Messaggi di Novembre 2008

Post N° 121

Post n°121 pubblicato il 01 Novembre 2008 da bioantroponoosfera
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Il Gesuita proibito

ha lavorato per il futuro

 

di CARLO BO

 

E’ venuto anche per noi, cattolici italiani, il tempo di leggere Pierre Teilhard de Chardin ?  Il veto resta, per le opere di pensiero. Si è fatto un passo avanti secondo il nostro costume: aggirando o cercando di aggirare le posizioni.  Non le opere ma libri sulle opere, dove almeno attraverso il quadro delle citazioni sia consentito un primo contatto .  Diamo quindi il benvenuto alla traduzione delle Lettere di viaggio e del saggio fondamentale di Claude Cuenot, L’Evoluzione di Teilhard de Chardin  usciti nelle edizioni Feltrinelli, ma soprattutto diamo il benvenuto al libro di Giancarlo Vigorelli: Il Gesuita proibito, pubblicato  da Il Saggiatore.

Vigorelli non ha bisogno di presentazioni, basterà dire che per questo  lavoro di rottura era il più indicato.  In qualche modo tutta la sua storia di cattolico irrequieto sta a giustificare la scelta e lo autorizza a mettere gerarchie e la famiglia dei fedeli di fronte al libro delle responsabilità.

D’altra parte, non si può fare a meno di registrare con qualche sorpresa questo costante terrore del nuovo in questioni di fede e di religione.  Se c’è un paese che ha bisogno vitale di scosse, di richiami all’ordine, , di iniezioni di inquietudini, , questo paese è il nostro.  E invece, si fa del tutto per proteggere la sua inerzia di fondo e per offrirgli il magro compenso d’illusione che deriva da un modo di illustrare la religione dal di fuori e di  farne soltanto un dato di civiltà.  Ma anche qui, quale riduzione si fa al termine, in che modo si tende ad equiparare  stanchezza e obbedienza, vuoto e rinuncia.  Ora Vigorelli per la sua natura ardente ( e l’impressione sussiste con il passare degli anni,  in mezzo al generale lasciar andare, prendere le cose per il verso più facile  sembrava chiamato a proporre il caso Teilhard in un modo che non fosse possibile rendere equivoco,  spegnendone a poco a poco il fuoco di carica.  Naturalmente l’impresa non era facile, tanto più che Vigorelli si trovava di fronte ad un terreno completamente o quasi del tutto vergine:  il padre gesuita è infatti per forza di cose rimasto da noi sospeso fra l’alta informazione giornalistica e gli echi di una condanna che per prudenza si è arrestata al limite del “monitum”  Si trattava, dunque, di offrire, al lettore non soltanto una definizione del problema o una situazione geografica nel libro delle nuove idee ma, prima di tutto, di mettere il lettore nella possibilità di giudicare direttamente.  Vigorelli, riscontrata questa difficoltà iniziale e registrata la mancanza di un retroterra che è indispensabile per ogni operazione critica,  ha scelto un modo di lettura comune, camminando, se possiamo dire così, con il libro aperto di Teilhard e invitando il lettore a seguire  linea per linea questi testi “proibiti”.  A questo punto sorgeva un’altra difficoltà e chi conosce Vigorelli poteva temere addirittura un abuso, una sollecitazione  eccessiva da parte sua: presentare un Teilhard non intero, un Teilhard letto in un senso unico.   Ora conviene aggiungere subito che questo pericolo è stato evitato  e che Vigorelli in tal modo ha reso un grosso servizio alla causa che intendeva suffragare.    In conclusione, il grosso saggio di conoscenza costituisce una introduzione all’opera del gesuita e non c’è dubbio che i lettori più avvertiti sapranno far tesoro delle sollecitazioni sottolineate dal Vigorelli, in modo da passare a un completamento di conoscenza, a quel secondo stadio della frequentazione per cui un’opera passa dalla registro delle attualità a quello delle letture quotidiane, delle letture che tengono oltre l’ombra dell’ora.

Quali risultati si avranno da questo primo incontro?  Lasciamo da parte quel tanto di scandalo, di choc  che oggi, così come stanno le cose, non hanno più ragione di essere e vediamo invece dove presumibilmente avverrà il primo contatto.   Credo che esista anche da noi una famiglia di spiriti,  molto più larga  di quel che di solito si crede, pronta a ricevere messaggi di questo genere.    Proprio perché da secoli viviamo sotto l’incubo di una religione restrittiva, naturalmente nemica della vita, la parola di speranza che si leva dai libri di Teilhard de Chardin dovrebbe colpire immediatamente la zona più derelitta e spenta del nostro cuore.  Tale tendenza a spegnere dentro di noi questi aneliti, questi fermenti è stata sempre alimentata da una visione pessimistica della nostra vita.  Il “gesuita proibito”, per ripetere l’immagine vigorelliana, è fatto a posta per mettere un termine a questa corsa verso il buio, verso il nulla: una corsa a ostacoli, dove gli ostacoli sono rappresentati, dai pretesti, dalle occasioni della vita, dalle proposte di costruire.  Se ci dovessimo servire a nostra volta di un’immagine, dovremmo dire che il nostro cristianesimo nutre il suo pessimismo al senso di condanna assoluta e generale che siamo soliti dare ai nostri atti.   Il pessimismo nasce da una netta separazione fra quello che l’uomo può fare e quello che Dio fa.  Per molti secoli si è pensato che non si dovesse tentare un collegamento tra questi due poli, rimettendo all’intervento divino l’incertezza e la deformità dei nostri atti.  Il gesuita rimette tutt’e due le posizioni sullo stesso piano e concede all’attività dell’uomo  il soccorso di un’altra carità, di un’altra pietà, per cui tutto è suscettibile di essere trasformato in bene.

E’, dunque, una visione positiva, attiva che  ci viene prodigata dal padre gesuita il  quale del resto, grazie alle sue conoscenze d’ordine scientifico, era in grado di vedere le cose in modo ben diverso dal nostro,  da un angolo che non rispetta la legge della rinuncia e del fallimento.  Noi siamo stati abituati a misurare anche le cose dell’anima con il contagocce, come dire che la nostra vita non è mai passata dallo stato della tana, non è mai uscita all’aria, sotto il confronto di tutti gli elementi della natura.   Ora il credito che il gesuita apre all’uomo, al di sopra  delle patrie, delle classi, delle politiche e forse delle religioni, intendendo per religione tutto ciò che ci lega in basso,  ci riporta ad una visione terrena, è immenso, è qualcosa che nessuno è mai riuscito ad immaginare.  Al suo confronto che cosa regge? Ma non è possibile fare confronti del genere, si tratta di materiali diversi: noi siamo fatti di “passato”, Teilhard di “futuro”.  Resta il modo, l’operazione di saldatura e qui il tema assuma un carattere di eccezionale drammaticità:  soltanto il domani potrà darci la risposta che aspettiamo.  Se il futuro prenderà la strada segnata da Teilhard, noi sapremo che nel suo lavoro di uomo c’era qualcosa di più alto, c’era un segno sensibile di un’altra,  di una più alta volontà.

