Creato da: bruco.frettoloso il 18/09/2009
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Ultimi commenti

oddioooooooooo!!! Un altro segno del destino? ;-)
Inviato da: hope.67
il 15/05/2010 alle 13:06
 
Dimmi , sono tutta.... orecchie hihihihih :-)
Inviato da: lucedeisensi_39
il 12/04/2010 alle 19:45
 
Luce.. fai la brava dai.. :-)
Inviato da: bruco.frettoloso
il 08/04/2010 alle 23:33
 
ciao eva un bacetto anche a te :-)
Inviato da: bruco.frettoloso
il 08/04/2010 alle 23:33
 
Si mi interessa molto!! hihihihih tocco ferro? ;-)
Inviato da: lucedeisensi_39
il 08/04/2010 alle 20:32
 
 
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Facciamo ordine. Corinzio

Post n°8 pubblicato il 19 Ottobre 2009 da bruco.frettoloso
Foto di bruco.frettoloso

 

 

Quasi una Silvia leopardiana del quinto secolo avanti Cristo, una ragazza della città

greca di Corinto muore di malattia ancor prima di poter aspirare alle nozze. La sua nutrice ne

raccoglie i giocattoli e li pone in un cesto. Colloca quest'ultimo sulla tomba di lei, in suo

ricordo. Per proteggerlo dalle intemperie, copre l'umile monumento con una tegola. Con la

primavera, sotto il cesto spunta una pianta di acanto. Per giungere alla luce steli e foglie

avvolgono il cesto elevandosi verso l'alto, fino a incontrare i bordi della tegola che li

costringono a flettersi di nuovo verso l'esterno, assecondando la forma del tutto. A questo

punto, passa di lì lo scultore e architetto Callimaco, altrimenti ricordato per soggetti quali

Afrodite e le Menadi. Egli rimane impressionato dal singolare spettacolo (genere et formae

novitate). A imitazione di ciò che ha visto (exemplar), tornato alla sua bottega disegna e

scolpisce il capitello corinzio. E studia le proporzioni del nuovo stile, che presto applica

presumibilmente a un tempio in costruzione. L'ordine architettonico riscuoterà tale successo,

da affiancare e soppiantare i precedenti dorico e ionico per un lungo periodo della storia

dell'arte. Dal nostro punto di vista, di rado tanti significanti e significati sono stati condensati

in un racconto così breve. Ed è difficile dissociarlo dall'interesse già mostrato dall'autore per

la significazione e il linguaggio. Con una definizione deleuziana, si tratta di un vera e propria

macchina significante.

Non meno del frammento di Eraclito su citato, la narrazione vitruviana è immersa in

una vaga atmosfera misterica, di cui alcuni elementi - ad esempio, quello comune del gioco o

dei giocattoli - sfuggono alla nostra immediata comprensione. Infatti, non mancano indizi di

allusioni ai misteri orfici ed eleusini, entrambi permeati da una forte componente soterica

dionisiaca. Così recita un frammento orfico (Otto Kern, Orphicorum Fragmenta, 31), sulla

celebrazione dei misteri eleusini: "simbolo: sopra, sotto... e ciò che ti fu dato offrire... gettarlo

nel paniere... pigna, trottola, dadi... specchio". Nel secondo libro del suo Protrettico, Clemente

Alessandrino integra l'elenco. I balocchi rituali erano: una pigna, un dado, una palla, una

trottola, dei pomi, un tamburo, uno specchio, un vello presumibilmente di agnello o di

capretto. Superfluo, in questa sede, indugiare sui singoli significati o magiche funzioni. Basti

rammentare che Eraclito discendeva da una famiglia depositaria del culto di Demetra

Eleusina. E che una chiave interpretativa va cercata nel bilinguismo di Vitruvio e della cultura

greco-romana. Tenendo conto del fatto che il filosofo di Efeso aggiunge "Di un fanciullo è il

regno", l'eterno fanciullo può essere identificato con Dioniso. E la protagonista assente di

Vitruvio, morta prima del tempo, può facilmente evocare Kore, figlia di Demetra a lungo

contesa fra la dea madre e il dio dei morti (in greco, kórê sta anche per semplice "ragazza";

Persefone o Proserpina è la divina fanciulla, poi divenuta regina dei morti).

