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La siesta

Post n°19 pubblicato il 17 Gennaio 2009 da garfield007

Sono stato colto in alcuni momenti, durante questa settimana, da attimi di inusitato ottimismo e buonismo, sprazzi di lucida, rilassante e sconosciuta leggerezza, e imprevedibile pace col mondo, simile a un animatore sfigato del grest da parrocchia di provincia il sabato pomeriggio che si spreme i brufoli in fronte. La cosa potrebbe sembrare odiosa - obiettivamente lo è -, ma lavorando si ha tempo per pensare (come in carcere), e ho realizzato il fatto di essere dall'altra parte del mondo da due mesi e mezzo, e di poterci momentaneamente restare, in uno stato di assoluta libertà, senza dover rendere conto a nessuno delle mie scelte, delle mie azioni, o delle mie decisioni. Vuoi vedere, mi sono detto, che aveva ragione Fabio Volo. No, non Nietsche, non Kant, non Platone, non Aristotele, non Kierkegaard, ma Fabio Volo, con la sua ruffiana filosofia spicciola, quando alla radio diceva che bisognerebbe guardarsi allo specchio e chiedersi se si sta bene dove si sta, e, se la risposta è negativa, è necessario cambiare qualcosa. Io ora posso dire, se non di essere felice, (credo sia una parola e uno stato che non mi competono, per un'inguaribile e ansiosa insoddisfazione cronica), di essere quanto meno (relativamente) sereno, o in pace con me stesso. Per essere andato via da una situazione (personale, di lavoro, geo-politica) che non sopportavo più. E ora magari non farò il lavoro più bello del mondo, non avrò una vita sociale sfrenata, non dico di essere in paradiso, non credo mi fermerò oltre l'anno del visto, e anche dall'altra parte del mondo devo convivere con me stesso perché in una dimensione metafisica non posso restare (e lì il cibo non è gran che), ma almeno sono moderatamente sereno. E spero di non dovermi ricredere presto.

Il lavoro, come dicevo, non è il più bello del mondo, è un po' ripetitivo e noioso, non mi alzo la mattina dicendo a me stesso, ma guarda che meravigliosa giornata per andare a raccogliere e spostare chiavi in un magazzino, però mi permette, con una paga settimanale, di rimanere dove sono. Non so se sono stato fortunato e sono capitato in un'isola felice, ma devo dire che nell'azienda dove lavoro i superiori, per il momento (spero di non dovermi ricredere anche qui), sono dotati di cristallina coerenza, inoppugnabile logica, e disarmante disponibilità - tutte cose che in Italia non avevo mai incontrato su un luogo di lavoro. Lavori per i soldi, non per un ideale, non per il bene dell'umanità, loro lo sanno, e fanno il possibile per rendere la cosa il più semplice e gradevole possibile. Le persone che lavorano per questo distributore di chiavi australiano sono tutte decisamente piacevoli e simpatiche, anche se a volte può risultare difficile comprendere l'aussie slang, una pronuncia pigra e che taglia le parole - come la definisce il mio superiore, di Birmingham, che ammette a volte di faticare anche lui a capire dopo anni.

Questa settimana ci sono stati un paio di giorni di caldo vero, decisamente estivo, che molto probabilmente resterà costante nelle prossime settimane. Per ora è possibile che un giorno ci siano trentanove gradi, e il giorno dopo ventidue, e tu debba uscire di casa con la felpa. Come descrivere il caldo qui. Diciamo che è come se ci fosse un enorme asciugacapelli acceso da una parte, e un'enorme stufa elettrica accesa dall'altra, e che il tutto si trovi dentro un adeguatamente enorme forno acceso a duecentocinquanta gradi per scaldare un tacchino ripieno ad Adis Abeba il giorno di ferragosto quando hai trentanove di febbre. Ecco com'è più o meno.

Devo comunque ammettere, nonostante la sopra citata sensazione di libertà e serenità dettate dal luogo, che Melbourne, o l'Australia in generale, non mi hanno conquistato fino in fondo, e hic et nunc non credo di fermarmi oltre la durata del visto, perché gradirei rimettere piede in Europa. Nonostante i molti punti positivi a favore del lavoro e della qualità di vita, qualche segno della crisi internazionale si sente anche qui. I giornali parlano di un calo delle assunzioni e di un aumento della disoccupazione, con una conseguente riduzione dei consumi. Fortuna che qualche settimana fa è arrivata qui Paris Hilton a fare shopping dichiarando di aver dato una spinta all'economia, e che è stato un piacere aver dato una mano a chi ha bisogno. I giornali riportano spesso notizie di questo tipo, un po' ridicole. Questa settimana reclamavano la testa del Ministro dei Trasporti perché un giorno qualche treno è stato soppresso per cause tecniche, causando binari affollati e ritardi, mentre lei (il Ministro, intendo) è stata accusata di non utilizzare mai i mezzi pubblici, ma solo le auto con autista. Mi chiedo in Italia cosa dovrebbe succedere visto che è all'ordine del giorno che i treni siano soppressi, in ritardo o non funzionino, e gli sprechi per le auto blu. Mi chiedo quante teste dovrebbero rotolare in proporzione. I guasti tecnici erano dovuti all'aria condizionata deficitaria, e all'eccessivo caldo che ha fatto, tra l'altro, gonfiare i binari in legno che quindi andrebbero sostituiti con altro materiale. Ma io mi chiedo, è una novità che in estate in Australia faccia caldo? Nessuno se n'è mai accorto? Solo nel gennaio duemilanove hanno detto, ma porca di quella miseria, hai visto che il caldo ha dilatato il legno dei binari? No, fa vedere! Altra notizia: due ragazzi sono morti in un dirupo, e la società di autonoleggio che ha affittato loro l'auto ha chiesto il risarcimento alla famiglia per la perdita della chiave e per i giorni di utilizzo dell'auto, replicando, a chi li accusava di essere senza cuore, di gestire un business. Stessa cosa hanno fatto i gestori dell'albergo dove gli sfortunati ragazzi alloggiavano.