 

Carlo BO

L’Europeo, 24 febbraio 1963, pag. 74

 

 
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Post N° 123

Post n°123 pubblicato il 14 Novembre 2008 da bioantroponoosfera
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Teilhard de Chardin e la Grande Guerra (1914 - 1918)

 

 

Ricorre in questi giorni, in Francia, la rievocazione della furiosa battaglia di Verdun un cui l’esercito alleato (francesi, inglesi, americani, australiani e migliaia di truppe “coloniali”) sconfisse definitivamente l’esercito tedesco, decretando di fatto la fine della Grande Guerra.

Pierre Teilhard de Chardin , giovane seminarista venne richiamato alle armi nel  nel 1914 ed assegnato come infermiere alle 13°  sezione di fanteria.  Partì per ìl 20 gennaio 1915 per il fronte come portaferiti di II classe assegnato all’8° reggimento di fucilieri marocchini ( che si trasformò, il 25 giugno 1915, nel 4° reggimento di zuavi e fucilieri marocchini ). Venne promosso caporale nel maggio del 1915..

Prima di fare qualche riflessione su Teilhard “soldato” vorrei informarvi sui meriti e sulle citazioni che il padre gesuita ottenne negli anni della guerra.

 

Citazioni al merito guadagnate sui campi di battaglia

 

Teilhard de Chardin, non si tirò mai indietro nelle azioni di guerra per andare a recuperare feriti e morti e   riportarli nelle trincee. Vorrei sottolineare che come portaferiti Egli non aveva armi, anzi aveva le armi di un testimone di Dio: coraggio, altruismo, dedizione per gli altri, fede e due mani per pregare, benedire, dare quel sollievo che nell’inferno delle trincee, in mezzo al fango e alle granate, dava pace a quei poveri esseri martoriati che riempivano le trincee.

E per questo si guadagnò  le citazioni che seguono:

 

25 Agosto 1915 -  Citato all’ordine del giorno della Divisione

“ Trasferito a sua richiesta, dall’infermeria in prima linea, dava prova di altissimo         

 spirito di sacrificio e di assoluto sprezzo del pericolo”

 

17 settembre 1916- Citato all’ordine del giorno dell’Esercito

 “Esempio di coraggio e di sangue freddo: Dal 15 al 19 agosto ha diretto squadre di portaferiti  su un terreno sconvolto dall’artiglieria e battuto dalle mitragliatrici. Il 18 agosto si spingeva fino a venti metri dalle linee nemiche per raggiungere un ufficiale caduto e riportarlo nelle nostre trincee”

 

 20 giugno 1917 –  Medaglia militare

“Ottimo graduato.  Per l’elevatezza dell’animo si è meritato la fiducia e il rispetto di tutti.  Il 20 maggio 1917 raggiungeva una trincea battuta da un violentissimo fuoco d’artiglieria per raccogliervi un ferito”

 

 21 maggio 1921 – Su proposta del suo reggimento, è nominato cavaliere della Legion d’Onore

“Portaferiti d’eccezione, partecipava in quattro anni di campagna a tuttele battaglie e a tutti i8 combattimenti del reggimento, richiedendo di restare fra la truppa per essere più vicino ai suoi uomini di cui condivideva fatiche e pericoli”

 

Gli anni della guerra 1914 – 1918

Sono questi gli anni che ebbero un’eco profondo sulla sua esistenza e che sicuramente furono decisivi per lo svolgersi della sua vita. Egli scrisse più volte che furono quegli  anni a rivelargli la sua personalità e ad accelerare il suo sviluppo spirituale; furono quegli anni che accrebbero inconsapevolmente la sua coscienza temprando il suo carattere e dando l’avvio al suo  grandioso pensiero.

Nella presentazione al volume “Genesi di un pensiero- Lettere dal fronte (1914-1919) Marguerite Teilhard (che si firmava in arte Claude Aragonnes), cugina del gesuita, così scriveva:

“Convinto, come tanti altri, in quella mischia che confuse ogni specie d’uomini di diverse razze, condizioni, mentalità; messo di fronte alle più terribili realtà della vita e della morte,  da quelle più basse e atroci, alle più eroiche e sovrumane;   partecipe,  fino all’estremo spasimo, allo sforzo di questa generazione gettata nel crogiuolo, ne uscì trasformato in un altro uomo,  un uomo nuovo pronto a battersi con coraggio morale (quello più difficile) per conquistare la verità, per difendere il suo pensiero e per compiere la singolare missione a cui si sentì chiamato in quegli anni così duri e, per lui, così fecondi.” (Genesi di un pensiero- Lettere dal fronte 1914-1919 – Editore Feltrinelli pag. 22)

“ Amava la vita, amava la sua vita, che gli si presentava sotto il segno di una duplice vocazione: Dio lo chiamava a servire in una  promettente carriera scientifica dove le sue attitudini e i suoi doni sarebbero stati pienamente utilizzati “ per una sempre maggiore gloria di dio”” (cit.  pag. 23)

“Ora bisognava abbandonare le proprie abituali occupazioni; la guerra, importuna, ma si sperava, breve,  (…) sarebbe stata solo una parentesi che per un certo tempo avrebbe distolto lui come gli altri dal suo cammino. “Come gli altri…”  Questo fu il suo motto per tutto il periodo di  guerra, quattro anni combattuti con il grado più basso, quello di caporale.

Numerosi amici gesuiti erano stati mobilitati e molti erano già caduti.  Ecco, ora veniva il suo turno, ed era giusto che fosse così.  Egli temeva soltanto di dovere perdere tempo in caserma.  Il fronte l’attirava, perché almeno lì avrebbe agito.  Era profondamente convinto, e  si sarebbe ancor più rafforzato in questa convinzione, che i fatti  della vita andavano sempre accolti con ottimismo.  Del resto la guerra aveva per lui un certo sapore d’avventura, un gusto giovanile che non perderà mai.  Un giorno, maturato dalle circostanze e dalla meditazione, avrebbe concluso che ogni avvenimento va accettato come possibile apportatore di rivelazione,  qualunque cosa riservi il futuro immediato, sia pure la morte, il massimo mistero della vita.

E pensava che, ormai, Dio l’aspettava là . " (cit. pag. 24)

Tutti noi, anche i più giovani, parlando della guerra,  ricordiamo la seconda guerra mondiale, ancora così presente negli scritti e nella memoria collettiva. Ma quel che successe nella Grande Guerra vive orami soltanto nel ricordo di quanti ebbero la fortuna, salvandosi, di testimoniare anche per iscritto gli orrori, i sacrifici, l’eroismo, la morte di milioni di persone, soldati e non.

