BLOG PENNA CALAMAIO®
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Solidarietà per Red Lady e la Locanda Almayer
Post n°967 pubblicato il 24 Settembre 2012 da redazione_blog
Il messaggio non viene trasmesso in forma di campagna ideologica, bensì grazie all’intreccio delle vicende che, al riparo da qualsiasi interesse morboso e di genere, conducono lo spettatore non già a schierarsi pro o contro l’omosessualità, bensì ad immedesimarsi affettivamente nei personaggi e nelle loro storie. Con la stessa naturalezza The L word ci invita a riflettere su alcune problematiche che assillano la nostra società: la presa di posizione contro la guerra in Iraq, il ruolo dell'arte e il suo rapporto con la censura, il problema della sanità pubblica e la campagna contro il tumore al seno, l'integrazione del disabile nella società; temi che vengono trattati non solo attraverso epliciti richiami, ma anche nei dialoghi dei protagonisti, sempre ricchi di riferimenti e di allusioni alle contraddizioni del nostro tempo. questo rende The L World semplicemente geniale!
Ross e Roby
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Post n°966 pubblicato il 24 Settembre 2012 da redazione_blog
E non si è soli quando un altro se ne è andato, si è soli se qualcuno non è mai venuto”
L' altro giorno, ascoltando la radio, mi sono ritornate all’orecchio le parole di una canzone di Vecchioni di qualche anno fa. Lasciandomi trascinare dalle note di questa canzone, mi sono improvvisamente tornate alla mente le parole di un bambino di nome Paolo, un piccole principe di un altro pianeta, che a seguito della scomparsa prematura della sua mamma, mi disse: ”alla sera penso sempre che la mamma mi manca ma poi penso che la mamma è come dentro di me e allora mi sento un po’ meno solo”
Ci sono diversi modi di vivere la solitudine. Come il vuoto freddo e buio di chi non ha mai vissuto la Presenza, di chi non ha mai sperimentato la dimensione dello star con e dello stare dentro a qualcuno. E’ l’isolamento del bambino autistico, di persone che hanno vissuto abbandoni precoci, ma è anche la solitudine di chi non si sente degno di appartenere allo sguardo dell’altro, di occupare uno spazio nella sua mente e un angolo del suo cuore. E’ la solitudine di chi per questo ha “deciso” di chiudere le porte al mondo confinandosi in un gelido silenzio; oppure di chi, invece, ricorre a tutti i mezzi pur di ottenere piccoli frammenti di attenzione su di sé. Diversa invece è la solitudine di chi è stato lasciato solo, di chi ha vissuto l’abbandono, di chi ha sperimentato la lacerante ferita della separazione, magari in modo improvviso, dopo aver vissuto il Nirvana della fusione, dell’appagamento totale nella pienezza dei sentimenti. E’ una solitudine che irrompe, che getta nel baratro, ma che può acquisire una cornice di significato solo se esiste un perché che la giustifichi e la sostenga. Paolo ha perso la mamma, ma la mamma non lo ha lasciato, e questo gli permette di introiettare una presenza buona, che lo accompagna, lo sostiene, lo ascolta nei suoi teneri tentativi di intrattenere un dialogo interiore con lei. Se la solitudine è invece la conseguenza di un atto di abbandono, allora siamo pervasi da sentimenti ambivalenti se non addirittura contrastanti: incredulità, disorientamento, rabbia, ricerca di un significato, disperazione desolante, paura, smarrimento totale, senso di perdita della propria identità. E poi c’è la solitudine di chi ricerca se stesso, di chi desidera ritirarsi all’interno delle pareti del proprio Sé per ritrovarsi, per recuperarsi e magari anche per perdonarsi. E da qui può partire la rigenerazione, da qui lo specchio frantumato può ricomporsi in una rinnovata immagine, che si fonda sulla sintesi tra la consapevolezza degli errori del passato e delle risorse disponibili nel presente, da impiegare e investire verso nuovi traguardi. Forse ognuno di noi ha vissuto, almeno una volta, una o più forme di solitudine: questo è un elemento che ci accomuna e che ci permette di comprendere la solitudine degli altri attraverso il riflesso della propria. Ciò che fa la differenza è il modo con cui l’affrontiamo, la trattiamo e la elaboriamo. Un uomo di 50 anni in carico ai servizi psichiatrici per una forma grave di schizofrenia, al termine di una settimana esaltante trascorsa al mare con altri pazienti e operatori, mi disse: “Questa settimana me la ricorderò per tutta la vita, e non solo per le risate, le nuotate, le cantate e i salti sulla pista da ballo, ma perché grazie al ricordo dei vostri gesti e dei vostri sguardi ora sto imparando a gestirmi da solo la mia solitudine” La solitudine. Tutti la viviamo, forse la vivi anche tu …
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Post n°965 pubblicato il 24 Settembre 2012 da redazione_blog
O ggi, in un affollatissimo treno della metropolitana al ritorno dal lavoro, ho intravisto un cartello "ballerino" che, a suon di slogan e di immagini, forse, a parer di chi le ha prodotte, molto efficaci, invitava la gente ad iscriversi ad un corso per sviluppare fiducia in sè e autostima: "puoi dare fiducia agli altri, solo se guadagni fiducia in te", recitava caustico l'invito.
