Messaggi del 21/08/2008

Un pensiero di J. Guitton

Post n°48 pubblicato il 21 Agosto 2008 da bioantroponoosfera
Foto di bioantroponoosfera

Riporto qui un  concetto espresso dal filosofo Jean Guitton per il teologo-paleontologo Teilhard de Chardin nel suo  libro "Il mio secolo, la mia vita" – Ed. Rusconi 1990 – pag.140

" In Teilhard vedevo non un maestro, ma un pioniere.

I pionieri si straziano le mani fra le spine; bisogna concedere loro la libertà di sbagliare.

I pionieri precedono i maestri che costruiranno strade per le carrozze.

I pionieri avanzano senza sapere come e non lasciano tracce.

Di fronte a loro, diceva Newman, si resta "insieme ammirati e perplessi".

 
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Con Darwin e Teilhard salviamo la noosfera

Post n°49 pubblicato il 21 Agosto 2008 da bioantroponoosfera

 
Nella prospettiva della gestione del pianeta, io vorrei far notare che sono perfettamente conciliabili due visioni della natura, due modelli di universo: quello darwiniano e quello teilhardiano. Per Darwin, l'evoluzione è determinata da un insieme di eventi scelti e prodotti dalla selezione naturale; Teilhard de Chardin ritiene invece che la evoluzione organica muova verso il punto Omega, la riconciliazione di tutto in Cristo.
Nel modello di Darwin, non c'è un fine ma un processo; in quello teilhardiano, c'è un processo che ha un fine. Già Sant'Agostino dice che all'inizio Dio ha conferito la "potenzialità evolutiva". E poi il filosofo francese Henri Bergson si schiera per "l'evoluzione creatrice": ogni novità che si verifica nel processo evolutivo è frutto di un atto creativo.
Teilhard prevede il passaggio dalla biosfera alla noosfera, un momento della storia dell'umanità in cammino verso il punto Omega, in cui tutti i cervelli degli uomini si connetteranno, in una specie di pensiero collettivo globale. E mi pare che con ciò il filosofo gesuita abbia previsto un'importante tappa nell'evoluzione dell'uomo, che in un certo senso può cominciare a delinearsi con Internet.
All'avvicinamento fra i due percorsi, il darwiniano e il teilhardiano, contribuisce l'attuale tendenza dell'ecologia a risacralizzare la natura. Il mondo sta ridiventando un valore in sé da proteggere, riacquista un carisma che durante il positivismo aveva perduto. Sul fronte del rispetto della natura, io noto molta sensibilità nella cultura cristiana, perché lo scopo condiviso è salvare il mondo.
Il Vangelo dice: tutto il bene che farete a questi piccoli lo farete anche a me. Ritornando a San Francesco, potremmo estendere il messaggio evangelico: tutto il bene che viene fatto a una creatura vivente (e perciò a un prodotto della creazione) viene fatto a Dio.


Giorgio Celli (amante dei Gatti!!!)

 

 
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Dimmi come vivi e ti dirò chi sei

Post n°50 pubblicato il 21 Agosto 2008 da bioantroponoosfera

Negli anni 1990-1992 Don Nico Dal Molin ha scritto per la rivista SE VUOI dedicata all'orientamento vocazionale dei giovani una serie di riflessioni che sono state ora raccolte nel volume: "Cammini di speranza per liberare la vita".  Vi riproponiamo le pagine dedicate alla riflessione su Pierre Teilhard de Chardin.

Per capire meglio come si pone a noi il problema della Speranza e perché spesso, nei suoi confron­ti, ci scopriamo esitanti, dubbiosi, carichi di incertezze e perplessità, vorrei quasi "interrogare" con voi quello che io ritengo uno fra i più grandi scrittori religiosi del nostro tempo, ma insieme anche scienziato dedito alla geologia e alla paleontologia: Pierre Teilhard De Chardin. E un ge­suita francese, vissuto tra il 1881 e il 1955, capito trop­po tardi nelle sue ardite concezioni spirituali, connesse a delle lucide introspezioni psicologiche ed esperienziali sul­la vita umana.

Dal 1926 al 1946 lavorò in Cina, dove era stato prati­camente esiliato, a Tiensin e a Pechino.