I pochi uomini politici, i governanti dell’epoca che dovevano decidere si buttarono a capofitto nell’abisso di quella  guerra quasi fosse una passeggiata scandalosamente allegra.

(segue)

 

Giovanni FOIS

 

 

 
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Post N° 124

Post n°124 pubblicato il 19 Novembre 2008 da bioantroponoosfera
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Teilhard de Chardin, Pierre (Alvernia, Francia 1881- New York, 1955)

 Sul sito Documentazione Interdisciplinare Scienza e Fede  è stato pubblicato questo lnteressante lavoro. Ci permettiamo di presentarlo ai nostri lettori

Più il mondo sarà vasto, più le connessioni interiori saranno organiche, e più trionferanno le prospettive dell’Incarnazione. Il cristiano, spaventato, per un istante, dall’evoluzione, si accorge ora che quest’ ultima  gli offre semplicemente un mezzo per sentirsi maggiormente posseduto da Dio e per darsi più intensamente a Lui. Poter dire a Dio che lo si ama, non soltanto con tutto il corpo, con tutto il cuore, con tutta l’anima, ma con tutto l’universo in via di unificazione, ecco una preghiera che si può fare solamente nello spazio-tempo.”

Queste parole così audaci e suggestive ci introducono nella vita e nel pensiero di padre Pierre Teilhard de Chardin, pensatore e uomo si scienza francese della Compagnia del Gesù. Leggendo le sue opere e studiando la sua vita ci si rende conto di avere di fronte  una personalità complessa e nello stesso tempo uno studioso appassionato, capace di visioni ardite e intense. Studioso di profonda religiosità è stato sicuramente pioniere nell’analisi dell’evoluzionismo alla luce della fede, riuscendo a raggiungere una sintesi affascinante nella quale un cristiano si sente stimolato ad aprirsi al confronto con le nuove teorie sullo sviluppo della vita nel mondo.

In Cristo e la scienza del 1921, troviamo pensieri che sconcerterebbero molti studiosi contemporanei: “Prima di tutto, noi cristiani non dobbiamo avere paura o scandalizzarci a torto dei risultati della ricerca scientifica, sia in fisica, sia in biologia, sia in storia. La Scienza con le sue analisi non deve dunque turbare la nostra Fede. Essa deve piuttosto aiutarci a meglio conoscere, comprendere ed apprezzare Dio. Da parte mia sono convinto che non ci sia per la vita religiosa nutrimento naturale più potente del contatto con le realtà scientifiche ben comprese. L'uomo che vive abitualmente in compagnia degli elementi di questo mondo, l'uomo che personalmente sperimenta la schiacciante immensità delle cose e la loro miserabile dissociazione, - quegli, ne sono certo, assume una coscienza più acuta di chiunque altro, sia dell'immenso bisogno di unità che spinge l'Universo sempre più in avanti, sia dell'avvenire inaudito che gli è riservato. Nessuno come l'Uomo chino sulla Materia comprende quanto Cristo, grazie alla sua Incarnazione, sia interno al Mondo, radicato nel Mondo fin nel cuore del più piccolo atomo. Di conseguenza, — è vano ed ingiusto porre in opposizione la Scienza e Cristo, o separarli come due ambiti estranei l'uno all'altro.”

Questa visione è il frutto di una vita spesa nel confronto leale con le scoperte scientifiche animato da una spiritualità autentica.
Pierre Teilhard de Chardin nacque il 1° maggio 1881 al Castello di Sarcenat (Auvergne) nel Comune di Orcines, provincia di Clermont-Ferrand in Francia. La madre Berthe-Adele, donna devota e forte di carattere era pronipote di Francois-Marie Arouet, meglio noto come Voltaire; il padre Emmanuel trasmise al figlio Pierre l’amore per la natura e l’impegno in campo naturalista. Nel 1892, all'età di undici anni, entrò in un collegio di gesuiti dove svolse gli studi letterari, filosofici e infine matematici fino all'anno 1899 allorché prese la decisione di entrare nel noviziato della Compagnia di Gesù, ad Aix-en-Provence.

Durante gli studi di teologia a Jersey, cominciò ad approfondire le  nuove scoperte della fisica; è di questo periodo la lettura de L’Evoluzione Creatrice di Bergson. La grande passione che avvertiva per la scienza, gli sembrò costituire un ostacolo alla propria vocazione sacerdotale; la crisi fu risolta ascoltando il maestro dei novizi che lo rassicurò: “Il Dio della Croce richiedeva a lui l’espansione naturale del suo essere, tanto quanto la sua santificazione”.

Dal 1905 al 1908 insegnò fisica e chimica nel collegio gesuita della Sacra Famiglia del Cairo. Qui la sua vocazione di paleontologo, di geologo e di naturalista  giunse a maturazione. A 30 anni, nel 1911 fu ordinato sacerdote ad Hasting, in Gran Bretagna. La sua inclinazione verso la paleontologia ricevette approvazione ufficiale quando i Superiori lo spinsero ad ottenere il dottorato di ricerca a Parigi. Si laureò  alla Sorbona in Scienze Naturali, facendo pratica presso il “ Museo nazionale di Storia Naturale” nel laboratorio di Marcelin Boule, paleontologo che aveva studiato il primo scheletro completo di Uomo di Neandertal.

Durante la Prima Guerra Mondiale fu mobilizzato in qualità di capo-barelliere, compito che svolse eroicamente, al punto da meritare la Medaglia al valore e la nomina a Cavaliere della Legion d’Onore. In questo periodo compose Scritti in tempo di guerra, una riflessione profonda sul dolore fisico e spirituale.

Dal 1920 al 1923 Teilhard insegnò geologia e paleontologia all’Istituto Cattolico di Parigi; nel 1923 fu inviato a Tien Tsin in Cina, dove partecipò ad importanti spedizioni e scoperte paleontologiche, che portarono nel 1929 alla scoperta del Sinantropo, l’Uomo di Pechino, risalente a più di 300.000 anni fa. Alla fine  del 1924 riprese l’insegnamento all’Istituto Cattolico di Parigi, tenendo con successo conferenze dirette agli allievi della Scuola Normale e del Politecnico.

Nello stesso anno, su invito di alcuni teologi di Lovanio, scrisse alcune pagine, sotto forma di ipotesi di lavoro, in cui sosteneva la necessità di trovare un’armonia tra il dogma del peccato originale e le nuove scoperte della paleontologia. Questi scritti arrivarono a Roma, dove le autorità ecclesiastiche ritennero che contraddicessero l'interpretazione ortodossa; in questa situazione i Superiori gli chiesero di abbandonare Parigi  e quindi di ritornare in Cina, dove resterà per 20 anni. La decisione fu accettata da Teilhard con profondo spirito di obbedienza, fedele alla vocazione ricevuta di figlio della Chiesa e gesuita.