Il cesto di giocattoli può essere allora interpretato quale offerta votiva della nutrice, per

raccomandare l'anima della defunta alle forze degli inferi. E la pianta di acanto come segno

della natura, che l'offerta è stata ben accolta, a riparazione dell'ingiustizia commessa da una

morte estemporanea. Per parte sua, lo scultore e architetto non fa che riprodurre e moltiplicare

all'infinito l'evento, astraendolo e iscrivendolo nell'ordine rappresentativo del sacro. A ben

vedere, il procedimento è comunque inverso rispetto al ruolo riduttivo assegnato da Platone

alla poesia e all'arte. Di più, la nutrice pietosa, la natura vitale e l'artista di genio, ciascuno per

suo conto formano una catena di portatori di significanti-significati solidale contro la sorte

spietata e la corruzione del tempo. Per dirla con Vitruvio, qui finalmente si incontrano vestigia

naturae e vestigia hominum, tracce della natura e orme degli uomini. Ma solo l'artista giunge a

realizzare il mandato del senso, decodificandolo e riformulandolo in un messaggio duraturo

benché emblematico. Un round aggiudicabile ad Aiôn/Dioniso, nell'incerto combattimento col

suo rivale il chrónos. Probabilmente non a caso, non sapendo ancora bene come farlo, i primi

cristiani raffigureranno nelle vesti di Orfeo o di Dioniso proprio Gesù. Colui che nel racconto

evangelico (Marco, I, 15), agli esordi della sua predicazione, aveva dichiarato agli apostoli: "Il

tempo (kairós) è compiuto".

 
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Adele...15 anni lei. Noi più di 24 ore..

Post n°5 pubblicato il 11 Ottobre 2009 da bruco.frettoloso

 

 

 

38 . Numero di scarpe. Numero di coltellate inferte da tale Adele M. al suo giovane amante. Apprendiamo la notizia, vecchiotta, mentre digeriamo la cena. Siamo sul divano appena tornati. Mio cugino aveva preparato una cena per noi. Passeggiamo ancora , per non perdere il ritmo, che dalle 16.30 avevamo guadagnato, prima di cenare.  Le  piacciono i tornanti, c'è poco da fare. Quindi per non darle un dispiacere ne incontrammo certi che conducevano all'osservatorio che non visitammo. Tuttavia l'orto abbaziale ci aspettava. Piazza Roma. All'appuntamento  , lei,  come sempre trovò un parcheggio adatto. Come lo trovava quel giovane amante. Mi dice adesso mentre scrivo : mai dire ad una donna di amarla. Seguirò il suo consiglio. Certo, molto difficile non dirglielo quando con labbra , naso , mani,  sfiora il tuo corpo mentre cerchi di scrivere un post che un pò di amore parla. Superato lo scoglio frastagliato delle sue carezze, riprendo a scrivere, cercando di ignorare le sensazioni che provo. Sono ore e ore e ore che ci accarezziamo. Adesso basta! ( fila a casa, 19.52!!) Ritornando alla tragica vicenda della donna omicida, ho trovato simile il chiacchiericcio della conduttrice con quello delle comari. La povera Adele si era sposata a 17 anni. Madre esemplare di quattro figli, ciò risulta dagli atti precessuali, viveva la propria vita in una sorta d'attesa. Conoscere l'amante che in seguito ucciderà. Suo marito era stanco. Non voleva uscire. Non voleva amarla, voleva solo il suo corpo. In un giorno, uno dei tanti giorni in cui  recava al mercato il suo corpo attraente,la sua inquietudine , fu notata da un giovane perspicace. La chiamò. Parlarono per mesi prima di incontrarsi, racconta Adele. Mi ero innamorata della sua voce, decisi di incontrarlo solamente per dirgli di lasciarmi in pace. In quella pace che la vedeva orfana di emozioni, in quella pace , di fatto negata,  lei non viveva da trent'anni. Mi sentivo una ragazzina, lui mi faceva sentire importante. L'amavo e lui mi amava. L'amore del suo giovane amante, si risolse presto in un ovattata stanza, la stessa in cui morirà. Dopo circa due anni lui risoluto le disse che si sarebbe sposato con una ragazza. Lei era vecchia. Lui morì giovane. Uccise in un impeto d'ira, si accostò al cadavere e dormì con lui, per l'ultima notte. Uccise se stessa, uccise quel tempo che gli era stato prima sottratto da quella vita, poi donato da quel cadavere che giaceva con lei. C'è sempre il rischio d'amare. Nell'agire c'è lo stesso rischio del non agire.

