BLOG PENNA CALAMAIO®
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Solidarietà per Red Lady e la Locanda Almayer
Post n°972 pubblicato il 24 Settembre 2012 da redazione_blog
Un Dry Martini in un´ampia coppa da champagne. Barman: Oui Monsieur! Aspetti! Barman: ...va bene, Signore...
I l barman del Casino Royale assunse un'espressione tra il perplesso ed il mortificato nell'accogliere la richiesta di un James Bond più perentorio ed egocentrico che mai. Hollywood ha fatto la fortuna dei cocktail non meno del proibizionismo negli anni venti e trenta, sì che, cercare tutte le scene di film nelle quali i protagonisti sollevano i calici tracannando allegramente drink a base di champagne, gin, brandy o vermouth secco, è un'impresa degna dei gialli di Ian Fleming o Mickey Spillane. E' il 1940, Cary Grant, Katharine Hepburn e James Stewart, in Scandalo a Filadelfia forniscono il perfetto spaccato di un'alta società viziata e gaudente nella quale l'alcool scorre a fiumi, il bicchiere è spesso tra le dita e non manca neanche l'intermezzo di una sbornia colossale. Ci saranno remake a gogò. E' il 1961, Rock Hudson interpreta Torna a Settembre, al fianco di Gina Lollobrigida. Hollywood ha decretato il mito dei cocktail perchè, davanti alla macchina da presa, i calici traboccavano di drink non meno che nelle feste da sogno a Beverley Hills, e ce n'erano per tutti i gusti!
Barman, una Caipirinha in un bicchiere tumbler. Barman: Oui Madame! Aspetti! Barman: ...va bene, Signora...
© Riproduzione riservata
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Post n°971 pubblicato il 24 Settembre 2012 da redazione_blog
E’ notte fonda, la strada è illuminata da lampioni che emanano una luce fioca … Ho tanta strada da fare … cammino rapidamente, inizio a correre … forte, sempre più forte, ma la meta si allontana e dietro di me si avvicinano inesorabilmente 7 mani con 7 dita che tentano di arpionarmi. Corro con affanno, il cuore in gola … all’improvviso, davanti a me si apre un varco, intravedo la meta … ma poi, due cancelli dorati affiorano da terra e si ergono implacabili davanti a me. Non ho scampo … Scritto da Morton0 |
Post n°970 pubblicato il 24 Settembre 2012 da redazione_blog
“Che cosa vorresti dire?!?” Scritto da Morton0 |
Post n°969 pubblicato il 24 Settembre 2012 da redazione_blog
L'era attuale è sinonimo di distanza e su questo non ci piove. Ma non sto pensando alla distanza/vicinanza geografica o culturale, riempite come sono dall'abbattimento dei confini e dalla comunicazione interplanetaria. Sto pensando alla lontananza psicologica, affettiva, quella che ci fa dire "io sono come il mio simile, il mio simile è parte di me" ... E' successo a Napoli, ma poteva succedere ovunque, tanto forti sono i segnali di questa epoca bislacca, contorta e contradditoria. Un uomo di 73 anni muore in mare tra l'indifferenza generale, tra il silenzio di tutti ... Giace in acqua, da solo ... Dopo un po' qualcuno decide di entrare in mare e, dopo aver chiamato il 118, di riporre sulla spiaggia il corpo esamine del poveretto e di "proteggerlo" dallo sguardo degli altri, coprendolo con un telo e usando l'ombrellone come paravento. Ma lo sguardo degli altri, non certo quello degli occhi ma quello "interiore", non c'è ... per paura o disinteresse, loro sono "altrove", impegnati a tuffarsi in acqua o a spalmarsi con l'olio solare ... Tutto tristemente assurdo, tutto kafkianamente abnorme ... Di fronte a situazioni come queste, sconforto e rabbia prendono il sopravvento, ma si rende necessaria una riflessione: giusto e doveroso commuoversi per le grandi tragedie, ma quando ci troviamo di fronte ad un evento del genere, che richiede azione oltre che partecipazione emotiva (quell'uomo, probabilmente, con soccorsi tempestivi poteva essere salvato) cosa facciamo? Abbiamo forse sempre bisogno del chiasso mediatico, quello che appunto pone una "distanza di sicurezza", per poter empatizzare? Come dire, se sono "lontano" ho bisogno della TV e del circo informativo, se sono "vicino" ho invece bisogno di un ombrellone paravento e para-sguardo? Eppure, quel povero signore ha vissuto il suo "sisma" sino in fondo ... Scritto da: Morton0 su: Scherzo o follia? |