Nel periodo trascorso in Cina, partecipò  in qualità di geologo, alla spedizione denominata “Crociera Gialla” finanziata dalla Citroën, con l’intento di attraversare l’Asia Centrale tra Beiruth e Pechino. Soggiornò inoltre in India, Birmania, Giava, con vari periodi di studio trascorsi negli Stati Uniti e in Somalia-Etiopia. Nel 1946 lasciò la Cina, all’alba della rivoluzione comunista di Mao.

Nel 1947 a Parigi fu colpito da infarto. Qui non gli fu permesso di pubblicare Il fenomeno umano, scritto tra il 1938 e il 1940: le sue idee evoluzionistiche erano troppo avanzate e il suo linguaggio mistico, a tratti impulsivo e poco chiaro per un lettore teologico, non favorì l’accettazione di vari aspetti del suo pensiero; i suoi superiori della Compagnia di Gesù, pur rispettando la sua attività scientifica, decisero di non impegnarsi in sua difesa. Gli fu chiesto di lasciare nuovamente Parigi e dal 1951 si stabilì definitivamente a New York, dove lavorò alla Wenner Gren Foundations for Anthropological Research, una fondazione di ricerche antropologiche per cui si recò due volte in Africa (Sud-Africa e Rodesia), nel 1951 e nel 1953. Nel 1950 fu nominato membro dell’Accademia delle Scienze di Parigi.

In diverse occasioni espresse il desiderio di morire il giorno della Risurrezione e il 10 aprile 1955, giorno di Pasqua, dopo avere assistito alla Messa solenne nella cattedrale di St. Patrik di New York, padre Teilhard de Chardin, morì colpito da un infarto.

Tra le sue opere più importanti ricordiamo La messa sul mondo (1923) L'energia umana (1937), Una interpretazione biologica plausibile della storia umana: la formazione della "noosfera" (1947), Il cuore della materia (1950), Il Fenomeno umano (pubblicato postumo nel 1955 scritto negli anni 1938-1940), L’apparizione dell’uomo (1956); Il posto dell’uomo nella natura (1956); L’ambiente divino (pubblicato nel 1957 ma scritto negli anni 1926-1927), L’avvenire dell’uomo (1959); L’energia umana (1962); Scienza e Cristo (1965).

L’uomo per Teilhard de Chardinè è la chiave dell’evoluzione dell’Universo e Cristo ne è il motore e il “punto omega” allo stesso tempo, a cui tende tutta l’Umanità e il Cosmo. Scrive ne Il fenomeno umano: “...mi pare di vedere che un senso e una linea di progresso esistano per la Vita , — senso e linea così ben definiti, che la loro realtà, ne sono convinto, sarà universalmente ammessa dalla Scienza di domani.”

Nel suo pensiero troviamo la ricerca di un nuovo linguaggio, capace di riconciliare i temi dell’evoluzione e della scienza con la fede cristiana (ricordiamo la creazione di neolgismi come noosfera). Eppure, proprio questo linguaggio innovativo diede origine a non pochi fraintendimenti.

Alcuni anni dopo la sua morte, nel 1962, un Monitum dell'allora Sant'Uffizio dichiarava in un breve comunicato (cfr. AAS 54 (1962), p. 526) che le opere del padre gesuita di natura filosofica e teologica, a differenza di quelle di carattere scientifico, contenevano ambiguità e gravi errori. Gli studi successivi del Cardinale H. de Lubac contribuirono a chiarire meglio il senso e la genuina interpretazione delle tesi di padre De Chardin. De Lubac pubblicò nel 1962 Il pensiero religioso di Teilhard de Chardin enel 1965 la corrispondenza, da lui commentata, tra Teilhard de Chardin e Blondel.

Accanto a questi studi non mancarono però voci autorevoli che continuavano a manifestare perplessità: «Non riesco a condividere la sua simpatia per il pensiero di Blondel e per quello di Teilhard de Chardin», scriveva il 21 giugno 1965 Étienne Gilson a Henri de Lubac (Lettres de monsieur Étienne Gilson au père de Lubac, Paris 1986, tr. it., Un dialogo fecondo. Lettere di Étienne Gilson a Henri de Lubac, Genova 1990, p. 61). Nonostante tutto le tesi e le ricerche del gesuita francese cominciarono ad essere oggetto di un crescente interesse.

Papa Paolo VI, nel 1966, in un discorso sulle relazioni fra scienza e fede, definì padre Teilhard de Chardin  uno scienziato che aveva saputo, scrutando la materia, trovare lo spirito, e che aveva dato una spiegazione dell'universo capace di rivelare in esso la presenza di Dio, la traccia di un Principio Intelligente e Creatore (cfr. Allocuzione , 24.2.1966, Insegnamenti , IV (1966), pp. 992-993). Più recentemente il card. segretario di Stato Agostino Casaroli, in una lettera del 12 maggio 1981 inviata dal a mons. Paul Poupard, Rettore dell' Institut Catholique di Parigi, a motivo del centenario della nascita del paleontologo francese, scriveva  che in lui «una forte intuizione poetica del valore profondo della natura, una acuta percezione del dinamismo della creazione e un'ampia visione del divenire del mondo si coniugano con un incontestabile fervore religioso».

Padre Teilhard de Chardin rimane un esempio di uomo di scienza e di fede impegnato coraggiosamente nella sua epoca. Le sue ricerche scientifiche non gli impedirono di essere nello stesso tempo un maestro spirituale capace di intuizioni folgoranti che rimarranno scolpite nella storia del pensiero umano: “In ciò che Egli ha di più vivo e di più incarnato, Dio non è lontano da noi, fuori della sfera tangibile; ma ci aspetta ad ogni istante nell'azione, nell'opera del momento. In qualche maniera, è sulla punta della mia penna, del mio piccone, del mio pennello, del mio ago, – del mio cuore, del mio pensiero. È portando sino all'ultima perfezione naturale il tratto, il colpo, il punto al quale mi sto dedicando, che coglierò la Meta ultima cui tende il mio volere profondo.”

Marco Crescenzi 

 Bibliografia:

Per la bibliografia, le opere di Teilhard e gli studi su di lui, si veda L. Galleni, Teilhard de Chardin, Pierre, in “Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede”, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana University Press - Città Nuova, Roma 2002, pp. 2111-2124.

In questo Portale, si veda lo speciale dedicato a Pierre Teilhard de Chardin nel 50° della sua morte, in archivio alla pagina http://www.disf.org/SpecialiInArchivio.asp.