Vorrei chiedere a Teilhard, come se lui fosse qui, in u­na specie di dibattito immaginario che supera le leggi del tempo, se davvero gli atteggiamenti fondamentali della vi­ta di ognuno possano dirci qualcosa del suo modo di es­sere profondo. Credo che la sua risposta potrebbe essere più o meno questa.

 A colloquio con Teilhard

«Vedete, amici, noi potremmo immaginare un gruppo di escursionisti, che partono alla conquista di una vetta difficile. È un paragone che può calzare per persone gio­vani, magari amanti dell'avventura o di qualche cammina­ta in montagna. Proviamo però a passare in rassegna il nostro gruppo qualche ora dopo la partenza. A questo punto è molto probabile che la comitiva, che era partita insieme e con slancio, sia divisa ora in tre tronconi.

Alcuni rimpiangono di avere lasciato il Campo o l'al­bergo; lì si stava comodi, si poteva prendere il sole e ri­posarsi. La fatica e forse il pericolo della escursione sem­brano sproporzionate all'interesse della conquista di quel­la vetta a cui avevano mirato.

Altri non sono per nulla dispiaciuti di essersi messi in cammino; il sole risplende in un cielo terso e carico di az­zurro, il panorama è meraviglioso, l'aria che si respira è piena di ossigeno e dilata i polmoni, abituati come siamo all'ossido di carbonio delle nostre città... Ma a questo punto perché salire ancora, perché continuare a fare fati­ca quando tutto è così bello; ci si può godere la monta­gna dove si è, in mezzo ad un prato chiazzato di stelle al­pine o in pieno bosco odoroso di muschio e licheni. Così, appagati, si sdraiano sull'erba, aspettando che arrivi l'ora del picnic insieme.

È rimasto, infine, un gruppetto di veri amanti della montagna; i loro occhi non si staccano dalla vetta per la quale si sono messi in cammino e che hanno giurato a se stessi di conquistare, costi quello che costi... Pur vedendo gli altri fermarsi o ritornare indietro, loro stringono i denti e riprendono la salita...».

 Non c'è speranza per... “i nati stanchi”

Fin qui è quanto ha voluto dirci, con il suo esempio, Teilhard De Chardin.

Proviamo noi ora a scavare un po' di più per capire il messaggio e decodificarlo nella nostra vita.

Il primo troncone lo potremmo definire dei "nati stan­chi"... Sono quelli (e ahimé sono tanti), che non amano fare fatica, che cercano tutti i possibili comforts, che si la­mentano in continuazione di questo che non va, di quello che non li capisce, di come la vita si presenti difficile e dura... In loro c'è sempre una velata apatìa che li porta alla rassegnazione e al valutare gran parte della vita, se non l'esistenza stessa nella sua interezza, con un atteggia­mento di profondo pessimismo.

Hanno occhi scoraggiati e sfiduciati, il loro passo è stanco, il loro modo di vivere è sentito come uno scacco continuo.

Per questi individui, il solo "pensare" alla Speranza è una ...illusione e la loro vita diventa un camminare stra­scicato, perché si tirano dietro una pesante palla di piom­bo legata al piede: il loro pessimismo!

In fondo, il loro slogan potrebbe suonare così: « È me­glio essere MENO che essere PIO; anzi, il meglio di tutto sarebbe non essere per nulla».

Solo piacere... niente speranza

La seconda "trance" dei nostri escursionisti, forse la fet­ta più consistente, è formata da una categoria di tipi che possiamo definire, tranquillamente, dei "bontemponi".

Sono allegri, gioviali e in fondo a loro non interessa far fatica ma piuttosto divertirsi. Là dove si trova questa op­portunità ci si ferma, un po' come dei farfalloni che una volta trovato il buon nettare di un fiore si fermano a suc­chiarlo, gratificati, fino in fondo.

Sono i figli della nostra cultura dell'immediato, quelli che amano cogliere ...l'attimo fuggente e fermarsi a quel­lo che "qui e adesso", senza difficoltà, viene passato co­me il piacere della vita.

