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Il segreto della forza economica Scandinava

Post n°2 pubblicato il 02 Giugno 2013 da TopBancario
 

Si è sentito spesso parlare, soprattutto in questo periodo di crisi per i paesi periferici del l’Europa, di “efficienza scandinava” usata come ideale di perfezione tra i valori del ibero mercato e l’assistenzialismo statale, contrapposto alla pigra realtà politica dei paesi mediterranei, sempre più al centro della polemiche perchè, statisticamente, risultano essere i primi a cadere di fronte alle prove del debito.

Ma da cosa deriva la loro fa,ma? E’ effettivamente meritata o è al contrario “usurpata” ? In effetti c’è da dire che i Paesi scandinavi sono riusciti a evitare la maggior parte dei problemi che affliggono l’Europa e non solo i paesi indebitati come la Grecia il Portogallo o anche l’Italia. Ultimamente anche la Francia e, udite udite, la Germania stessa, si trovano a dover fare i conti con una serie di problemi effettivi per la prima e potenziali per la seconda dedicato proprio dalle stringenti politiche di austeruty tanto diffuse nel Vecchio Continente.
No solo, ma volendo allargare la visuale si potrebbe fare un paragone anche con i problemi sociali che affliggono gli States, cultura multirazziale per eccellenza come anche gli stessi paesi scandinavi dove l’ideale della popolazione dalla carnagione bianca e dai capelli biondi ormai è lontana e abbandonata come semplice stereotipo. Ebbene, dopo questa serie di considerazioni, torniamo ad esaminare i fatti. Le società scandinave hanno il primato nelle classifiche positive che indicano lo stato di salute sia ella popolazione che dell’economia.
Una coincidenza? Non proprio. Nel nostro secolo, o per meglio dire in quello passato, cioè nel novecento, le economie del Nord Europa sono quelle che hanno fatto registrare la crescita migliore e soprattutto lo sviluppo più veloce, grazie a un ingrediente non tanto segreto: un pragmatismo positivo. In altre parole, se il libero mercato dà fiducia all’iniziativa privata, questa, nel parametro scandinavo, non dev'essere indiscriminata e nel momento in cui inizia a vacillare potrà sempre essere abbandonata senza drammi ideologici nè tragedia sociali, verso altri modelli di crescita e sviluppo che possano eventualmente rimediare ai guai creati dal precedente prima che sia troppo tardi e questi iniziano a radicare nel sistema sociale diventando una forma mentale impossibile sradicare.
Fino agli anni ’70, la situazione del libero mercato era quella predominante, con l’arrivo successivamente di una presenza statale dalla culla alla tomba. Dopo gli anni ’80, però, si  è registrata una spesa ben èiù alta rispetto a quanto le casse potevano tollerare e la capitalizzazione dell’impresa si riduceva a poche industrie che impedivano anche una diversificazione degli investimenti. Il rimedio? Abbandonare l’assistenzialismo che non aveva più di vent’anni e tornare all’iniziativa privata, senza porre questi particolarmente bizantine in mezzo e riuscire a regolare lo squilibrio creatosi col tempo. Una serie di esperienze che sono state modificate riuscendo a creare una sorta di equilibrio che posa prendere il meglio da entrambi i fronti senza problemi di barriere ideologiche visto che, per
loro, come giustamente dovrebbe essere, anche se si adotta un’idea liberista in ambito di assistenza sociale, non sarà mai un dramma se a beneficiarne sono i diretti interessati, senza danno alcuno per la collettività.

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