 

 

 
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Post N° 125

Post n°125 pubblicato il 19 Novembre 2008 da bioantroponoosfera
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Essere fedeli alla terra per scoprire le  radici del sacro

     Dalla mistica di Teilhard de Chardin al pensiero «verde»

E' molto strano che in tempi in cui si parla molto di ecologia non si sia mai sentito l'esigenza  di rivalutare la figura del gesuita Pierre Teilhard de Chardin, il «cristiano fedele alla terra»  che, forse in anticipo sui tempi, propose una visione del mondo che si armonizzava  perfettamente con i principi del cristianesimo. Si parlò molto di Teilhard de Chardin negli  anni Sessanta, quando le sue idee erano considerate poco ortodosse e chi ha memoria di  quei tempi ricorderà la superficiale accusa di "panteismo" con la quale veniva definita laì  sua visione del mondo.

 Pochi mesi dopo la sua scomparsa, e quando ancora non erano state pubblicate tutte  sue opere, l'Università cattolica francese di Montreal in Canada aveva organizzato un pubblico incontro sul padre gesuita. Presentato come una «inchiesta obiettiva» sugli aspetti  teologici e scientifici del pensiero di Teilhard, l'incontro in realtà era stato preparato con lo  scopo di mettere in guardia la gente dal suo pensiero, tant'è che in quell'occasione un non  ben definito padre domenicano lanciò questo severo ammonimento: «Le sue paroleì  sontuose sono una trappola. State attenti a non cadervi».

 E probabilmente a causa di questo ostracismo, il pensiero di Teilhard stentò a diffondersi,  ma chi lo avvicinò leggendo in originale i suoi testi fondamentali (Le Phénomène Humain  e Le Milieu Divin) o qualche studio all'avanguardia comprese subito che ci si trovava di  fronte a un personaggio straordinario che in un certo senso portava avanti un discorso che armonizzava scienza e fede. E in tempi in cui la scienza cominciava ad affermarsi il  messaggio fu veramente straordinario.Teilhard de Chardin, però, nonostante le sue attenzioni verso la natura, fu anche un  profondo mistico e questo saggio di Ursula King dà la misura della sua spiritualità «profondamente radicata in una visione sacramentale del mondo» e alimentata «con la devozione e la pratica eucaristica». Il suo inoltre non fu un misticismo fine a se stesso e chiuso nell'universo della contemplazione, ma un misticismo che non perdeva mai i contatti  con la Terra.

 Secondo Teilhard tutto l'universo era «incendiato» dall'amore di Dio e quando l'uomo, con  l'aiuto di Dio, avrà catturato le energie dell'amore, potrà dire di avere scoperto per la  seconda volta il fuoco. E a questo proposito sono molto interessanti le pagine dedicate al simbolismo del fuoco, che per il gesuita «significava soprattutto il calore e lo splendore  dell'amore e della luce, l'energia per fondere e trasformare ogni cosa». 

 Centrale, nella visione di Teilhard, è il concetto del «Cristo cosmico», al quale rivolge  questa significativa preghiera: «Ormai, o Signore, ogni materia è fatta carne, mediante la  tua Incarnazione». L'incarnazione di Cristo, dunque, è estesa alle dimensioni del cosmo e si raggiunge Dio attraverso l'universo nel suo processo di sviluppo e di divenire.

 Le pagine di questo saggio aiutano a ricomporre la personalità di un grande pensatore  cristiano che ancora oggi sembra avere molto da dire. Alcuni aspetti della sua spiritualità, infatti, richiamano il confronto con gli «altri» e coi «diversi», secondo una visione  veramente ecumenica del messaggio cristiano.

Franco GABICI

(Recensione al volume di Ursula King: Cristo in tutte la cose, Ed. Messaggero di Padova)

Da: Avvenire 9 giugno 2001

 
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Post N° 126

Post n°126 pubblicato il 20 Novembre 2008 da bioantroponoosfera
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Teilhard de Chardin e l’evoluzione scientifica.

