Teilhard de Chardin
Incontro con Teilhard de Chardin attraverso varie testimonianze« SCIENZA E CRISTO | IL GIARDINIERE » |
Post N° 96
Il Futuro dell’uomo speranza cosmica
“ O Signore nella mia modesta parte io vorrei essere l’apostolo e (oso appena dirlo) l’evangelista del vostro Cristo nell’ universo . Vorrei con le mie meditazioni, con la mia parola, con la pratica di tutta la mia vita scoprire e predicare tutte le relazioni di continuità che fanno del Cosmo in cui ci agitiamo, un ambiente divinizzato dalla Incarnazione, divinizzante per mezzo della comunione e divinizzabile mediante la nostra collaborazione….a coloro che sono abbagliati dalla nobiltà della fatica umana, voglio dire in nome di Cristo, che il lavoro degli uomini è sacro, sacro nella volontà che sottomette a Dio e sacro nella grande opera che compie, con i suoi infiniti tentativi la liberazione naturale e soprannaturale dello spirito. A coloro che sono fiacchi, puerili, o ristretti nella loro religione , voglio ricordare che il progresso umano è chiesto da Cristo, per il suo Corpo, e che vi è, nei confronti del Mondo e della Verità, un dovere assoluto di ricerca”
Così scriveva in trincea, durante la prima guerra mondiale un giovane sacerdote gesuita che sarebbe diventato negli anni paleontologo, biologo, antropologo, filosofo e teologo e più di tutti forse grande poeta prima “proibito”, poi discusso, poi di moda, infine, comunque, geniale pietra d’inciampo della cultura contemporanea, modello e “pegno” di futuro per la spiritualità dei cristiani del nostro tempo, lasciando una traccia incancellabile riverso il soffio (indiretto) del suo ottimismo cosmico anche sul Concilio: Pierre Teilhard de Chardin.
Anticipatore di un modo di essere, di uno stile di vita, del cristiano del futuro; Teilhard de Chardin ha passato la sua vita a cercare “ se vi fosse modo di conciliare e quindi di alimentare, l’uno per mezzo dell’altro, l’ amore di Dio e il sano amore per per il mondo”, la scienza, anzi la ricerca scientifica con la la fede, l’uomo e l’universo antropocentrico con il cosmo cristocentrico: “Cristificare la Materia:::tutta l’avventura della mia esistenza intima…una grande splendida avventura”, scrive nel 1950 in Le Coeur de la Matiere , perché, “ci deve pur essere un punto di vista dal quale il Cristo e la Terra appaiono situati in tal modo, l’Uno in rapporto all’altra, che io non potrei possedere l’Uno se non abbracciando l’altra, essere assolutamente cristiano se non essendo disperatamente umano”. Questa la passione insopprimibile, la spiritualità esistenziale che ha spinto il gesuita biologo, il paleontologo che nel 1929 scoprirà in una grotta nei pressi di Pechino il “Sinanthropus”, a giocare tutta la sua vita nell’avventura di “esplicitare i vincoli che legano geneticamente il Regno di Dio e lo sforzo umano”. “il grande avvenimento della mia vita – scrive infatti nella sua ultima opera, il suo “testamento” spirituale scritto alla vigilia della sua morte nel 1955. “Le Cristique – sarà la progressiva identificazione nel cielo della mia anima, di due soli: l’uno è il sommo vertice cosmico postulato da una evoluzione generalizzata , di tipo covergente, e l’altro è il Gesù risorto della Fede cristiana”.
A venticinque anni dalla sua morte avvenuta il 10 aprile 1955, una sera di Pasqua a New York, il poeta dell’Inno dell’Universo, il mistico della solidarietà cosmica dell’umanità in cammino verso il Punto Omega, verso il Cristo ricapitolazione di tutto, senso della storia, futuro dell’uomo, non fa più “scandalo”, appare stancamente dimenticato; non fa più “ moda” nei salotti intellettuali. Sembra persino un po’ superato dagli eventi che hanno incrinato le speranze storiche e quindi rendono più ostica la sua speranza cosmica ed escatologica.