Post n°968 pubblicato il 24 Settembre 2012 da redazione_blog
"L'amore è un bellissimo fiore, ma bisogna avere il coraggio di coglierlo sull'orlo di un precipizio" (Stendhal) In questo aforisma di Stendhal è racchiusa tutta l'ambivalenza della forza attrattiva e, nello stesso tempo, della consapevolezza del rischio che il sentimento dell'amore porta con sé. E' incredibile pensare come ciò che più siamo propensi a cercare nella vita, l'amore completo ed eterno, rappresenti anche qualcosa che in parte temiamo. Molte persone (o magari anche noi, almeno una volta nella vita) hanno sperimentato la vertigine di un sentimento così forte, la voglia di volare ma anche il bisogno di rimanere zavorrati a terra. Ma da dove viene la paura di amare? Assurdo pensare di trovare una risposta nelle scarne righe di un post, ma possiamo comunque provare a fare qualche breve riflessioni in proposito. La risposta più immediata che verrebbe in mente a tutti è che le delusioni pregresse possono aver lasciato il segno, che nessuno dopo una bastonata sui denti ha voglia di rimettersi in gioco. Allora, la paura di essere nuovamente feriti e di essere esposti ad un dolore ancora più devastante ci può condurre sulla strada della rinuncia, che può prendere due diverse direzioni. La prima ha a che fare con la chiusura in se stessi, ovvero il rifiuto sordo e silente ad avviare nuove relazioni, in una resa totale razionalizzata attraverso pseudo giustificazioni sui presunti lati negativi nell'intraprendere una nuova storia ("non si sa mai cosa posso trovare, in fondo sto bene così") o sulla ricerca puntigliosa dei difetti dell'altra persona. Un’altra direzione, che implica anch'essa una rinuncia ad amare, potrebbe essere quella di "tenere i piedi in due scarpe", di vivere contemporaneamente diverse relazioni "mordi e fuggi", di cambiare spesso rabbiosamente partner per non cambiare dentro, per non fare i conti con la rabbia che si ha dentro, in un tentativo vano di autoanestetizzarsi da un dolore troppo grande per poter essere accolto ed elaborato. Ma c’è una seconda riflessione da fare: a volte dietro la paura di amare può nascondersi un’altra paura, ovvero quella di smarrirsi, di annullarsi, di vedere dissolti i confini tra sé e la persona amata. Non si tratta semplicemente del timore di perdere la propria libertà, ma di qualcosa di più profondo e che riguarda la paura di lasciarsi andare, di perdere il controllo di sé, delle proprie emozioni e, in ultima istanza, della propria vita. Ci si nasconde così dietro la maschera del distacco e della fuga dai sentimenti, in un rapporto dove tutto è già noto e deciso, dove non si lascia spazio all’imprevisto, alla sorpresa, all’immaginazione, al moto passionale. In tutti i casi, la paura può essere vista come una forma di difesa, come un’emozione che ci fa compiere atti il cui scopo immediato è quello di proteggerci dal pericolo, ma che alla resa dei conti ci si ritorcono contro, in una sorta di autogol dove tutto ciò che noi viviamo come negativo non può trovare altro che una conferma nella realtà. scritto da Morton0 in Scherzo o follia? |