 Sul Messaggero Veneto del 5 settembre 2008 ho avuto l’opportunità di leggere l’articolo dal titolo: “L’Umanità, Darwin e il Neocreazionismo” a firma di Telmo Pievani.
Comprendendo la sua preoccupazione di una ricerca che resti di natura prettamente scientifica, il che io condivido laddove si parli di attività di ricerca, mi corre l’obbligo, però, di fare le seguenti puntualizzazioni:
Ciò che oggi chiamiamo “evoluzionismo” in generale, fa leva sulla fenomenologia correlata alla biosfera, alias mondo del vivente, e ciò a quanto già prima di Darwin veniva analizzato - vedesi Lamarck - per poter dare un significato interpretativo dell’apparizione della vita sulla terra.
Dopo Darwin si è quindi continuato alla luce delle sue precisazioni, per cui la fenomenologia umana è scientificamente studiata nell’ambito dell’antroposfera avendo però di mira la ricerca - e quindi la comprova della sua verità - di ulteriori anelli oggi mancanti e che servirebbero per attestare come indiscutibile una avvenuta evoluzione.
Conseguentemente anche la fenomenologia umana viene attentamente studiata nell’ambito dell’antroposfera e si stanno continuamente cercando ulteriori anelli mancanti dell’evoluzione.
Questo fatto è in sè positivo, ed è giusto che lo scienziato prosegua nella sua ricerca in modo “laico”, come sostiene l’articolista. Questo circoscritto campo conoscitivo, questo “a prescindere”, sopra ora precisati, però, ai fini di una conoscenza totalizzante, devono essere sì ammessi durante l’attività pratica di conoscenza scientifica, ma non deve essere impedito poi un loro rientro quando si vogliano trarre delle conclusioni sul senso della vita.
Questo per giungere poi agli schemi significativi sul senso dell’esistenza che logicamente sorgono sul terreno della ricerca ma superando quest’ultimo in uno sfocio “altro” per qualità e funzione.
Ecco, quindi, che io mi sento evoluzionista, ma nella linea indicata da Teilhard de Chardin il quale non intendeva essere, nell’approccio, né filosofo né teologo, ma un osservatore del “fenomeno”, un “fisico” nel senso dei greci.
Però, con i suoi scritti, ha indicato importanti orientamenti, conseguenti alle sue conclusioni fenomeniche, che finiscono con il dare un significato costruttivo e valutativo del fenomeno evoluzione. Questo, pertanto, non è, come si conclude dalle sue considerazioni dovuto ad una mano che ha acceso un pensiero, bensì ad un pensiero che ha mosso una mano.
A questo proposito è illuminante la sua teoria della complessità coscienza a cui giunge in base al suo metodo di analisi. Essa inizia, infatti, con gli elementi che costituiscono un corpo fisico inorganico, e poi allorché giunge al vivente, effettuando un cambiamento di variabile, - non potendo più constatare gli elementi fenomenici, fisici, dell’oggetto analizzato, imbocca come guida, per fedeltà sempre a un’analisi fenomenica, la considerazione nel vivente della formazione dei sistemi nervosi, via via sempre più complessi, e la cui più alta complessità si realizza nel fenomeno umano.
Pertanto la sua teoria della complessità-coscienza, ci porta a constatare, sempre sulla falsariga della sua visione del mondo, il fatto che l’evoluzione, dal BigBang sino ai nostri giorni, è strettamente correlata al fenomeno della complessità di ogni forma di vita:
dalla cosmosfera disorganizzata emerge la biosfera che pullula di centri dinamici organizzati tendenti all’autonomia.
Gli animali più evoluti possiedono un cervello sempre più complesso e, riprendendo in considerazione il cervello dell’uomo cui sopra ho accennato, la neurofisiologia rileva tre strati che l’evoluzionismo dimostra in stretta correlazione ed interazione tra di essi.
La corteccia cerebrale, la quale è emergente e più complessa, avvolge le altre due masse cerebrali ed è quella più significativa per lo sviluppo della coscienza - nel senso di una consapevolezza crescente della specie umana a differenza delle altre specie viventi, non umane, che sono fissate ormai in forme inamovibili e quindi in una dimensione statica -.
Anche la società rispecchia questa tridimensionalità. Partendo dalle società più primitive fino al giorno d’oggi, infatti, notiamo che è rispettata la famosa legge della complessità-coscienza, per cui l’umanità si sta sempre più coscientizzando, non nel senso morale ma di aumento di autoconsapevolezza, anche attraverso gli errori. E lo sviluppo tecnologico, nota molto moderna, costituisce un’evidente esternazione di un’avvenuta, e tuttora in divenire, prosecuzione dello sviluppo del sistema nervoso, quasi un prolungamento del corpo umano. L’ominizzazione evoluzionistica “teilhardiana” compie un salto di qualità verso l’umanizzazione. E con coerenza.
Tanto più che l’uomo odierno si sta chiedendo con insistenza per poter rivivere una condizione di salute psico-fisica, quale sia lo scopo della sua esistenza.
Ed una risposta a ciò la darebbe Teilhard de Chardin proprio con le sue precisazioni evoluzionistiche centrate e discendenti su un processo cosciente che conduce gradualmente verso una maggiore autocoscienza - legge di complessità coscienza -, ridando un’armonica conclusione al faticoso farsi della cosmogenesi, perchè, in prospettiva, vede un possibile ricongiungimento tra scienza e fede. In convergenza con quanto sto affermando, sono significative le seguenti parole di Teodosius Dobzanski nel suo scientifico libro “L’evoluzione della specie umana, ed. Einaudi, 1965, 2°ed.”.
L’autore vede che Teilhard nulla toglie al suo lavoro argomentativamente circoscritto di, giustamente, “asettico ricercatore”; infatti, in chiusura del suo studio scientifico egli scrive:
“Teilhard de Chardin vedeva che l’evoluzione della materia, della vita e dell’uomo sono integrali di un unico processo di sviluppo cosmico, di un’unica storia coerente di tutto l’universo.
I suoi grandiosi concetti non sono dimostrabili per mezzo di fatti scientificamente stabiliti: trascendono l’insieme della nostra conoscenza; basta che la conoscenza non li contraddica. Pertanto l’idea evoluzionista di Teilhard de Chardin giunge come un raggio di speranza: essa risponde alle esigenze del nostro tempo, poiché “l’uomo non è il centro dell’Universo come ingenuamente si credeva nel passato, ma è qualche cosa di molto più bello: è la freccia ascendente della grande sintesi biologica, è l’ultimo, il più acuto, il più complesso, il più raffinato degli strati successivi della vita”.


Pier Angelo Piai

 
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Post N° 127

Post n°127 pubblicato il 28 Novembre 2008 da bioantroponoosfera
Foto di bioantroponoosfera

PIERRE TEILHARD DE CHARDIN

Chardin nasce a Sarcenat (Alvernia) nel 1881. Muore a New York nel 1955. Scienziato (paleontologo e geologo) , filosofo e teologo francese. Entrò nella Compagnia di Gesù nel 1899. Partecipò a spedizioni scientifiche importanti tra le quali quella in Cina del 1926 che portò alla scoperta del discusso sinantropo, l'ominide fossile vissuto nel Pleistocene medio (200-300.000 anni fa). Ampliò il campo della sua ricerca scientifica al dibattito cosmologico e teologico e ciò lo rese inviso agli ambienti ufficiali della chiesa cattolica. Tra le sue opere (tutte postume), meritano di essere menzionate: "

