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Sul rombo dei ricordi

Q

uella strada che s’inerpicava per salire al passo montano, mi dava un’ebbrezza particolare in quel mattino. Il pensiero rivolto alla meta che avrei raggiunto, l’incontro con gli amici, il rivedere luoghi che conosco, oserei dire da sempre, il sapore di cibi inusuali, i paesaggi grandiosi e familiari che permettono allo sguardo di vagare lontano, la neve che già immaginavo di sentir gemere sotto i miei sci nel momento in cui la si attacca di spigolo per una stretta curva, così come lo stridio delle gomme della mia auto mentre affrontavo le strette curve dei tornanti che salivano al passo.
Mi sentivo in quel momento un novello Manuel Fangio.

Ero partito al mattino presto, quel giorno, ed ero felice. Felice perché la giornata era serena, felice di scrollarmi di dosso i pensieri, le noie quotidiane, felice di sentire il cuore leggero.
Ma ero felice soprattutto perché, per la prima volta, apprezzavo i vantaggi della mia automobile.
Mentalmente avevo rifatto l’elenco delle cose da portare: gli sci, i bastoncini, gli scarponi, l’abbigliamento d’alta montagna, i guanti, gli occhiali d’alta quota, il berretto di lana, la fisarmonica...
Una sola cosa mi dava fastidio: alla velocità massima di 90 all’ora si sentiva il frusciare del vento causato degli sci sul tetto dell’automobile, anche se li avevo affrancati con le punte ricurve all’indietro per meglio fendere l’aria.
Ma la mia auto obbediva prontamente ai miei comandi. In prossimità della curva, premevo la frizione, un colpo deciso di acceleratore per aumentare i giri del generoso motore e scalavo le marce senza neppure grattare, una sterzata e ancora un colpo di acceleratore per evitare il sottosterzo e via per il breve tratto diritto che precedeva la curva successiva.
Un abile gioco di piedi, un orecchio che riusciva quasi a contare i giri del motore…. la conoscenza profonda dell’automezzo.
L’avevo acquistata di seconda mano pochi mesi dopo che avevo preso la patente, ed ero l’unico in famiglia che sapesse guidare.
Porte ad apertura controvento, deflettori sui finestrini anteriori, pomello rotondo sul cambio e levetta per le frecce. Una levetta per l’avviamento ed una per lo starter se all’avviamento faceva freddo, dinamo della Magneti Marelli, interruttore delle luci: questa la dotazione di serie.
Ma quel giorno la mia Seicento brillava in modo particolare perché le avevo dato la cera prima di partire e soprattutto per i due ganci di gomma che tenevano ben chiuso il portabagagli. Ganci che facevano molto Abarth, così come il dispositivo che teneva aperto il cofano motore per un miglior raffreddamento. Già da allora avevo anche la cintura di sicurezza che mi faceva sentire ancor più pilota. Stonava quel porta-sci sul tetto, ma non potevo fare diversamente: nel bagagliaio proprio non entravano e neppure potevo metterli sul cofano motore. Avrebbero si fatto più MG, ma avrei dovuto rinunciare alla fessura per un miglior raffreddamento.

Lavoravo a quel tempo presso una raffineria di oli minerali in qualità di analista. Indossavo il camice bianco, avevo la qualifica di impiegato e avevo la Seicento.
Un po’ come uno che sa appena leggere e scrivere in mezzo ad analfabeti, tra i miei colleghi di lavoro, che avevano figlie in età da marito, ero considerato come un babà.
«l’è un impiegàa e ‘l g’ha la sescent!» - erano le voci che ricorrevano su di me.
Con la Seicento arrivavo alle feste casarecce che organizzavano per farmi conoscere or questa or quella delle loro figlie, e si ballava al suono del mangiadischi.

In virtù del fatto che lavorassi in un laboratorio chimico, preparavo l’olio necessario per la mia Seicento.



Olio col più alto indice di viscosità, opportunamente additivato per farlo diventare, a secondo del volgere del tempo, SAE-10, SAE-20, SAE-30, o Multistagione. Due gocce di silicone per evitare la schiuma, un pizzico di additivo per aumentare il punto di congelamento, un altro pizzico di additivo per innalzare il punto di fiamma, non prima di averlo raffinato una seconda volta con acido persolforico, separazione della melma acida, neutralizzazione con soda caustica e molteplici lavaggi con acqua e successiva decantazione. Analisi finale per accertare il grado di acidità o di alcalinità per mezzo della fenolftaleina, viscosità Engler a 50°, punto di congelamento, punto di fiamma.
Praticamente alla mia Seicento cambiavo l’olio almeno una volta alla settimana, dopo aver fatto girare il motore, per alcuni minuti, con olio fluido di lavaggio (della miglior produzione).
E per cambiar l’olio bastava sollevarla col crick, stendersi sotto, svitare con una chiave inglese il tappo calamitato, e velocemente mettere sotto un recipiente basso per raccogliere sia il tappo che l’olio.

Ma la volta che avevo dimenticato di innestare la prima e tirare il freno a mano, svitando il tappo la Seicento si era mossa e, piegando il crick a manovella, mi era finita addosso. Ed ero rimasto sotto, col peso che in parte gravava sulle ruote, ma che in parte gravava sul mio torace e mi impediva di respirare, per un paio d’ore fino al giungere dei soccorsi.
Da quel giorno decisi che avrei costruito una buca in garage per evitare simili pericoli. Bastava calarsi nella buca, tirare l’auto sopra… e si era immersi in un buio tombale.

La mia Seicento non è stata solo un’automobile. La mia Seicento è stata alcova, grembo materno, rifugio. La mia Seicento partecipava alle limonate del giovedì e del sabato sera (i giorni canonici) insieme alle NSU-Prinz, alle Topolino, alle Giardinette con la carrozzeria in legno, e persino con le Seicento multiple dei miei amici. Una trentina di metri di distanza una dall’altra, ma col clacson pronto in caso di allarme guardoni.
Quando suonava l’allarme, mi bastava riavvitare la leva del cambio, già munito di impugnatura in pelle cucita a mano, tirare la levetta di accensione, un paio di colpi d’acceleratore, una rapida sterzata ed ero sempre il primo ad accorrere laddove richiedeva il bisogno.
Ma un bel giorno, girovagando con la mia Seicento, fui abbagliato da un’altra bellezza che la surclassò.

Conservo ancora questa bellezza ormai da quarantasei anni, ma non vi dico il modello. Provate ad indovinarlo voi..


 

scritto da: albatrho.s  del blog:   Volare e..


 
 
 
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