrei sbagliarmi) che quel film abbia mai avuto l’attenzione che meritava.Eppure, ben più della “Cosa” (e la sua apparente “neutralità”) di Moretti, esso entrava nel vivo di alcuni singoli personaggi militanti del PCI tra i primi anni ‘80 fino ai primi anni 2000. Con un efficace montaggio il regista era riuscito a far emergere sia il collettivo che le singole individualità di quel gruppetto.Il documento si intitola “Il fare politica” realizzato dal belga Hugues Le Paige in quel di San Casciano in Val di Pesa.Il regista, divenuto amico dei protagonisti, era tornato ogni anno a filmare e far parlare gli attivisti toscani.Ne era uscito fuori un malinconico ritratto di gruppo di iscritti e militanti del PCI, non di intellettuali e neppure di militanti incazzati come nel documentario di Moretti.Quello che colpisce in questo lungo filmato è il senso di inevitabilità di un percorso che gli stessi protagonisti non riescono a spiegare compiutamente.Non si comprende bene, in effetti, come sia stato possibile che un partito, composto da migliaia di “semplici” militanti come quei compagni di San Casciano abbia gettato alle ortiche un patrimonio umano fatto di concretezza, realismo, capacità di governo, visione se non partendo proprio da quello che c'era dentro quella scatola.Ovvero la convinzione che la storia andasse in una direzione ben precisa e quella direzione coincidesse con la propria, con quella del partito, qualunque fosse la strada che esso avesse intrapreso.Secondo il mio modestissimo modo di vedere non si tratta di gruppi dirigenti che tradiscono, oppure al contrario, languono, o di militanti che seguono passivamente oppure al contrario, sono più radicali dei capi.La faccenda è invece ingarbugliata, perché quel percorso si inseriva in trasformazioni epocali del panorama sociale, politico ed economico, rispetto alle quali il PCI degli anni '80 arrancava più del solito. PCI inteso come gruppi dirigenti ma anche come corpo militante.In quel contesto il partito si trova spiazzato dal cambio dello “spirito” dei tempi: la fine miseranda dell'impegno politico in una specie di "cupio dissolvi", una lotta armata priva ormai di ogni minimo aggancio con la realtà, il rifiuto della politica da parte di settori sempre più ampi delle nuove generazioni, una indifferenza verso le questioni che per decenni avevano appassionato grandi settori della società italiana. A questo si somma una sensazione di sfascio generalizzato che all'epoca era molto diffusa.  Chi coglie invece bene questo nuovo spirito è la stampa (oggi diremmo “Mainstream”) e, in particolare, la nuova stampa illuminata e non direttamente codina di cui Repubblica è da sempre la capofila. Una stampa che lancia e ribatte la parola d'ordine “modernizzazione”.Qui si osserva anche un curioso corto circuito perché la stessa parola era stata declinata da da quel Craxi di cui “Repubblica” divenne il nemico principale, ma che, sul piano della distruzione dei fondamentali era stata l'attrice principale.Se la memoria non mi inganna partono in quel periodo (anni '80) reportage sulla fine degli operai, sulla fine della saggista e l'esaltazione del romanzo (una questione, che oggi, a distanza di tanti anni, appare davvero una totale assurdità priva di ogni senso logico) interviste a militanti pentiti in cerca di una collocazione, l'esaltazione della fine delle ideologia, l'apologia del privato, gli imprenditori d'assalto. Il cinema stesso propina opere il cui tema è “la fine di una stagione”. Insomma, un clima di euforia soddisfatta della fine di un'epoca della quale non si vedeva l'ora di liberarsi. Una minoranza rifiutò quel percorso di dissoluzione, ma senza uscire dallo stesso concetto dell’”andare con la storia” che aveva caratterizzato la maggioranza dei militanti del PCI.Lo rifiutò ma non riuscì a trovare una strada per uscire dal collo di bottiglia. Bisogna dire anche perché stretta tra una rappresentazione distruttiva da parte dei media e dallo stesso nuovo partito nato dalle ceneri del PCI (sull'onda del “nessun nemico a sinistra”) e una incapacità di affrontare il mare aperto della fine delle gestione amministrativa (ovvero la coincidenza ormai strutturale fra fare politica e amministrare).In questo documentario ci sono tutte le parti in casa, c'è il militante che aderisce a Rifondazione, che era anche quello precedentemente meno ortodosso, c'è il compagno serio (che tutti abbiamo conosciuto come tipico rappresentante del PCI) che segue le direttive della maggioranza e come diceva Ferrini “non capisce (del tutto) ma si adegua”.Alle fine, però, il risultato è dannatamente ovvio e, questo sì “in linea con la storia”. Ovvero tutto si sgretola. La stanchezza del militante di RC, la disillusione dell'aderente al PDS che alla fine lascia partito e tessera (una tempesta che distrugge gli stand della Festa dell'Unità di San Casciano appare come ben più di un cattivo presagio).Altri si rifugiano nel volontariato. Persino in quello di impronta religiosa (“persino” ma non del tutto in contrasto).Ed proprio durante una manifestazione del volontariato, dove la ex-compagna parla in una cerimonia tristemente (oppure no....) laica e religiosa insieme, che il “compagno” serio, pur tra parole di elogio dell'impegno della ex-militante, dice che “però c'è una bella differenza.....”.Ecco, c'è una bella differenza, anzi c'era una bella differenza. Una differenza che ha ceduto sotto il peso del mondo circostante, delle pressioni, delle trasformazioni (anche tecnologiche) ma che è stata comunque disattivata dagli uomini con le loro scelte, con le loro analisi. Con l'avere imboccato un bivio sempre più stringente e impossibile da percorrere al contrario.