Il fenomeno umano " (1955), " La comparsa dell'uomo " (1956), " La visione del passato " 1957), " L'ambiente divino " (1957), " L'avvenire dell'uomo " (1959). A cavallo tra Ottocento e Novecento un cattolico, Teilhard de Chardin, interpreta la prospettiva evoluzionistica avanzatada Darwin come processo non già privo di finalità specifiche, bensì governato da Dio, dando vita ad una specie di "evoluzionismo finalistico" che però non fu accettato dalla Chiesa (che anzi lo condannò severamente). Sarà invece Bergson ad accettare (con il concetto di "evoluzione creatrice") l'evoluzionismo e a depurarlo dagli elementi di meccanicismo e anche da quelli finalistici. Il pensiero di Teilhard de Chardin matura in un periodo di grande fermento scientifico in cui gli studiosi umanisti da un lato s'interrogano sul futuro della civiltà occidentale (Toynbee, Fourastier, Jaspers ecc) , il positivismo va in crisi e i fisici teorici fanno saltare le classiche sicurezze nei confronti della "realtà" aprendo il varco allo sgomento umano verso un universo che appare sempre più paradossale. Dopo aver citato le opere di Eddington, di Sir J. Huxley e di Ch. Galton-Darwin, Teilhard si meraviglia nel notare la debolezza delle basi su cui vengono fatte poggiare le loro anticipazioni del futuro. Egli cerca serie "estrapolazioni", primo passo verso una vera "scienza dell'avvenire". Alla concezione materialistica del darwinismo e del positivismo, egli oppose una cosmologia che assumeva sì il principio dell'evoluzione, anzi lo estendeva alla realtà spirituale, ma non sottoposta al puro determinismo e al puro materialismo. L'universo (verso l'uno) è la storia di un movimento globale del cosmo: il cosmo si è mosso, una volta, tutto intero, non soltanto "localiter" ma "entitative". E si muove ancora. La natura è "divenire", è "farsi". Il suo movimento passato è l'evoluzione fin qua, è la sua storia che si lascia ordinare in una progressione di forme sempre più complesse e perfezionate. Anche lo psichismo più elevato che conosciamo, l'anima umana, non sfugge a questa legge comune a tutte le cose. Ma, si chiede Teilhard, quale può essere il motore profondo dell'intera ascesa delle forme di vita? Teilhard rileva che la trasformazione morfologica degli esseri pare essersi rallentata proprio quando sulla Terra il pensiero faceva la sua comparsa. Considerando questa coincidenza insieme al fatto che l'unica direzione costante seguita dall'evoluzione biologica è stata quella del più grande cervello, ovvero della maggior coscienza, egli risponde  alla sua stessa domanda ipotizzando che forse il motore dell'evoluzione è stato il "bisogno" di pensare, di conoscere. L'evoluzione pare dunque essersi "fermata" quanto a nuovi esseri e nuove forme. Ciò significa che avendo prodotto l'organo del pensiero (per l'appunto la coscienza) l'evoluzione procederà solo se la coscienza medesima, nell'uomo, svilupperà se stessa giungendo a percepirsi come ente universale responsabile di un movimento che non sarà più, come per il passato, tutt'uno con la trasformazione delle forme materiali, ma tutt'uno con il movimento autocosciente del pensiero. E poichè è l'uomo il veicolo ed il portatore di questa conquista universale che è costato al cosmo miliardi di anni di lavoro, è solo se l'uomo dirà sì al suo compito e alla sua responsabilità universale che l'evoluzione potrà proseguire. Perchè ciò accada è necessario che l'uomo si renda conto del valore biologico (morfogenetico) dell'azione morale e che ammetta la natura organica dei legami interindividuali. Teilhard legge anche la storia della coscienza e ancora una volta proprio nel movimento della coscienza fino ad oggi trova motivo di fede nell'avvenire dell'uomo e dell'universo: l'uomo d'oggi porta in sè, tra gli altri, Platone e Agostino ma mentre loro credevano in coscienza d'impegnare, attraverso l'esercizio del proprio pensiero e della propria libertà, una piccolissima parte di mondo quanto a spazio e durata, oggi un uomo che agisca alla massima coscienza possibile sa che la sua scelta ha una ripercussione su miriadi di secoli e di esseri viventi. Sente in se stesso le responsabilità e la forza di un Universo intero. Vi è un'azione umana che matura a poco a poco sotto la moltitudine degli atti individuali. La monade umana è da tempo costituita. Quella che si sviluppa è l'animazione (l'assimilazione) dell'universo da parte della monade, la realizzazione cioè di un pensiero umano consumato. Il secondo punto da rilevare è che rispetto agli avi, l'uomo di oggi può agevolmente farsi cosciente dei legami con i suoi simili e con la natura, e la sua coscientizzazione allarga la sua stessa personalità e il suo corpo reale: " i nostri padri si consideravano come interamente contenuti nei limiti dei loro anni terrestri e del loro corpo. Noi abbiamo fatto esplodere queste dimensioni ristrette e queste pretese. Umiliati e ingranditi dalle nostre scoperte, noi ci accorgiamo, a poco a poco, di essere avvolti in prolungamenti immensi; e, come risvegliati da un sogno, ci rendiamo conto che la nostra regalità sta nel servire, quali atomi intelligenti, l'opera in corso nell'universo ". La materia, secondo Teilhard, porta fin dalla sua origine la "coscienza" come principio organizzativo sicchè l'evoluzione non è processo deterministico, ma anche teleologico. L'evoluzione dalla pre-vita (mondo inorganico) alla vita ("biosfera") tende alla produzione del mondo dell'uomo e del pensiero ("noosfera") , come al suo culmine. L'uomo non è però il punto finale: l'universo e l'uomo tendono a un punto Omega: il Cristo cosmico, punto di aggregazione di tutta l'umanità. " Sarà l'opzione finale: un mondo che si ribella o un mondo che adora. Allora, su un atto che compendierà il lavoro dei secoli, su un atto (finalmente e per la prima volta totalmente umano), la giustizia passerà e tutte le cose saranno rinnovate ". 

PROF. FRANCO FRANCESCHINI

E-mail: franceschini@ilpensierovivo.org 

Sito web: www.incattedracongesu.it

 
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Post N° 128

Post n°128 pubblicato il 28 Novembre 2008 da bioantroponoosfera
Foto di bioantroponoosfera

PIERRE TEILHARD DE CHARDIN

 

 “Chiedersi se l’universo si sviluppa ancora significa decidere se lo spirito umano è, o non è, tuttora in corso di evoluzione. Ora, a questa domanda io rispondo senza alcuna esitazione: sì”.

Teilhard de Chardin (1881 - 1955), fu uno studioso con una personalità straordinariamente ricca: scienziato (geologo e paleontologo), filosofo, teologo e mistico, cercò di conciliare le sue due anime di scienziato e di uomo di fede. Come cattolico si confrontò con la teoria evoluzionistica di Darwin, interpretandola non come processo casuale, cioè privo di finalità specifiche, ma governato da Dio, dando vita ad una specie di “evoluzionismo finalistico” che venne condannato dalla Chiesa ufficiale. 

Il pensiero di Teilhard de Chardin matura a cavallo tra ottocento e novecento, in un periodo di grande fermento scientifico in cui gli studiosi umanisti s’interrogano sul futuro della civiltà occidentale, il positivismo va in crisi e i fisici teorici fanno scoperte tali da far saltare le sicurezze nei confronti della “realtà” come fino ad allora era concepita. Alla concezione materialistica del darwinismo e del positivismo, egli oppose una cosmologia che assumeva il “principio dell’evoluzione”,  ma lo estendeva alla realtà spirituale.

L’universo è tutto e sempre in movimento,  ha impiegato miliardi e miliardi di anni per produrre la vita e poi il pensiero e la natura ancora oggi è “divenire”, è “un farsi”. Anche lo psichismo più elevato che conosciamo, l’anima umana, non sfugge a questa legge comune a tutte le cose. Ma, si chiede Teilhard, quale può essere la spinta profonda dell’intera ascesa delle forme di vita? Egli rileva che la trasformazione morfologica degli esseri pare essersi rallentata proprio quando sulla Terra il pensiero faceva la sua comparsa. Questa considerazione, unita al fatto che l’unica direzione costante seguita dall’evoluzione biologica è stata quella del più grande cervello, ossia della maggior coscienza, gli fa ipotizzare che forse il motore dell’evoluzione è stato il “bisogno” di pensare, di conoscere. L’evoluzione pare dunque essersi fermata in quanto a nuovi esseri e nuove forme. Ciò significa che avendo prodotto l’organo del pensiero (la coscienza), l’evoluzione procederà solo se la coscienza stessa, nell’uomo, svilupperà se stessa giungendo a percepirsi come ente universale responsabile di un movimento che non sarà più, come in passato, tutt’uno con la trasformazione delle forme materiali, ma tutt’uno con il movimento autocosciente del pensiero. E poichè è l’uomo il veicolo ed il portatore di questa conquista universale che è costata al cosmo miliardi di anni di lavoro, è solo se l’uomo dirà sì al suo compito e alla sua responsabilità universale che l’evoluzione potrà proseguire. Affinchè ciò accada è necessario che l’uomo si renda conto del valore biologico dell’azione morale e della natura organica dei legami interpersonali. La materia, secondo Teilhard, ha in sè, fin dalla sua origine la “coscienza” come principio organizzativo, quindi l’evoluzione non è solo processo deterministico, ma anche teleologico. L’evoluzione dalla pre-vita (mondo inorganico) alla vita (biosfera) tende alla produzione del mondo dell’uomo e del pensiero (noosfera), come suo culmine.