Per loro il motto potrebbe essere: "Riempiamoci del momento presente". Una riedizione per nulla originale del vecchio "carpe diem", esaltato dal poeta latino Ora­zio, che non sempre ci ha visti, o ci vede attualmente, be­nevoli e compiaciuti nei suoi confronti, sui banchi di scuo­la durante qualche traduzione di ...latino.

Sono quelli che sul futuro e per il futuro non scommet­tono nulla, non rischiano nulla. Sono quelli per cui la Speranza resta una gran bella parola, ma che li lascia in­differenti e assopiti nel loro benessere presente.

 Il coraggio dei "cuori ardenti"

Ci è rimasto l'ultimo gruppo, che non esiterei a defini­re il gruppo dei "coraggiosi", uomini e donne, giovani dal cuore ardente e tenace, per cui il vivere è una ricerca e u­na scoperta di valori preziosi; per essi la Speranza è un bene che vale lo sforzo di una dura salita, è una vetta che appaga pienamente la fatica fatta per raggiungerla.

Anzi, oserei dire che per essi la Speranza è la ricerca di un qualcosa di più, non in senso perfezionistico, ma nel riuscire a cogliere il loro punto di arrivo come il nuovo punto di partenza per la prossima vetta e quindi per una ulteriore scoperta. Non sono avventurieri, ma giovani in­namorati di "essere di più e meglio", sapendo che l'Esse­re che cercano è inesauribile nelle sue proposte e nelle sue risposte; che la Speranza che trovano è come un fo­colare di luce, di calore a cui è bello e anche possibile av­vicinarsi sempre maggiormente.

Qualcuno li deride, qualche altro li ritiene illusi o inge­nui, altri ancora li credono delle "teste matte" che non sanno capire il senso concreto della vita.

Si accomodino pure questi signori dal riso incredulo, come Sara, la moglie di Abramo, di fronte ai tre ospiti che le annunciavano la sua futura maternità, pur nella vecchiaia. Si accomodino... perché piano piano sarà il lo­ro riso a smorzarsi sulla bocca, quando vedranno che in quelli e da quelli che loro ritenevano ingenui, si prepara a sorgere la "terra di domani".

 Nico Dal Molin, prete

 

 

 
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Post N° 51

Post n°51 pubblicato il 21 Agosto 2008 da bioantroponoosfera

PER UN’ECOLOGIA ALTERNATIVA

Riflessioni sul pensiero di P. Teilhard de Chardin

L’attuale stato della natura pone a rischio tanto la sopravvivenza del mondo quanto la sopravvivenza dell’uomo. Ma la responsabilità di questa situazione precaria, posta alle soglie di una eventuale catastrofe senza ritorno, è propria dell’uomo che, attraverso il tempo, ha provocato, in uno sfruttamento senza limiti del mondo naturale, le condizioni del "terricidio".

Di fronte a tale situazione gli ecologisti, di solito, auspicano uno sviluppo sostenibile della civiltà umana capace di invertire la tendenza in corso nell’utopia di ripristinare, attraverso il limite e la rinuncia, le condizioni della natura primigenia. Si tratterebbe, cioè, di operare con un rispetto del mondo condotto alla luce di un primitivismo di ritorno, collocabile all’interno dell’odierna civiltà.

E’ evidente che le due situazioni, quella della catastrofe imminente e quella del ritorno alle origini, non sono fra loro soltanto contraddittorie ma rappresentano, inoltre, gli estremi di due utopie: l’una negativa in senso apocalittico, l’altra positiva nella direzione del recupero di un "paradiso perduto".

La nostra proposta, invece, va nella direzione di cercare le condizioni per una possibile ecologia alternativa capace di programmare, mediante la scienza e la tecnica, uno "sviluppo sostenibile" della civiltà umana che si ponga il problema della tutela e della conservazione dell’ambiente nonché delle energie naturali. Si tratta cioè di progettare l’utilizzazione dei serbatoi naturali del pianeta, in modo da tenere conto della necessaria integrazione dell’uomo con il mondo, in un rapporto attivo tra gli individui e l’ambiente in cui il futuro dipende dall’equilibrio dell’intero sistema ecologico del quale ovviamente l’uomo è parte integrante.