Al-Hallaj un mistico sufi morto nel X secolo, diceva:  Io sono colui che amo e colui che amo è me. Siamo due spiriti che dimorano in un corpo. O tu che vuoi sapere la nostra storia, se ci vedessi non ci distingueresti. Da quando siamo in stretta intimità la gente ci indica come esempio. Se dunque vedi me, vedi lui, se vedi lui, vedi noi.

L'amore, la vita, l'età. Parole.

Infrangere i calamai e riempir di lacrime i libri.

 

p.s. le foto postale tu.

 
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Sei una fortezza.

Post n°4 pubblicato il 26 Settembre 2009 da bruco.frettoloso

 

 

 

 

 

Ha resistito alla notte insonne, senza piegarsi all'assedio delle pantofole e dei fatti suoi.Puntuale all'appuntamento, giunse mentre ero pronto solo per caso. Non solo per questo, Ella, è fortezza. Raggiungere una sua simile, che l'attendeva da tempo, era una visita di cortesia a cui non potevamo sottrarci. I nostri amici tornanti, ironici, quanto numerosi, ci avvisavano che la S'ignora, ( lei pur essendo una sua simile, l'ignorava, non per civetteria femminile, ma solo per  farle visita con me, che un pò la conoscevo.), era in casa pronta per riceverci. Onde evitare di presentarci con fiatone e fronte sudaticcia, evitammo  salite , scale, scalini e ruette  preferendo utilizzare le novelle scale mobili. Non bussammo, la portinaia-bigliettaia, prese le nostre credenziali, asserendo che la signora ci aspettava. Lo sapevamo. ridendo salivamo i camminamenti, detti militari, che rendevano irto di pericoli il raggiungimento della piazza del forte. Si affaccia in codesta piazza una modesta apertura, ricettacolo del sudere che gronda da quella superiore. Per dovere di cronaca un cartello nomava l'alcova, cisterna. Opera di grande ingegno frutto della stratificazioni di ghiaia e carbone, che permetteva il trasudamento delle acque piovane dalla volta facendole gocciolare previo flitraggio. Plin, Plin. Dopo aver raggiunto la seconda piazzaforte, ci trovammo in salotto. Ci offrì una vista talmente inebriante che non zuccherammo.Nonostante gli acchiacchi era pur sempre la più grande d'Italia. desiderata, voluta e resa tale dal regno di Napoli. La sua grandezza oltrepassava i confini che difendeva. Ci invitò a pranzo. L'oste buon uomo, faceva del suo meglio. Un portone aperto ci invitava a chiuderlo, dall'interno. Non siamo scortesi. Ci accolse un istallazione di una sconosciuta artista locale, che spiegava la quotidianità attraverso  gli oggetti che deponeva sulle scale. Superati gli ostacoli artistici, una sorpresa ci guardava dall'alto. Statuaria. Un uomo barbuto con corona, copriva le sue nudità con un tessuto svolazzante, il braccio destro rivolto verso l'alto, nella mano un regalino del novecento, un porta lume. Ci guardava triste, voleva sapere perchè i vecchi inquilini l'avessero dimenticato lì, tra arte incompresa ed escrementi di piccione. Non potevamo guardarlo che con gli occhi, le pile della macchina fotografica erano scariche, silenziosamente  assecondammo il suo oblio ed il nostro. Le porte degli appartamenti erano aperte, svanimmo anche noi. Pensili in laminato, letti e valigie piene di lana, giacevano sotto affreschi e stucchi di notevole bellezza. Quelle immagini ci accompagnarono verso i nostri amici tornanti per raggiungere le mie scale..