L’uomo, però, non è il punto finale: l’universo e l’uomo tendono a un punto Omega. Per il cristiano è il Cristo cosmico, punto di unione di tutta l’umanità. A questo punto lo scienziato e il filosofo lasciano posto all’uomo di fede, al mistico, che contempla il mistero di Cristo nella creazione. La sintesi del suo pensiero si manifesta non in un banale panteismo,, ma in uno sguardo di fede, capace di “vedere Dio in tutte le cose... Senza mescolarsi nè confondersi con l’universo, Dio, il vero Dio cristiano, lo invaderà sotto i vostri occhi” (L’ambiente divino, Il Saggiatore, p.24). Si comprende, a questo punto, la dinamica fondamentale dell’evoluzione dell’universo, nelle varie tappe, finalizzate alla nascita del cosmo, della vita, del pensiero e di Cristo: cosmogenesi, biogenesi, noogenesi, cristogenesi.

Teilhard de Chardin è un evoluzionista ottimista. Egli non ignora la sofferenza presente nella realtà, il suo è l’ottimismo della fede, ma “credere non è vedere. Quanto ogni altro, io cammino nelle ombre della fede...no, Dio non si nasconde, ne sono sicuro, perchè noi lo si cerchi, così come permette che noi soffriamo, ma non per aumentare i nostri meriti. Al contrario, chino sulla creazione che sale verso di Lui, egli lavora con tutte le sue forze per beatificarla e illuminarla...Ma i nostri occhi non possono ancora percepirlo...Il Regno di Dio è dentro di noi. Quando il Cristo apparirà non farà che manifestare una metamorfosi lentamente compiutasi, sotto il suo influsso, nel cuore della massa umana” (L’ambiente divino, p.158).

 

Bibliografia

Le opere finora pubblicate sono più di venti. Tra i titoli più significativi ricordiamo: La vita cosmica, Il Cristo nella materia, Cristologia e evoluzione, Il fenomeno umano, L’ambiente divino, L’apparizione dell’uomo, L’avvenire dell’uomo, Scienza e Cristo.

Indice cultura                 

Questo testo : Evoluzionismo della mente umana: riflettendo con Pierre Teilhard de Chardin è tratto da INSIEME...IN VIAGGIO, periodico  della Commissione cultura del secondo circolo di Alba - Giugno 2006

www.secondocircoloalba.it 

 

 
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RIFLESSIONI TEILHARDIANE

"  La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto.  Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori?  Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva.  E' una distinzione illusoria.  La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente,  la Verità "   

                                                                                                                                                          

 

" Senza che si possa dire per ora in quali termini esatti, ma senza che vanga perduto un solo frammento del dato, sia rivelato che definitivamente dimostrato, sul problema scottante delle origini umane, l'accordo si farà senza sforzo, a poco a poco, tra la Scienza e il Dogma.  Intanto, evitiamo di respingere anche il minimo raggio di luce, sia da una parte che dall'altra.  La fede ha bisogno di tutta la verità". (da Les Hommes fossiles, marzo 1921) 
 
" Inventariare tutto, provare tutto, capire tutto. Ciò che è in alto, più lontano di quanto è respirabile, e  ciò che è in basso, più profondo della luce.  Ciò che si perde nelle distanze siderali, e ciò che si dissimula sotto gli elementi... Il sole si alza in avanti... Il Passato è una cosa superata...  La sola scoperta degna dei nostri sforzi è come costruire l'Avvenire". (La découverte du passé, 5 settembre 1935)
 

"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.

Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno...  Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)

 
"  Chiniamoci dunque con rispetto sotto il soffio che gonfia i nostri cuori per le ansie e le gioie di "tutto tentare e di tutto trovare".  L'onda  che sentiamo passare non si è formata in noi stessi.  Essa giunge a noi da molto lontano, partita contemporaneamente alla luce delle prime stelle.  Essa ci raggiunge dopo aver creato tutto lungo il suo cammino.  Lo spirito di ricerca e di conquista è l'anima permanente dell'Evoluzione" (Il Fenomeno Umano 1940)
 

" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando...  E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto...  Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro.  Manovra impossibile e fatale.  La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide.  Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936) 

 
" L'Energia diventa Presenza...  Sembrerebbe che un solo  raggio di una tale luce, cadendo come una scintilla in qualsiasi punto della Noosfera, dovesse provocare un'esplosione abbastanza forte da incendiare e rinnovare quasi di colpo la faccia della Terra. Allora, come è possibile che, guardando attorno a me, è ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io mi trovi pressochè solo della mia specie?  Solo ad aver "visto"?...  Incapace, quindi, quando me lo si chiede, di citare un solo autore, un solo testo, in cui si riconosca, chiaramente espressa, la meravigliosa "Diafania" che, per il mio sguardo, ha trasfigurato tutto ?"  (Le Christique, marzo 1955) 
 
....IN QUESTA APERTURA VERSO QUALCHE COSA CHE SFUGGE ALLA MORTE TOTALE, L'EVOLUZIONE E' LA MANO DI DIO CHE CI RICONDUCE A  LUI . ( La Biologie, poussee à fond,peut-elle nous  conduire à èmerger dans le transcendant?  Maggio 1951)
 

Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio.  "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)

 

" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.

Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.

Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?

Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)

 

" Nel Cuore della Materia.

   Un Cuore del  Mondo,

    Il Cuore d' un Dio"

        (da Le  Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)

 
" Nella peggiore delle ipotesi, se ogni possibilità futura di parlare e di scrivere si chiudesse davanti a me, mi rimarrebbe, con l'aiuto di Gesù, quella di compiere questo gesto, affermazione e somma testimonianza della mia fede: scomparire,m inabissarmi in uno spirito di Suprema Comunione con le forze  cristiche  dell'Evoluzione  (da Note di esercizi spirituali, 22 ottobre 1945) 
 
 
 

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