In questa situazione, possiamo trarre ispirazione dalla metafora biblica della "natura" da intendersi come "giardino del creato", all’interno della quale l’uomo, signore dell’universo, venga considerato come " l’operaio" della terra nonché il coltivatore di un giardino a lui affidato in custodia da Dio, perché sia capace di valorizzare e continuare l’opera creativa di Dio stesso. In questo quadro, allora, la storia e la presenza, in essa, del male come condizione ineludibile della condizione umana, rappresenterebbe l’itinerario che dalla caduta iniziale giunge fino alla salvezza finale. In tal caso, il paradiso perduto e le sofferenze che accompagnano l’avventura delle civiltà fino al recupero escatologico del paradiso finale, troverebbero accomunato l’uomo all’universo in un unico destino di sofferenza e di salvezza.

Questa situazione sinteticamente descritta, con una evidente allusione ai contesti biblici della Genesi e dell’Apocalisse, potrebbe costituire il momento etico-valoriale capace di ispirare la condotta dell’uomo in una specie di ecologia alternativa, nella quale l’intelligenza e la libertà dell’uomo stesso, con l’ausilio della scienza e della tecnica, vengano messe a servizio della sopravvivenza, nonché di uno sviluppo equilibrato, del mondo ai fini di un futuro di miglioramento della natura e della qualità della vita per l’intera specie umana sul pianeta Terra.

La situazione descritta trova le condizioni ontologico-speculative, in base alle quali sostenere l’ipotesi del "miglioramento morale" dell’uomo, anche in sede filosofico-teologica, mediante le ipotesi di alcuni autori significativi del Novecento. Si pensi ad esempio ad H. Jonas, con il suo Il principio responsabilità, nonché a P. Teilhard de Chardin, con il suo Fenomeno umano. E’ chiaro che i riferimenti a tali autori, nonché alla loro opera principale, assumono, in questo quadro, un valore emblematico meramente esemplificativo, in quanto il discorso comprenderebbe altre filosofie e altri studi che, in questa sede, non è possibile riferire per l’esiguo spazio a nostra disposizione.

Se ci riferiamo più espressamente alla posizione filosofica di H. Jonas, troviamo che le condizioni precarie della sopravvivenza dell’uomo e del nostro pianeta, in questo tempo di negatività e di catastrofi, determinano una inversione di tendenza dell’etica tradizionale, all’interno della quale emerge appunto il "principio responsabilità", inteso quale consapevole "atto di libertà" dell’uomo che, nei suoi limiti ma anche nelle sue potenzialità creative, si fa carico di se stesso, della propria condizione, della situazione della natura, utilizzando proprio quella scienza e quella tecnica, che ha finora sfruttato e distrutto il mondo, per ricostruire le possibilità di un mondo migliore aperto ad un futuro di sopravvivenza della realtà naturale e della civiltà umana.

Se ci rivolgiamo, invece, a P. Teilhard de Chardin, troviamo che proprio il quadro evolutivo dell’universo, progressivamente ordinato nelle successive fasi della litosfera, della biosfera e della noosfera, determina le condizioni per un orientamento ottimistico dello sviluppo del reale verso una spiritualizzazione religiosamente cristocentrica che vede, appunto, nell’incarnazione di Dio nella storia, "l’alfa" e "l’omega" dell’intero creato. In questo quadro allora, l’uomo si colloca in una situazione nella quale i suoi stessi principi della morale si evolvono adeguandosi alle condizioni della sua sopravvivenza; infatti, così come c’è stato il tempo degli egoismi, dello sfruttamento, della competizione e dell’eccesso di produzione, ci saranno i tempi di una spiritualizzazione crescente in cui l’uomo diverrà finalmente capace di accomunarsi ai suoi simili, di proteggere la natura e di aprirsi, mediante l’amore, ad un avanzamento spirituale verso Dio. Qui, allora, la catastrofe viene assunta al ruolo di un grande rischio e di un grande pericolo; ma il "supplemento d’anima", che potrà nascere nella spiritualità umana, permetterà all’uomo stesso di farsi carico della salvezza della natura, insieme alla sua salvezza, proprio attraverso la scienza e la tecnica che costituiscono le sue effettive possibilità di incidere costruttivamente sul destino del reale.