P.s. Dovrei costruire anch'io una cisterna sotto il pavimento della camera in cui ci riposiamo..

 
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Bottoni di madreperla

Post n°3 pubblicato il 21 Settembre 2009 da bruco.frettoloso

 

Era tardi, anche il sole aveva troppo sonno per uscire. Stava andando via. Avevo lasciato le luci accese, mentre le spegnevo, toglievo le scarpe che gli piacevano.Me lo disse quand'ero  accanto a lei e  ne appoggiavo una sulla panchina. Mi sembri un pirata, le sue parole. La rassicurai aggiungendo che all'età di 15 anni volevo un dente d'oro. Santa Mamma non mi concesse la grazia. Quella folla passeggiava, quel paese mi ricordava le auree vacanze  adolescenziali e lei era arrivata, in qual modo resterà un mistero, di fronte al percheggio in cui l'aspettavo. Tra noi c'erano solo dei binari invalicabili. Il punto in cui si trovava,citato dalla pubblicistica locale come il non luogo per eccellenza, gli permetteva di oscillare gli arti superiori, gettandomi nel peggiore degli incubi, aspettare trenta minuti, forse più, per vederla, per abbracciarla. Colpa dei sensi unici, mi riferì, di quelle isole pedonali, che in una ridente  località rivierasca, non possono certo mancare.Passeggiare per consumare. Seguendo l'adagio , percorriamo le case colorate, bevendo un caffè. Eravamo felici, come due scolaretti in gita, di andare in bagno contemporeneamente prendendo l'ascensore. Quel bagno,  dotato di sala d'aspetto con boiserie in wengè, dava l'idea della Holl in cui ancora non c'era la chiave della nostra stanza. Usciti fuori, nelle vetrine un vestito nero, mi avvertiva che presto un suo sodale, sarebbe stato suo.Intanto la spiaggia ci regalava quello che restava di un bonsai, un cadavere ligneo di notevole bellezza.Alla vistra dei nostri simili con cono e coppetta, non mi restava che informarmi. Ottenni con un trucco italiota, di bypassare la fila. C'era un frigo stracolmo di gelati al biscotto alla mia destra, bastava solo versare l'obolo alla cassiera. Metre gli altri aspettavano, la mangiavo passeggiando. Le macchine sono in quella direzione. Le facevo notare che i bottoni, gli ultimi bottoni delle camicie, possono essere in madreperla.Il  tatto è importante.Lei pragmaticamente mi ricordava che stavamo andando a cena, senza aperitivi di sorta, me lo disse anche in un locale pubblico, dove si vendevano oggetti per la casa. Nell'autostrada perenni lavori, non ci impedivano di raggiungere le tagliatelle con la papera.Bianche o rosse. Che domande. Doppia razione di sugo e frammmenti di papera.La stradina che ci accompagnava verso il mare , era staccionata di ulivi e querce centenarie.Incontrammo quel paesino che non avevamo ancora visitato. Dove i mattoni respiravano.C'erano troppe chiese addossate le une alle altre, in un orgia di stilemi che si ripetevano nei vicoli, i giardini pensili venivano innaffiati dagli occhi dei passanti. Un pozzo veneziano, raro esempio di una vecchia amicizia,rendeva il portico degno delle cycas che ospitava.Dalla terrazza pubblica , lo scintillio dei paesi a 0 m. s.l.m. sfidava i nostri occhi. Un albero di natale abbattuto che ancora luccicava. Quando si parla in quei posti, non si palesa mai contemporaneamente l'idea brillante che ce ne sono altri,vicini ed altrettanto stimolanti. Quando ciò avviene, si ragguingono senza dubbi. Salivamo le scale, di nuovo. Mi ero ripromesso di  non trattenerla oltre i limiti. Ci sono dei limiti fisici. Noi, non li conosciamo ancora.

