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Facciamo ordine. Corinzio
Post n°8 pubblicato il 19 Ottobre 2009 da bruco.frettoloso
Quasi una Silvia leopardiana del quinto secolo avanti Cristo, una ragazza della città greca di Corinto muore di malattia ancor prima di poter aspirare alle nozze. La sua nutrice ne raccoglie i giocattoli e li pone in un cesto. Colloca quest'ultimo sulla tomba di lei, in suo ricordo. Per proteggerlo dalle intemperie, copre l'umile monumento con una tegola. Con la primavera, sotto il cesto spunta una pianta di acanto. Per giungere alla luce steli e foglie avvolgono il cesto elevandosi verso l'alto, fino a incontrare i bordi della tegola che li costringono a flettersi di nuovo verso l'esterno, assecondando la forma del tutto. A questo punto, passa di lì lo scultore e architetto Callimaco, altrimenti ricordato per soggetti quali Afrodite e le Menadi. Egli rimane impressionato dal singolare spettacolo (genere et formae novitate). A imitazione di ciò che ha visto (exemplar), tornato alla sua bottega disegna e scolpisce il capitello corinzio. E studia le proporzioni del nuovo stile, che presto applica presumibilmente a un tempio in costruzione. L'ordine architettonico riscuoterà tale successo, da affiancare e soppiantare i precedenti dorico e ionico per un lungo periodo della storia dell'arte. Dal nostro punto di vista, di rado tanti significanti e significati sono stati condensati in un racconto così breve. Ed è difficile dissociarlo dall'interesse già mostrato dall'autore per la significazione e il linguaggio. Con una definizione deleuziana, si tratta di un vera e propria macchina significante. Non meno del frammento di Eraclito su citato, la narrazione vitruviana è immersa in una vaga atmosfera misterica, di cui alcuni elementi - ad esempio, quello comune del gioco o dei giocattoli - sfuggono alla nostra immediata comprensione. Infatti, non mancano indizi di allusioni ai misteri orfici ed eleusini, entrambi permeati da una forte componente soterica dionisiaca. Così recita un frammento orfico (Otto Kern, Orphicorum Fragmenta, 31), sulla celebrazione dei misteri eleusini: "simbolo: sopra, sotto... e ciò che ti fu dato offrire... gettarlo nel paniere... pigna, trottola, dadi... specchio". Nel secondo libro del suo Protrettico, Clemente Alessandrino integra l'elenco. I balocchi rituali erano: una pigna, un dado, una palla, una trottola, dei pomi, un tamburo, uno specchio, un vello presumibilmente di agnello o di capretto. Superfluo, in questa sede, indugiare sui singoli significati o magiche funzioni. Basti rammentare che Eraclito discendeva da una famiglia depositaria del culto di Demetra Eleusina. E che una chiave interpretativa va cercata nel bilinguismo di Vitruvio e della cultura greco-romana. Tenendo conto del fatto che il filosofo di Efeso aggiunge "Di un fanciullo è il regno", l'eterno fanciullo può essere identificato con Dioniso. E la protagonista assente di Vitruvio, morta prima del tempo, può facilmente evocare Kore, figlia di Demetra a lungo contesa fra la dea madre e il dio dei morti (in greco, kórê sta anche per semplice "ragazza"; Persefone o Proserpina è la divina fanciulla, poi divenuta regina dei morti). Il cesto di giocattoli può essere allora interpretato quale offerta votiva della nutrice, per raccomandare l'anima della defunta alle forze degli inferi. E la pianta di acanto come segno della natura, che l'offerta è stata ben accolta, a riparazione dell'ingiustizia commessa da una morte estemporanea. Per parte sua, lo scultore e architetto non fa che riprodurre e moltiplicare all'infinito l'evento, astraendolo e iscrivendolo nell'ordine rappresentativo del sacro. A ben vedere, il procedimento è comunque inverso rispetto al ruolo riduttivo assegnato da Platone alla poesia e all'arte. Di più, la nutrice pietosa, la natura vitale e l'artista di genio, ciascuno per suo conto formano una catena di portatori di significanti-significati solidale contro la sorte spietata e la corruzione del tempo. Per dirla con Vitruvio, qui finalmente si incontrano vestigia naturae e vestigia hominum, tracce della natura e orme degli uomini. Ma solo l'artista giunge a realizzare il mandato del senso, decodificandolo e riformulandolo in un messaggio duraturo benché emblematico. Un round aggiudicabile ad Aiôn/Dioniso, nell'incerto combattimento col suo rivale il chrónos. Probabilmente non a caso, non sapendo ancora bene come farlo, i primi cristiani raffigureranno nelle vesti di Orfeo o di Dioniso proprio Gesù. Colui che nel racconto evangelico (Marco, I, 15), agli esordi della sua predicazione, aveva dichiarato agli apostoli: "Il tempo (kairós) è compiuto".
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Inviato da: hope.67
il 15/05/2010 alle 13:06
Inviato da: lucedeisensi_39
il 12/04/2010 alle 19:45
Inviato da: bruco.frettoloso
il 08/04/2010 alle 23:33
Inviato da: bruco.frettoloso
il 08/04/2010 alle 23:33
Inviato da: lucedeisensi_39
il 08/04/2010 alle 20:32