E’ evidente allora, già da questi riferimenti sintetici a due dottrine significative del nostro tempo, come il problema ecologico non imponga alla storia un regresso impossibile delle condizioni della civiltà umana, bensì proponga un avanzamento più intelligente della civiltà medesima nel quale l’uomo, attraverso una ecologia alternativa, possa compiere un vero e proprio salto di qualità. Solo in tal modo egli riuscirà a migliore se stesso, operando nel mondo attraverso la scienza e la tecnica che sono, in definitiva, i prodotti più elevati della sua cultura e del perfezionamento della sua intelligenza creativa.

AURELIO RIZZACASA

 (articolo pubblicato sul sito http://www.mail-archive.com a cura del Circolo vegetariano di Calcata)

 

 



 


 
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RIFLESSIONI TEILHARDIANE

"  La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto.  Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori?  Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva.  E' una distinzione illusoria.  La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente,  la Verità "   

                                                                                                                                                          

 

" Senza che si possa dire per ora in quali termini esatti, ma senza che vanga perduto un solo frammento del dato, sia rivelato che definitivamente dimostrato, sul problema scottante delle origini umane, l'accordo si farà senza sforzo, a poco a poco, tra la Scienza e il Dogma.  Intanto, evitiamo di respingere anche il minimo raggio di luce, sia da una parte che dall'altra.  La fede ha bisogno di tutta la verità". (da Les Hommes fossiles, marzo 1921) 
 
" Inventariare tutto, provare tutto, capire tutto. Ciò che è in alto, più lontano di quanto è respirabile, e  ciò che è in basso, più profondo della luce.  Ciò che si perde nelle distanze siderali, e ciò che si dissimula sotto gli elementi... Il sole si alza in avanti... Il Passato è una cosa superata...  La sola scoperta degna dei nostri sforzi è come costruire l'Avvenire". (La découverte du passé, 5 settembre 1935)
 

"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.

Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno...  Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)

 
"  Chiniamoci dunque con rispetto sotto il soffio che gonfia i nostri cuori per le ansie e le gioie di "tutto tentare e di tutto trovare".  L'onda  che sentiamo passare non si è formata in noi stessi.  Essa giunge a noi da molto lontano, partita contemporaneamente alla luce delle prime stelle.  Essa ci raggiunge dopo aver creato tutto lungo il suo cammino.  Lo spirito di ricerca e di conquista è l'anima permanente dell'Evoluzione" (Il Fenomeno Umano 1940)
 

" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando...  E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto...  Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro.  Manovra impossibile e fatale.  La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide.  Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936) 

 
" L'Energia diventa Presenza...  Sembrerebbe che un solo  raggio di una tale luce, cadendo come una scintilla in qualsiasi punto della Noosfera, dovesse provocare un'esplosione abbastanza forte da incendiare e rinnovare quasi di colpo la faccia della Terra. Allora, come è possibile che, guardando attorno a me, è ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io mi trovi pressochè solo della mia specie?  Solo ad aver "visto"?...  Incapace, quindi, quando me lo si chiede, di citare un solo autore, un solo testo, in cui si riconosca, chiaramente espressa, la meravigliosa "Diafania" che, per il mio sguardo, ha trasfigurato tutto ?"  (Le Christique, marzo 1955) 
 
....IN QUESTA APERTURA VERSO QUALCHE COSA CHE SFUGGE ALLA MORTE TOTALE, L'EVOLUZIONE E' LA MANO DI DIO CHE CI RICONDUCE A  LUI . ( La Biologie, poussee à fond,peut-elle nous  conduire à èmerger dans le transcendant?  Maggio 1951)
 

Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio.  "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)

 

" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.

Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.

Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?

Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)

 

" Nel Cuore della Materia.

   Un Cuore del  Mondo,

    Il Cuore d' un Dio"

        (da Le  Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)

 
" Nella peggiore delle ipotesi, se ogni possibilità futura di parlare e di scrivere si chiudesse davanti a me, mi rimarrebbe, con l'aiuto di Gesù, quella di compiere questo gesto, affermazione e somma testimonianza della mia fede: scomparire,m inabissarmi in uno spirito di Suprema Comunione con le forze  cristiche  dell'Evoluzione  (da Note di esercizi spirituali, 22 ottobre 1945) 
 
 
 

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