 
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Acero occhiolinato

Post n°2 pubblicato il 19 Settembre 2009 da bruco.frettoloso

Mentre salivo quei tornanti, solo la breccia biancastra, ingrigita dal tempo, mi rendeva consapevole . La vegetazione tipicamente borderline mi confondeva alquanto. I mattoni addossati a mò di rocca, chiarivano senza dubbi che dovevamo aspettare un tramonto. Scesi dall'auto in un iniziale autunno,  alcuni tigli ed aceri, piantati in spregio al decoroso viale ottocentesco di cipressi e lecci, vanificavano i tentativi di consolidamento, spesso  confusi con restauri di facciata, che la collettività  finanziava  affincè la rocca non si diroccasse. Lei paseggiava,  cercando quel tramonto che aspettava il mio bacio per palesare i colori che non avremmo visto. Non tutti i tramonti appaiono facilmente come i baci e gli abbracci che si trovano dietro ai bambù. Era una bella giornata, quella. Forse solo un pò umida. La quercia che stava morendo, prematuramente, colpita da un fulmine o dalla bellezza delle colline, ci accompagnava nella discesa che costeggiava i suoi ricordi, la cucina della casa in campagna, suo padre e i cartelli dalle scritte poco comprensibili, tutta colpa dei sommachi, il cui fogliame impediva di vedere oltre. Quando si ritorna dalle rocche, anche i navigatori tendono a fidarsi, non indicano i percorsi,non consigliano. Le repentine improvvisazioni che le strade formose possono suscitare all'idea, ( fiat ), raggiunsero un luogo che conoscevo. Passeggiando temevo di leggere uno di quei cartelli che latitano in ogni paese, quei cartelli che accarezzano l'autostima, quelle lettere che ti danno la certezza di trovarti in un determinato luogo, fino a prova contraria. Alcuni indizi tuttavia mi confortavano.I camminamenti militari,  c'era la salita, quella salita che conoscevo, c'era anche quel campanile.Sapevo dov'eravamo nonostante le rimostranze dei miei ricordi.Quando si torna in un luogo noto, non si ha il fiatone, così arrivammo sotto il campanile. Il portone era aperto, la luce c'era, c'era anche un  devoto dopo il rosario. Subito capimmo che non era un devoto e che quella luce, era ora che si spegnesse.Non si può lavorare fino a tardi, non si deve. Quando vedi il pezzo di legno che mantiene una campana, forse l'uomo che è lì, per renderle libere dai maldestri suonatori, rendendole tecnologicamente avanzate, può anche regalartelo, ma deve chiederlo al prete. Quindi il mio divano aspetta che il prete si decida, quel ceppo ligneo , deve diventare il degno dirimpettaio del mio divano. Un appoggio , previo cristallo , per tazzine , posaceneri e quant'altro serva a portata di mano. Dopo i saluti di rito, ci congediamo vicendevolmente, è tardi, anche se non abbiamo fame, dobbiamo mangiare. Perchè si deve mangiare, senza se e senza ma. Il ristorante dove volevi portarla è chiuso.Bene, l'altro è aperto. Seduta , la vetrata riparava il suo viso dalle onde, le grandi conchiglie illuminate gli donavano una bellezza che non conoscevo.L'accarezzavo come un cagnolino.Quei cofanetti ai crostacei come li mangiavo io, non come la ricetta cambiata dai camerieri padronali prevedeva, gli son piaciuti, mangia poco.Era presto diceva. Potevamo. Nell'ingresso, dopo che le scale son finite, potevamo.La porta è così vicina, la stanza era aperta.

 
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