E’ piuttosto il suo itinerario della ricerca di Dio, di ricerca della Verità declinandone le piccole conquiste che possono avvicinare l’intelligenza dell’uomo alla contemplazione almeno, se non alla comprensione, del mistero è questo itinerario ad un tempo di conciliazione tra scienza e fede, ma anche tra creatività, tra poesia e ascesi, che rimarrà ancora una lezione in divenire., la sua eredità anticipatrice dell’essere cristiani del e nel futuro. Questa riappropriazione di una visione cosmica, in una speranza cosmica, del Corpo mistico.
Pierre Teilhard de Chardin nasce il 1° maggio del 1881, quasi cento anni fa, dunque, nei Castello di Sacernat, vicino a Orcines, nei pressi di Clermont Ferrand, nella leggendaria Auvergne. La sua è una famiglia aristocratica, con il gusto per la cultura e l’avventura intellettuale innato; la sua mamma è una pronipote di Voltaire. A diciotto anni entra nella Compagnia di Gesù. Dopo lo studentato a Jersey, i gesuiti che valorizzano il suo interesse irrefrenabile per le scienze lo inviano per due anni a Il Cairo ad insegnare fisica e chimica. Nel 1912 è ordinato sacerdote e dopo la guerra, laureatosi in scienze naturali, lIstituto Cattolico di Parigi gli offre la cattedra di geologia. E a questo punto che Pierre Teilhard de Chardin rende progressivamente più matura e definitiva la sua passione di scienziato e la sua ardita avventura di conciliare teologia e scienza, fede e teoria dell’evoluzione. Si specializza in paleontologia umana ed inizia le sue ricerche, sotto la guida del professor Marcelline Boule. Ricerche che lo portano in missione scientifica in Cina ripetutamente. Nel 1924 scrive la sua prima opera fondamentale, il “Milieu Divin”, premessa alla sua fenomenologia unitaria. “L’arricchimento e l’inquietudine religiosa del nostro tempo sono probabilmente da ricollegarsi alla rivelazione, attorno a noi e in noi, della grandezza e dell’unità del mondo. Attorno a noi, le scienze del reale ampliano smisuratamente gli abissi del tempo e dello spazio, e scoprono ininterrottamente nuovi legami tra gli elementi dell’Universo. In noi l’esaltazione di tali scoperte, un mondo di affinità e simpatie unitarie, antiche quanto l’anima umana, ma finora intraviste solo quale materia di sogno più che quale realtà viva, si risvegliano e prendono consistenza”.
E’ l’inizio della sua geniale avventura antropologica, filosofica, teologica, ma soprattutto mistica e poetica. Una avventura che si compie nella continua verifica scientifica delle missioni scientifiche,degli incarichi di ricerca in Francia e negli Stati Uniti, e nelle opere che scandiscono i tempi della sua passione ma che potranno vedere la luce solo dopo la morte quando il suo ordine religioso non le riterrà più “pericolose” Segno anche questo di profonda umiltà, di appassionata appartenenza ecclesiale e soprattutto di dubbio intellettuale. Perché mai Teilhard ha preteso di aver il monopolio della verità, ne d’aver fondato un sistema “filosofico” né una teologia sistematica della storia. Il FENOMENO UMANO, del ’48, è l’altra pietra miliare del suo pensiero che va a porsi accanto alla sua straordinaria opera di poesia mistica, di stellare, densa, irripetibile spiritualità: L’Inno dell’Universo”.
A quel dovere “assoluto” di ricerca della Verità di cui scriveva il giovane teilhard con genialità e poesia è rimasto sempre fedele e chiama i cristiani alla comprensione che la salvezza sarà il compimento storico della storia dell’uomo in Cristo. Questa dunque, al di là degli entusiasmi acritiche e delle condanne, nella complessità di un’ipotesi proprio perché geniale sempre, certo, discutibile, la sua eredità anticipatrice ai cristiani del futuro. La consegna di un credente fedele al Cristo e alla sua chiesa, “che amava la terra con la nostalgia del cielo”.
Paolo Giuntella
(da IL POPOLO 13 aprile 1980, pag.8)
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" La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto. Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori? Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva. E' una distinzione illusoria. La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente, la Verità "
"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.
Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno... Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)
" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando... E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto... Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro. Manovra impossibile e fatale. La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide. Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936)
Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio. "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)
" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.
Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.
Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?
Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)
" Nel Cuore della Materia.
Un Cuore del Mondo,
Il Cuore d' un Dio"
(da Le Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)