Ho trovato più di una persona, da quando sono qui, che mi chiede se è vero che in Italia il pomeriggio facciamo la siesta. Ho poco da spiegare che la parola è spagnola, che città come Milano o Roma sono più caotiche di Melbourne, che è possibile che qualche anziano di pomeriggio vada a dormire, d'accordo, ma che non è uno sport nazionale. Pare invece che in Italia si faccia tutti un riposino dopo mangiato. Ma da dove viene questa teoria? Da qualche film? C'è qualche pellicola neorealista dove tutti dormono dopo mangiato? Io ricordo la Magnani uccisa per strada dai nazisti, non la Magnani che va a dormire dopo pranzo. Io ricordo un uomo che deve rubare una bicicletta per poter lavorare, non che dice, beh, che me frega, tanto il pomeriggio vado a dormi'.

Altro nome ricorrente quando mi chiedono della situazione italiana e io tento di descrivere la crisi (non solo l'appendice di quella internazionale, ma l'entropia interna) e che viene associato direttamente alla corruzione (mi chiedo come mai) è quello di B...oni. L'altra mattina stavo aspettando l'autobus per andare alla stazione dei treni, e una signora mi ha chiesto l'ora. Mezzo addormentato come sono sempre di mattina, per almeno due ore, ho risposto una cosa per un'altra. Quando mi ha chiesto di dov'ero, e mi ha fatto delle domande, e io nell'ebrezza ipnotica ho parlato delle difficoltà di lavorare in Italia e della crisi economica e sociale, lei ha subito fatto quel nome, chiedendomi come la gente possa ancora votarlo, come possa non capire (non è stata la sola a dire queste cose). Cosa potevo rispondere? Che non lo so. Che è un mistero imponderabile. Che è come capire la composizione di un buco nero. Con la sensazione di disagio di un emigrato che viene da un paese arretrato e terzomondista.

Il viaggio della mattina in treno è un'esperienza quasi extracorporea, come qualche anno fa quando prendevo un treno per andare a Bologna alle cinque del mattino, con le prostitute che rincasavano, e venivo folgorato da grandiose idee per grandiosi film. Qui ovviamente non parto così presto, ma sono avvolto da quella stessa sonnolenza onirica che mi detta meravigliose e poetiche fantasie prima che mi accorga che così liriche poi non sono. Come racconta Hitchcock nell'intervista a Truffaut, c'era uno sceneggiatore che ogni notte sosteneva di avere idee geniali prima di addormentarsi, ma di non riuscire mai a ricordarle. Così una notte prese carta e penna, li lasciò sul comodino, e come ogni sera venne colto dal lampo di genio, scrisse l'idea e si addormentò soddisfatto. Quando si svegliò il giorno dopo lo lesse. Diceva: "Lui e lei si amano". Quindi anche le mie idee per alcune toccanti sequenze di film dettate dal torpore del mattino non sono gran cosa, ma si mescolano spesso con visioni di ragazze carine che leggono un libro sul treno, e con le quali mi trovo immediatamente in una stanza inondata dal sole del mattino a fare colazione (continentale) sopra le lenzuola disfatte, prima di arrivare alla mia fermata con la stessa fastidiosa sensazione delle luci che si riaccendono nella sala cinematografica.

Credo di essere passato da una predilezione per le bionde a una predilezione per le brune. Ma non per quello che sto per raccontare. Oggi sono entrato in un negozio di vestiti dove avevo adocchiato un paio di camice e dei pantaloni. La commessa sapeva decisamente fare il suo mestiere. Non sapendo la mia taglia australiana mi ha misurato il giro vita, e poi mi ha mostrato un paio di pantaloni che era il suo preferito, ma non c'era la mia misura, poi un altro paio che era il suo preferito, ma non piaceva a me, però l'ho provato lo stesso visto che mi ha chiesto di provarli per lei. Ero a un passo dal comprarli come un perfetto idiota, ma poi ho detto no, non mi piacciono, e ne ho trovato un paio che mi andavano bene, come modello e come misura, anche se non erano i suoi preferiti. Per le camice non ci sono stati problemi (i miei colori variano dal bianco al nero, passando per il grigio). Poi ho adocchiato le cravatte. Questa è la mia preferita, ha detto appoggiandosela al collo e lasciandola ricadere sulla scollatura. Oh sì, ho risposto io, questa è davvero perfetta. Ma non prenderla se non ti piace, mi ha detto. No, no, va benissimo. Per fortuna c'erano i saldi, una camicia era a metà prezzo e i pantaloni anche. Quando si è accorta che i pantaloni erano a metà prezzo mi ha detto che era la mia giornata fortunata, e se fossi stato Humphry Bogart avrei dovuto risponderle che sarebbe stata ancora più fortunata se quella sera fossimo usciti a cena, pupa. Ma non ho detto niente, solo meglio così. Questo comunque dovrebbe farmi riflettere freudianamente sul mio stato ormonale.

Se anche voi dovete dimenticare Parigi (cfr. Humphry e Ingrid in Casablanca), consultate Duemiladucentodiciotto, il romanzo dello sceneggiatore sfigato di Hitchcock, Davide De Lucca.

 
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