Riflettiamo un secondo su questa parola tanto declamata, dal duplice significato profondo di "dare fede" e di "essere fedele a...". Se ci pensiamo bene, la fiducia non può esaurirsi in un semplice gioco di dare e avere, ma vuol dire essere disposti a vedere nell'altro e ad offrire all'altro la parte più vulnerabile di noi e, nello stesso tempo, di accoglierla e farla propria. Una mamma, che vede il proprio bambino crescere, promuove in lui un senso di fiducia solo se gli permette di compiere i suoi passi in autonomia, separandosi da lei, ma nello stesso tempo fornendogli una base sicura, un porto a cui approdare in qualsiasi momento ne abbia bisogno. Questo vale anche per gli adulti, nelle relazioni parentali, sentimentali o amicali. Occorre essere per gli altri e trovare negli altri una base sicura. La base non è più sicura quando l'asse di equilibrio tra "l'essere con" e "l'essere senza", tra lo "stare dentro" e il "tirarsi fuori", è stretta e vacillante. Non ci doniamo totalmente perchè riconosciamo nell'altro il volto rinnovato di antiche paure, oppure perchè temiamo di perderci, di farci inghiottire da un vortice di emozioni ove i contorni del nostro Io si fanno sempre più sfumati, più indefiniti, più vacui. In questo gioco di equilibrio basta poco per cadere nella distanza totale di chi "usa" le relazioni per difendersi, per attaccare o per sfuggire al contatto, e chi trova nella relazione un luogo per tornare bambino, smettendo di pensare, di credere, di decidere, di affidarsi a sè e alle proprie risorse. Allora ci si annulla, si deposita la propria vita completamente nelle mani potenti dell'altro, rinunciando a sè e alla propria anima. In una relazione, fidarsi non significa solo confidare completamente i propri segreti o rivelare il proprio volto senza maschera; così come non fidarsi non vuol dire necessariamente chiudersi nel silenzio o rifugiarsi in qualche caricatura di sè ... La fiducia non obbedisce alla legge del tutto o nulla: fidarsi può voler dire crescere con l'altro nella distanza e nella vicinanza, costruendo una base solida nella quotidianità delle incomprensioni, permettendo all'altro di "andare" e "venire", per poi sperimentare la gioia e la sorpresa del nuovo incontro, riempiendo l'attesa di speranza e, appunto, di fiducia. Si rischia, eccome se si rischia ... sconfitta, tradimento, solitudine ... Fiducia è rischio: rischio che il legame non sia più solido ma pian piano possa liquefarsi, che il "dopo" si tramuti in un "mai", che la leggerezza del dono si trasformi nella pesantezza del rimpianto. Ma è un rischio che personalmente mi sono sempre sentita di correre, a volte con mille paure, a volte con l'incoscienza di una preadolescente alla ricerca di legami forti ... a volte mi sono trovata con un pugno di mosche in mano, ma, fuori dal dolore e dalla rabbia, alla fine mi sono sempre chiesta: "Si può vivere senza fiducia?". E mi sono detta sempre di no, che non è possibile, perchè sarebbe stato come rinunciare a quella parte "piccola" di me che vuole ostinatamente stupirsi ancora per la bellezza e la sorpresa di un incontro ....
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Post n°964 pubblicato il 25 Marzo 2012 da redazione_blog
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Post n°963 pubblicato il 27 Gennaio 2012 da redazione_blog
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